Il velo che scopre l’integrazione
21 Ottobre 2018Il dito e la luna
27 Ottobre 2018“Nemmeno se avesse rubato i Bronzi di Riace per metterli nel suo giardino al posto dei nani!” Sono queste le parole che hanno espresso meglio di tante analisi politiche, compiute in questo ultimo mese, i fatti di Riace e di Mimmo Lucano. Come al solito, i comici, in questo caso Crozza, sono in grado di leggere e raccontare, in poche battute incisive, il paradosso che governa il nostro paese. Così come, in generale, gli uomini di spettacolo, i registi, gli attori. I fatti di Riace mi hanno evocato un déjà vu. Un film, uscito nelle sale, qualche anno fa, Terraferma, di Crialese, ci raccontava, con un’efficacia narrativa che toccava le viscere, l’ingiustizia di una legge (il riferimento alla famigerata Bossi-Fini era esplicito) che punisce chi pecca di umanità. Infierisce su chi protegge i disperati, ma non sempre riesce a disumanizzarli. Colpisce chi non aderisce alla logica dello stato di polizia ma rispetta alcune fondamentali leggi di natura, improntate alla solidarietà e all’accoglienza. In uno schizzo di terra circondata da un Mediterraneo tanto tranquillo quanto insidioso, c’è ancora tanta gente mossa da un’umana pietà che va oltre una legge iniqua. Ed è quello che è successo a Riace. Un meraviglioso atto di accoglienza, arricchito da una connotazione politica che si è fatto progetto di una società perfetta, di una favola, insomma. Ma che, come tutte le favole, era destinata a finire. E si è conclusa nel peggiore dei modi: impedendo l’azione del suo regista, senza riuscire, però, ad annientarne la forza carismatica. Magra consolazione. Intanto, le attività di ripopolamento attivo di Riace si sono bloccate e gli immigrati cercano rifugio altrove. Il modello utopico di integrazione di una società in cui i bambini africani parlano in calabrese e tifano per la Reggina; in cui le loro madri hanno imparato ad usare il telaio e a fare le conserve, proprio come facevano le nonne di tante ragazze del posto fuggite al Nord in cerca di fortuna: quel modello è stato infangato e distrutto. Con buona pace di Salvini, dei suoi seguaci e di tutto il fiume impetuoso dei suoi elettori. E la ‘ndrangheta gode. In un territorio colonizzato e violentato dalla criminalità organizzata, in un territorio spogliato della sua gente, impoverito e ridotto a zavorra dalla locomotiva Italia, che, senza il suo peso, svetterebbe ai primi posti in Europa per PIL e produttività, pare che l’unico problema sia l’immigrazione. Un’immigrazione usata come arma di distrazione di massa e come macchina di propaganda elettorale, demonizzata con strategica sapienza e acume politico. E se ne vedono i frutti ovunque. Basti pensare a ciò che è successo a Lodi, nel ricco Nord, a 1300 km di distanza da Riace. A Lodi, dove gli immigrati, pur tra mille difficoltà, lavorano, pagano le tasse, educano con dignità i propri figli, si sentono italiani, ma sono costretti ad accettare un pretestuoso provvedimento che allontana i figli da quell’importante luogo di socializzazione, di confronto e realizzatore di uguaglianze che è la mensa scolastica. Il provvedimento, com’è ovvio, ha avuto il suo strascico di commenti e di reazioni. Da una parte i sostenitori del sindaco: gli arricchiti che vedono nei nuovi barbari un pericolo per i propri tesoretti accumulati, i penultimi (ex discriminati, ex emarginati) che finalmente possono inveire nei confronti di qualcuno che reputano inferiore. Dall’altra i detrattori o, più semplicemente, la gente che comprende, sostiene, include e che per fortuna si è mobilitata per aiutare i nuovi paria, colpevoli di aspirare a una vita dignitosa, per sé e per i propri figli. Ed è dall’esempio di questi ultimi, dall’esempio di Mimmo Lucano e della sua giunta che occorre partire per ricominciare a sperare. Riace e Lodi – così vicini, così lontani – non sono altro che due facce complementari di un virus che ha il solo scopo di stornare, a suon di twitt e di post su Facebook, l’attenzione dai problemi reali del nostro Paese. Resistere, opporsi, trovare gli antidoti e curare il virus si può. Io, forse sbaglio, ma ci credo ancora.