
CASO SCURATI: LE IDEE FOSSILIZZATE DEI POLI ESTREMI
30 Aprile 2024
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2 Maggio 2024In questo articolo di rigenerazione urbana mi lascerò andare a una visione da sogno, se non anche da delirio. Nel senso che non ho assolutamente idea se ciò che sto per dire abbia qualche possibilità di agganciarsi alla realtà oppure sia pura visione, qualcosa che ti viene nelle nebbie dei momenti che precedono il sonno ristoratore. Inizi con un pensiero razionale, ma poi divaghi nel semionirico e le cose non si tengono più insieme.
Voglio parlare degli spazi abbandonati vuoti, quasi sempre edificati e dismessi per le più svariate ragioni, che giacciono inerti, come tumori o come lebbra, nei nostri territori, negli spazi urbani, semi urbani e anche in contesti dove domina lo spazio aperto e inedificato e lasciato ad una pseudo naturalità vegetale. Non è possibile elencare tutte le categorie possibili dei luoghi di questo tipo, ma va segnalato che ne fanno parte anche infrastrutture di ogni tipo e campionario (quindi non solo edifici) e tra gli edifici non solo quelli dismessi, ma anche i cantieri bloccati di edificazioni nuove (o che erano nuove), sia pubblici o a uso pubblico, che privati e per residenze o imprese private, a volte anche finite e pronte all’uso, che uso non è. Nella categoria non fa la differenza se tali strutture erano finalizzate ad uso produttivo, o di servizi o residenziale: ce né di tutte un po’. All’elenco andavano aggiunte fino a poco fa situazioni di rovine belliche risalenti a quasi 80 anni fa: esistono ancora, viste con i miei occhi a Palermo. E ne fanno parte suoli non edificati, anche mai edificati, ma lasciati all’incuria di una vegetazione invasiva che li rende impenetrabili per la presenza di infestanti di ogni genere, oppure malsani per pesanti forme di inquinamento (si osservi al riguardo a Venezia l’area dei cosiddetti Pili e che precede in terraforma il Ponte della libertà: un’Amazzonia impenetrabile di piante infestanti che avvolgono piante state sane e ora non più, poggiata su suoli inquinati con disseminate laghi-pozzanghere putride) .
Un caso a parte, ma ascrivibile alla categoria, sono i locali commerciali sfitti o inutilizzati. Nel censimento generale vanno messi, anche se le soluzioni rigenerative sono molto particolari e van trattate a sé.
Il territorio del Comune di Venezia, si è visto, offre un campionario illimitato di tutto questo universo pesantemente degradato, sia in terraferma (molto), ma anche in laguna e sui litorali. Alcuni sono noti alle cronache, ma la maggioranza sfugge alla notorietà e punteggia qua e là tutto il territorio, e, se le dimensioni sono ridotte passano inosservati, ma non sono meno dannosi per tante ragioni. Non li elencherò, perché in questa sede voglio parlare della tipologia in sé, e riserveremo ad un altro spazio l’inventario con nome e cognome nell’area veneziana.
In ogni caso ogni territorio italiano ha al suo interno situazioni di questo tipo, con una frequenza e una quantità crescenti viaggiando da nord a sud Italia, dove compare frequentemente ciò che forse al nord si mimetizza meglio: vale a dire l’abusivismo edilizio bloccato da qualche norma o da qualche provvedimento, oltre ovviamente all’impatto visivo semidiroccato dell’abusivismo invece vivo e vegeto, cioè utilizzato. Che tuttavia apparterrebbe ad un’altra categoria di degrado, unitamente alle situazioni di impatto visivo di edificazione in uso, ma non completata negli intonaci e nel tetto (e anche questo è un film molto meridionale), oppure completata e impattante, oppure inadeguata per gli spazi vitali. Ma anche questo è un tema diverso e se dobbiamo stare sul pezzo bisogna in questa carrellata tornare ai “buchi” inerti e inutilizzati e stare per ora solo su di loro. Avremo tempo per le altre tipologie.
