Prenotazione anti over tourism. Sentiamo.. Andrea Casadei
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28 Maggio 2022Da Jan van der Borg riceviamo e volentieri pubblichiamo, a margine dell’INCHIESTA DI LUMINOSI GIORNI SULLE PRENOTAZIONI TURISTICHE, questo intervento che liberamente spazia sul tema, fornendo altre chiavi interpretative delle risposte degli intervistati.
LE ONDATE DI ESCURSIONISTI di questa primavera hanno fatto capire ormai a tutti, presidente dell’AVA Claudio Bonacini in primis, che la Giunta del ‘’sindaco che fa’’ Brugnaro (fare, evidentemente, non vuol dire produrre) non ha troppo le idee chiare su cosa fare per rendere lo sviluppo turistico, indispensabile per l’economia della città e non solo, compatibile con le altre funzioni che un sistema urbano importante come quello veneziano dovrebbe svolgere.
Dopo anni di inutili sperimentazioni, di promesse e di annunci e soprattutto dopo aver buttato via due anni di pandemia che avrebbero dovuto essere usati per cambiare definitivamente rotta in relativa tranquillità, il Sindaco e la sua squadra cercano ora di limitare i danni politici, non più nascondendoci dietro l’inutile smart control room, ma annunciano in tempi rapidissimi l’introduzione di un biglietto d’ingresso (finalmente), di un sistema di prenotazione (per fortuna, almeno così sembra, senza tornelli, ma con incentivi per chi prenota).
Nello stesso momento, tuttavia, si è anche riacceso il dibattito intorno alla cosiddetta capacità di carico di tipo turistico del centro storico, con esperti (e non) che sembrano sparare cifre in modo quasi casuale. Anche se questo concetto mi sta molto al cuore, perché concettualmente valido, non ho mai creduto che esso potesse fornire di per sé, come per magia, indicazioni precise, non gestibili e, pertanto, stabili nel tempo, a chi governa il processo di sviluppo turistico. Caso mai, e non è affatto una cosa di poco conto, ci dice quali siano le principali criticità nel sistema turistico, quali di queste criticità possano dar luogo a disagi per residenti, imprese e visitatori, e dove e come intervenire per eliminare questi disagi per rendere lo sviluppo turistico sostenibile.
Il più recente tentativo di calcolare la capacità di carico di Venezia è del 2019, poco prima della pandemia, ed è stato fatto da una squadra di ricercatori del Dipartimento di Economia da me diretta. Con un semplice modello di ottimazione è stato stabilito che Venezia potrebbe reggere tranquillamente 40.250 visitatori al giorno, di cui 37.000 visitatori pernottanti e 3.250 escursionisti, senza creare eccessive pressioni sui servizi privati e pubblici inclusi nel customer journey ipotetico e intasare eccessivamente lo spazio pubblico del centro storico. Questo significa, teoricamente e nel caso in cui la distribuzione di queste presenze fosse perfetta, che Venezia potrebbe accogliere 13.505.000 turisti pernottanti e solamente 1.186.250 escursionisti all’anno, per un totale di 14.691.250 di presenze annue, oltre gli abitanti temporanei e permanenti, pendolari, e così via. Con la chiusura di Piazza San Marco agli escursionisti, una di quelle idee twitterate da Brugnaro, si elimina una criticità importante e si porta il numero ottimale di presenze giornaliere a 52.000, di cui 37.000 visitatori pernottanti e 15.000 escursionisti, per un totale di 18.980.000 presenze annue. Già questo dovrebbe far capire quanto l’esercizio fatto sia sensibile all’utilizzo dei visitatori di specifici sottosistemi turistici e alla capacità organizzativa di colui che ci amministra, e quanto sia fuorviante pretendere che il problema che Venezia ha con il turismo sia legato semplicemente a un numeretto magico.
Ciò nonostante, l’esercizio qui sopra ci da alcune indicazioni importanti per la politica turistica veneziana. La prima è che con il numero di visitatori realizzato nel 2019 che si aggira intorno alle 30.000.000 presenze annue, un numero che secondo il UNWTO è destinato a crescere notevolmente, e distribuite iniquamente poi, la città soffrirà sicuramente in alcuni punti precisi, in alcuni giorni particolari e in alcuni momenti della giornata di eccesso di pressione turistica, e nuoce decisamente alla qualità della vita dei suoi residenti e, alla fine, anche alla qualità dell’esperienza di chi ci visita.
La seconda conclusione è che i turisti pernottanti non sono affatto un problema, anzi, ma con i 9.000.000 di pernottamenti registrati dal Comune nel 2019, ci sarebbe la possibilità di far crescere questo numero con 4.505.000 pernottamenti all’anno, o, in alternativa, usare lo spazio lasciato da essi per accogliere qualche escursionista in più. Insomma, niente numeri magici ma due indirizzi chiari per chi ambisce di governare i flussi turistici: occorre gradualmente ridimensionare il numero totale di presenza annue, e modificare la composizione del flusso incentivando ulteriormente il turismo pernottante e ove possibile disincentivando quello escursionistico.
