Un Sindaco per il 2015: Diogene e la ricerca dell’uomo
7 Marzo 2014Chi ha al Lido “il monopolio del cuore”? Questa la sfida
7 Marzo 2014Vuoi soffocare una riunione? Fai parlare quante più persone possibile. Un vecchio trucco, funziona sempre, rispettando le regole. Tanto più se con tempi non rigidamente contingentati. Il Partito Democratico non ne è esente, per come sono strutturati i suoi organi rappresentativi. Che diventa un problema, laddove il processo decisionale è viziato dall’assenza di un vero e profondo confronto, se si aprono discussioni interminabili. Il rischio vero è che, tra le cose dette, quelle buone finiscano nel calderone, siano ascoltate da pochi, perdendo quindi ottimi spunti di lavoro e lucide analisi.
Che cosa si potrebbe fare per ovviare a queste lacune che, ripeto, non violano alcuna norma ma tendono solo ad approfittare della benevolenza di chi presiede l’assemblea? Qualche piccola idea e l’applicazione delle best practices in tema di gestione di riunioni potrebbero venirci incontro.
Innanzitutto, il rispetto tassativo e non “a fisarmonica” del contingentamento dei tempi per prendere la parola. Poi, far intervenire solo (o prioritariamente) chi fa parte dell’organismo, lasciando in coda – se non era stato invitato a farlo – chi volesse intervenire da outsider.
E ancora (e qui si potrebbe fare un bel salto di qualità), una riduzione del numero dei componenti di questi organi. Perché, maggiore il numero dei membri, minore l’efficacia del confronto. Cambiando punto di vista, organi più ristretti limitano la rappresentatività degli stessi. Non è cosa da poco trovare il valore ottimale, che renda efficaci ed efficienti le riunioni, pur salvaguardando la rappresentanza. Però, ad oggi, l’asticella nel PD tende più ad accontentare i territori e le varie anime del Partito, a scapito della governabilità, per cui capita che alla fine le decisioni vengano prese da accordi paralleli, non alla luce del sole.
E’ utile anche rimarcare i ruoli: se per le Assemblee la riduzione ottimale a mio avviso non sarebbe così drastica, per le Direzioni, cui spetta un ruolo di indirizzo e cui serve una certa dose di pragmatismo, dovrebbe essere importante. Dovendo il PD dare risposte alla società, sempre meno incline ad attendere estenuanti dibattiti, spesso inconcludenti, sarebbe il caso che l’analisi politica e dei mutamenti sociali sia affidata alle Assemblee, più rappresentative ed esse stesse più complesse. La posizione, tenuto conto di queste analisi profonde, sulle questioni pratiche, dovrebbe essere presa dalle Direzioni, su proposta degli “esecutivi” che sono le Segreterie.
Questo tipo di impostazione potrebbe garantire di stare più al passo coi tempi, evitando di semplificare troppo ed affidare tutto il potere a pochi. Questo tipo di impostazione garantirebbe inoltre una forma, ora piuttosto evanescente, di accountability dei rappresentanti agli occhi di chi loro affidò una delega, inchiodandoli alle proprie responsabilità, nel bene o nel male. Non deve più valere il “colpa di tutti, colpa di nessuno”.
Tutto questo non deve prescindere da un’altra doverosa modifica delle regole: quella per cui i componenti le Assemblee sono eletti in liste bloccate. Regola che non deve stare di casa tra chi si professa democratico. Regola che svilisce l’organismo e la sua rappresentatività. Con preferenze o simili, tra l’altro, l’Assemblea sarebbe legittimata ad eleggere a sua volta la Direzione (anziché vagliare una proposta del Segretario eletto, magari) affidando ad essa, tramite la propria legittimazione, la legittimità piena ad essere strumento snello e rapido di gestione delle proposte politiche del Partito tutto. Ora, i passaggi più o meno ci sono, ma tutto appare molto formale e poco di sostanza.
Se vi possono essere (giustificate) resistenze da parte di chi può temere che con un voto affidato ai soli iscritti al PD sia difficile amalgamare con elementi e persone nuove, questo dubbio crolla, essendo grazie alle primarie aperte la platea degli elettori allargata a tutti i simpatizzanti, anche che non volessero prendersi la tessera.
Solo con le opportune correzioni può esserci un cambio di passo, imprescindibile per la sopravvivenza della forma-partito nel contemporaneo. Secondo me, il Veneto, per come conosco Roger De Menech e per la forza con cui arrivano richieste in tal senso da “fuori dalla nostra finestra” (tanto per parafrasare il neo-Segretario regionale) può fare da apripista a livello nazionale.
A lungo andare, il partito “pesante” si sta sfaldando. Non va più. I Club forzisti o le ingerenze di uno o due capetti dall’alto, perdonatemi, non fanno per me. Abbiamo un gran bel Partito, potenzialmente. Facciamolo funzionare al meglio e cercando di essere democratici davvero. Partendo dal Veneto che, per la prima volta, comincia a guardarci con meno sospetto, anche grazie a Matteo Renzi. Non sprechiamo l’occasione.