Per consolarci possiamo dire che il mio occhio fine, ormai allenato all’osservazione di questi luoghi, ha colto tale situazione anche all’estero, in Francia a Marsiglia, per esempio (sud Francia, te pareva), ma con una connotazione distintiva rispetto all’Italia: sono numericamente nettamente inferiori.
Questi ‘tumori’ repellenti sono dannosi per ragioni che possono sembrare persino ovvie ma che vanno con un elenco ricordate.
Si comincerà dal degrado sociale che innescano, sia come rifugi di sbandati, che dovrebbero istituzionalmente avere a disposizione spazi per loro organizzati, sia come luogo di rifugio di molteplici illegalità. E se viene subito in mente la droga, per spaccio e consumo, va detto che non è l’unica illegalità, anche se ovviamente la più eclatante come notorietà.
Sono luoghi di scarsa igiene, con tutto ciò che ne consegue per la salute e per le conseguenze sulla massa biotica vegetale e animale, anche in ciò che la fa prolificare (leggi: topi, ma non solo), e forieri di umidità e marcescenza.
Sono luoghi pericolosi all’interno, ma anche verso gli spazi esterni pubblici e/o privati, per la precarietà delle strutture lasciate all’incuria e che si offrono frequentemente a quella legge della fisica che si chiama forza di gravità: le strutture spesso crollano su altre strutture, ma possono cadere anche sugli umani viventi, sia all’interno che all’esterno.
Non ci sarebbe poi il bisogno di sottolineare che il degrado di queste situazioni si allarga alle superfici limitrofe di territorio teoricamente sano, ma che subisce socialmente e sanitariamente il degrado per emanazione diretta o indiretta, con un effetto moltiplicatore.
L’impatto visivo è in questi casi un elemento indiretto e che tuttavia contribuisce a quella situazione di infelicità visiva, per cui certi luoghi deprimono l’animo del cittadino che avrebbe diritto ad uno spazio armonico e coinvolgente in senso positivo.
Costituiscono spesso una barriera territoriale che, se si trova all’interno di spazi urbani densi, si frappone alla mobilità e alle relazioni fluide. Con tutto ciò che ne consegue per i tempi del territorio e per uno svantaggioso rapporto spazio-tempo in grado di ostacolare una politica di riduzione e di controllo dell’energia da produrre e dell’inquinamento complessivo e delle emissioni di Co2.
In un contesto in cui la tecnologia sta cambiando velocemente gli stili di vita e i lavori, il riutilizzo o il ripristino di questi spazi eviterebbe la rincorsa a crearne di altri, laddove sono ancora necessari nei servizi alla cittadinanza, e se lo sono; e anche in questo caso il mancato riutilizzo, non importa se a fini pubblici o privati, induce a nuovo inutile consumo di suolo per finalità necessarie per la cittadinanza che, forse, non ne potrebbe fare a meno.
Il principio base che muove il mio pensiero sta nella mia fissa di avere un territorio pienamente razionalizzato e con una virtù di base: il senso o la sensatezza di ogni elemento, perché la sensatezza ottimizza il lavoro e l’energia armonicamente ed evita la dispersione, l’entropia.
Per ottenere tale situazione la mia mente dice: tutto ciò deve finire subito e al più presto. Il problema è il come.
E dov’è il sogno/delirio annunciato, il vaneggiamento, in questa descrizione e in questo obiettivo? Che, si dirà, (e qui mi autoelogio), è anzi molto realista e lucida.
Comincia adesso con le possibili soluzioni, non quelle tecniche, ma quelle relative ai passaggi concessi dal diritto, dalla legge e da tutti i suoi lacci e lacciuoli.
Perché io sono un maestro ad individuare i problemi, sono bravino e, credo, ho un po’ di visione, necessaria per trovare soluzioni geograficamente coerenti e adeguate agli obiettivi che si danno nel territorio, ma sono del tutto analfabeta sulle procedure, i vincoli di legge, la burocrazia e la coerenza con i dettati costituzionali. E su come attraverso queste procedure si possano trovare soluzioni per smuovere questo status quo che reputo negativo da tutti i punti di vista e credo di averli enumerati in modo completo.
