
Venezia, la luna e tu
15 Maggio 2020
CONO DI LUCE A caccia di diamanti con Giulio Verne
16 Maggio 2020L’ultimo episodio è quello della ventilata vendita dei Tre Oci per ripianare la voragine del M9 emersa dal Consiglio Generale dell’8 maggio della Fondazione di Venezia, come almeno si è lasciato intendere ai giornali, neppure troppo velatamente. Scatenando l’inferno e riuscendo nel miracolo di mettere d’accordo tutti in città (ma proprio tutti) al grido “la Casa dei Tre Oci non si tocca”. A seguito dell’unanime coro di indignazione, la Fondazione interviene e dice che non avevamo capito niente. “Non c’è alcuna ipotesi in tal senso, né la proposta è mai pervenuta al Consiglio generale dell’ente“, avevano parlato di valorizzazione del patrimonio immobiliare, semplicemente stanno facendo una valutazione del valore degli assets, nulla di più. Davvero si è trattato di un qui pro quo? Davvero le brave Monica Zicchiero (Corriere) e Mitia Chiarin (Nuova Venezia) – credo lo scoop sia stato di questi due giornali – tutte e due avevano capito fischi per fiaschi? Se così fosse la Fondazione avrebbe dovuto il giorno dopo chiarire la sua posizione e pretendere dal giornale la pubblicazione della precisazione con adeguato rilievo. Invece, guarda caso, i chiarimenti e le precisazioni sono venuti solo in risposta al putiferio che sappiamo. Indizio forte che le giornaliste avevano capito benissimo l’antifona. Per chi volesse capire di più della vicenda M9 e della complicata, a dir poco, governance della Fondazione di Venezia (e in generale delle fondazioni di origine bancaria nel nostro Paese) suggerisco l’articolo della meritoriamente sempre sul pezzo Ytali https://ytali.com/2020/05/11/fondazione-di-venezia-una-partita-burrascosa/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=la-settimana-ytaliana_2.
Io vorrei puntare l’attenzione sul tema generale. Quanto descritto sopra è un paradigma di ciò che ormai avviene sistematicamente a tutte le latitudini in questo Paese. È una prassi – più precisamente un malcostume – a cui lentamente ci siamo abituati. E che nasce da lontano.
In principio fu il primo Berlusconi, quando incarnava volentieri l’imprenditore prestato alla politica, cui lacci e laccioli erano indigesti. Col risultato di frequenti uscite estemporanee che poi era costretto a rimangiarsi con chiarimenti che in realtà erano vere e proprie retromarce. Ma ufficialmente erano i giornalisti che non lo avevano capito. Poi, con l’andare del tempo e il triste declino della sua parabola politica, altro che uscite estemporanee, si è arrivati alla nipote di Mubarak.. Ma tutto sommato Berlusconi resta un unicum.. metà Paese gli perdonava anche le balle più colossali. L’altra metà non gli avrebbe creduto neppure se avesse detto che la Terra è rotonda; aggiungiamo il fatto che era simpatico, che dava l’impressione di credere pure lui alle bugie che raccontava.. il risultato è che si è creata una sorta di zona franca.. c’era il vero, il falso e il “lo dice Berlusconi”.
Ma intanto si era rotto il ghiaccio. Il passo successivo è stato il farsi strada dell’abuso della provocazione… Intendiamoci, fare affermazioni forti e un po’ fuori dalle righe per guadagnarsi attenzione (che potrebbe essere la definizione di provocazione) è una legittima tecnica di “auto-promozione” vecchia come il mondo. Poi vi è chi è la applica con intelligenza e misura e chi meno ma non stiamo a sottilizzare. Ma una cosa è certa: provocazione NON significa dire la prima cazzata che viene in mente senza volersene assumere la responsabilità. Invece quante volte nel passato recente abbiamo sentito boutades un tanto al chilo, proposte le più incredibili buttate lì senza una verifica di fattibilità, un’analisi degli effetti, dei costi e poi di fronte alle obiezioni sentirci dire con finto candore “la mia era solo una provocazione”? Già, tu chiamale se vuoi provocazioni.. mica una roba seria.
Ma siamo andati ancora oltre. Primariamente “per merito” del mondo politico. Oggi non è più percepita come necessaria neppure l’ipocrisia della provocazione.. semplicemente oggi si ignora il principio di non contraddizione. Grande ruolo in questo sdoganamento l’hanno avuto i cinquestelle. I quali sono in contraddizione spesso tra loro e, talvolta, pure dentro di loro nel senso che la cosa in sé oggetto del loro pensiero produce un’idea che non ha correlazione alcuna con la realtà formale e meno che meno corrisponde alla sua manifestazione verbale. Insomma, materia utile agli insegnanti di filosofia per spiegare il concetto kantiano della differenza tra la realtà in sé – inconoscibile – e il noumenos. Ma anche Salvini non scherza quanto a noumenoi.. L’emergenza Coronavirus ha spazzato via la narrazione del mondo fatta di migranti cattivi e di artigiani buoni e timorati di Dio e il Capitano si è trovato completamente spiazzato. Dicendo nell’arco di giorni una cosa e il suo esatto contrario: che si deve aprire, che si deve chiudere, che le mascherine sì, le mascherine no.. (con il fardello aggiuntivo di dover difendere l’indifendibile Fontana).
Saremmo però ingenerosi nel prendercela solo con grillini e Salvini. L’emergenza coronavirus ha messo impietosamente in luce quanto ondivago (e quindi contraddittorio nel tempo) è il pensiero di molta della nostra classe dirigente (Sindaci compresi..) e quanto facilmente condizionato dagli umori, dagli accadimenti minuti, dalle circostanze occasionali. Tanto che è esercizio sempre più demoralizzante, per la manifesta inutilità, seguire un dibattito politico. Per la banale considerazione che ciò che viene affermato da chicchessia può tranquillamente essere negato il giorno dopo. In compenso alcuni meritori giornalisti ci offrono dei riferimenti fissi e immutabili che ci aiutano ad orizzontarci:
- Per Travaglio, Scanzi e tutta la band del Fatto Quotidiano: qualunque cosa dica o faccia Conte è giusta;
- Per Sallusti e i suoi sodali di Giornale, Libero e Verità: qualunque cosa dica o faccia Conte è sbagliata.
Basta accontentarsi in fondo..