Evidentemente, la sola distinzione tra turisti pernottanti ed escursionisti è solamente una caricatura della questione visitatori di ‘qualità’. Bisognerebbe considerare il footprint socioeconomico complessivo per definire le priorità da perseguire nella strategia turistica. Cioè premiare economicamente e con dei fast track chi vuole stare più a lungo in città, chi si comporta rispettosamente, chi capisce che Venezia è molto di più di un selfie davanti al Palazzo Ducale, chi viene nei momenti di tranquillità, chi dorme entro i confini comunali, e così via. Riqualificare la domanda turistica porterà anche ad un riorientamento complessiva dell’offerta turistica.
Un sistema di prenotazione potrebbe aiutare sicuramente a riqualificare la domanda turistica veneziana e rendere il turismo più vicino alle esigenze della città nella sua interezza. Un sistema di prenotazione senza divieti e tornelli, ma che usi incentivi mirati come quelli nominati prima, molto simile al prototipo che si chiamava Venice Card e che ho cercato di costruire nel 2002, ma che è stato disatteso nel 2005 da Paolo Costa. Anche qui, quasi vent’anni buttati al vento, molto probabilmente per la ricerca di discontinuità che caratterizza tutta la politica italiana. Infatti si trattava di un sistema che non si occupa minimamente di quei pochi picchi estremi e assolutamente fisiologici, che non solo sono difficilmente evitabili, ma che fanno parte integrante dell’essere città globale. Un sistema che punta esclusivamente sulla drastica riduzione del numero di giorni dell’anno considerati normali, ma in cui la capacità di carico viene superato di 10.000-15.000 presenze giornaliere.
Credo fermamente che sia proprio l’effetto frustrante di questa pressione che si sente ormai 200 giorni all’anno che porta la città alla monocultura turistica, alla McDonaldizzazione, alla Disneyficazione, che alimenta inevitabilmente il processo di soffocamento delle attività socioeconomiche non turistiche che andrebbe contrastata con maggiore fermezza e che sta alla base dell’esodo della popolazione e delle attività economiche verso la terraferma. Quello di rispalmare nel tempo o nello spazio, o, addirittura, di convincere a non venire affatto, anche solo una fetta significativa delle 10.000-15.000 persone in troppo in tutte quelle giornate ‘normali’ non solo inciderà molto di più nel rendere la città vivibile, ma sarà decisamente più facile, che fermare l’onda di visitatori a Pasquetta.
Oltre al sistema di prenotazione, occorre fare al più presto anche altre scelte coraggiose nei confronti del settore. Rinunciamo ad investire denaro pubblico in forme di turismo sia devastanti che povere (almeno per la collettività), come, ad esempio, quella crocieristica. Basta tollerare B&B che non rispettano le regole basilari, senza demonizzare la categoria tout court. Perché organizzare la Biennale e altre manifestazioni culturali importanti nei mesi estivi invece che in quelli autunnali e invernali? Perché non estendere lo sconto sul trasporto pubblico locale per chi possiede la tessera Venezia Unica dalla navigazione a tutto il trasporto tra la terraferma e Venezia, treni compresi, invece di introdurre un biglietto d’ingresso con mille esenzioni e impossibile da realizzare?
Oltre a questi interventi prettamente turistici, va capito e tradotta in termini concreti quell’idea ormai diffusa che il turismo sia un fenomeno trasversale, che tocca implicitamente anche molte politiche non turistiche, come quella della casa, quella ambientale, quella culturale, quella sociale, quella del mercato del lavoro, e così via. E qui arriviamo alla considerazione finale, cioè quella che per far tutto questo è necessario innanzitutto una chiara visione su come dovrebbe essere Venezia ed il sistema urbano ad esso connesso nel 2050. Una visione che pone gli abitanti e gli imprenditori al primissimo posto e che si traduce concretamente in tutti gli interventi a livello tattico. Compreso quello che spinge il sistema turistico ad una radicale revisione qualitativa. Oltre ad essere estremamente poco produttiva in questo senso, l’assenza di una chiara visione è probabilmente la più grande pecca della giunta Brugnaro. Oggi, invece, per colpa degli episodi estremi assolutamente prevedibili di questa primavera, l’urgenza politica soffoca qualsiasi ragionamento strategico e porta questo Sindaco e la sua squadra ad abbracciare solamente delle soluzioni che forse combattono, sì, alcuni sintomi, ma non le cause di fondo dell’overtourism veneziano.