Posso buttar lì alla rinfusa qualche flash incoerente, a braccio, da delirante, appunto.
La sicurezza, per esempio, può essere una leva. Unita alla considerazione che ognuno di quei buchi neri, piccoli, enormi, intermedi hanno comunque un proprietario, privato o pubblico non fa differenza. A cui andrebbe spiegato che lui non ha potere di vita o di morte su quei muri, su quei ruderi, su quel distributore di benzina dismesso, su quel roveto che assale gli alberi, su quei binari invasi dall’erba. Perché così come sono nuocciono alla sicurezza di tutti. Possibile che enti locali, prefetture e tutti coloro che hanno responsabilità dirette e indirette sulla sicurezza messa in scacco da molti dei luoghi citati non abbiano il potere per dire: mettere delle transenne o reti arancioni o murare porte e finestre e assicurarsi che nulla ci cada in testa non basta? O fai un progetto entro domattina per ripristinare nei modi in cui più ti aggrada quella struttura o la abbatti e la cedi, magari indennizzato. Un esproprio, se vogliamo. E qui l’ente che se ne appropria può farci un parco, riedificare o qualsiasi cosa vada bene. Oppure l’esproprio è direttamente sulla struttura, che chi ne viene in possesso può ristrutturare e riutilizzare o abbattere a sua volta.
Insomma, i motivi di sicurezza a 360° possono essere la leva. La scusa buona per abbattere dei diritti di proprietà che mostrano solo il loro lato più perverso. Un po’ come l’arresto di Al Capone (e prendo in prestito l’esempio da Lorenzo Colovini che lo usa spesso con contezza): è stato arrestato per evasione fiscale e non per le malefatte gangsteristiche e mafiose ben più gravi.
Non mi faccio ammaliare dalla retorica dei “beni comuni”, ma in questo caso senza retorica sostengo che questi tumori territoriali vanno d’imperio resi a chi ne può fare buon uso. Se poi sono già di enti pubblici, beh mi astengo dal commento. Se non fanno nulla e se li tengono così, vanno messi alla gogna.
In conclusione, ho solo posto il problema. E sul terreno delle procedure attendo lumi da chi ne sa più di me. Oltre a procedure giuridiche chiedo anche lumi sulle leggi urbanistiche di cui non so quasi nulla (mai avrei potuto fare l’assessore all’urbanistica anche in un comune di 500 abitanti) e se è realistico pensare se in uno stato riformabile qual è sempre uno stato nelle democrazie occidentale, si possano fare riforme draconiane su tutto ciò che riguarda lo snellimento gli appalti i passaggi negli enti locali e la selva dei ricorsi e dei controricorsi. Chiedo loro che con i codici in mano mi dicano quanto la legge italiana consente per forzare la mano e quanto potrebbe consentire o vietare con riforme, secondo il principio che il peggior nemico della democrazia è l’eccesso di democrazia, fatta di pesi, contrappesi e contrappesi dei contrappesi.
Anzi mi aspetto da quelli che ne sanno un contributo per la prossima puntata.
Mi si dirà: se anche trovi il grimaldello giuridico poi non ci sono sempre i soldi disponibili all’istante, né privati, né pubblici, a parte gli investitori alberghieri, in certi territori portatori di un’altra lebbra di tutt’altri caratteri, ma sempre lebbra (però, posso dire?, meglio che niente in zone che non abbiano overtourism). E se neanche questi quattrini ci sono, bene allora si trovi quel minimo necessario per abbattere e per restituire al suolo, aperto alle benefiche piogge, quelle superfici marcescenti. E in quel suolo piantumare alberi non manderà in rovina nessuno.
Alberi però, e non nuovi spazi agricoli, perché anche questi con il territorio strutturato non c’entrano proprio nulla. Ma è un’altra storia e ci ritorneremo.