
“Andarsene prima dell’orrore”. Il punto su eutanasia ed etica
6 Dicembre 2023
CONO DI LUCE Genitori e figli, i conflitti e le tenerezze di famiglia nelle pieces di Pierlorenzo Pisano
6 Dicembre 2023“Laura buongiorno, tempo fa si era parlato della possibilità che tu potessi scrivere un
articolo sulla rigenerazione urbana del quartiere Piave. La situazione è ormai nota, ma
sono le azioni possibili che interessano. Se sei ancora disponibile andrebbe scritto per
sabato 1 luglio, ma se necessario si può aspettare qualche giorno in più. Fammi sapere,
grazie, Carlo”
Entro il primo luglio. Siamo a dicembre e ancora giro intorno a questo articolo. Qualche
giorno in più è diventato qualche mese in più. Ringrazio Carlo per la grande pazienza.
Però sono mesi che ci penso, che incomincio e ricomincio. Non so se sono le “azioni
possibili” a bloccarmi, o “la situazione è ormai nota”? Forse entrambi. E non faccio che
pensare alle parole conclusive di Le città invisibili di Italo Calvino…
«L’atlante del Gran Kan contiene anche le carte delle terre promesse visitate nel
pensiero ma non ancora scoperte o fondate: La Nuova Atlantide, Utopia La Città del
Sole, Oceana, Tamoé, Armonia, New-Lanark, Icaria.
Chiese a Marco Kublai : ‒ Tu che esplori intorno e vedi i segni, saprai dirmi verso quale
di questi futuri ci spingono i venti propizi?
‒ Per questi porti non saprei tracciare la rotta sulla carta né fissare la data dell’approdo.
Alle volte mi basta uno scorcio che s’apre nel bel mezzo d’uno passaggio incongruo, un
affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che s’incontrano nel viavai, per
pensare che partendo da lì metterò assieme pezzo a pezzo la città perfetta, fatta di
frammenti mescolati col resto, d’istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda
e non sa chi li raccoglie. (…)
Gran Kan: ‒ Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può che essere che la città
infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.
E Polo: ‒ L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già
qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci
sono per non soffrire. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventare parte
fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e
apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno,
non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo
durare, e dargli spazio: è questo, io credo, il tema centrale, decisivo. E ritornando ai
miei dubbi: non ci sono azioni di rigenerazione che garantiscono il successo, e temo che
la situazione sia talmente tanto nota da rendere difficile vedere ciò che non è inferno.
Ciò non significa non provarci.
IL DEGRADO. UN’IMMAGINE CHE NON SI PUÒ NEGARE
Degrado [graduale passaggio da una condizione migliore a una peggiore: d. ambientale]
(decadenza, usura, incuria)
Un passo alla volta, quello che era uno dei quartieri “belli e buoni” della città è
diventato il simbolo dell’insicurezza e del degrado.
L’immagine che attualmente lo caratterizza è: il luogo dello spaccio / il luogo sempre
più fragile dei negozi e delle abitazioni sempre più vuote / il luogo di vita di nuovi
cittadini arrivati per lo più attraverso un’immigrazione “povera” (cinesi, bengalesi, e
adesso anche nord africani), pure se analizzando i dati si tratta più di una percezione che
di una realtà.
Il quartiere Piave è diventato negli ultimi anni il luogo simbolo del degrado cittadino,
proprio nel senso semantico di passaggio da una condizione migliore a una peggiore.
E anche se la percezione di degrado è nettamente superiore alla realtà (anche perché se è
vero che via Piave era una delle vie più eleganti della città, al contempo era anche la via
della prostituzione e del più famoso cinema a luci rosse di Mestre), non si può negare
che non ci sia spaccio, non si può negare che non ci sia una difficile convivenza tra
diversi gruppi di cittadini, non si può negare che non ci siano molti spazi residenziali e
commerciali vuoti. E non si può infine negare che non ci sia un forte decadenza degli
spazi pubblici, che anche se “puliti” hanno un aspetto trascurato, di “minimo
indispensabile”. Si può ridimensionare l’immaginario negativo sul quartiere Piave ma
non si può confutare la progressiva crescita di degrado degli ultimi anni.
IL QUARTIERE PIAVE: PILLOLE DI CIÒ CHE INFERNO NON È
Il quartiere Piave, non è e non è mai stato un quartiere omogeneo, possiamo descriverlo
come una somma di luoghi racchiusa tra la stazione di Mestre, i binari della ferrovia, via
Trento, via Miranese e via Carducci a ovest e nord, mentre il limite a est possiamo dire
sia Via Dante perché – a mio avviso – via Cappuccina è già un’altra cosa. Di questo
quartiere via Piave è la spina dorsale: tiene insieme questi luoghi e li caratterizza come
una “parte di città” riconoscibile.
Pillole di ciò che inferno non è, nell’idea che riconoscere delle differenze è
fondamentale per provare a costruire tattiche e strategie di rigenerazione non astratte.
Partiamo dalla stazione:
1) Hotel Bologna, Hotel Piave, l’Ostello ANDA
Proprio fuori falla stazione troviamo due importanti alberghi – l’Hotel Bologna e
l’Hotel Piave –entrambi caratterizzati al piano terra da bei locali. Sono i luoghi dei
convegni, degli incontri ma anche di un buon pranzo o una bella colazione. Avanzando
verso via Piave subito sulla sinistra troviamo l’Anda. L’Anda è un ostello da grande
città europea, dove si trova un certo tipo di turismo, quello che non solo ci dorme ma
anche lo vive. Lo vive utilizzando la sua cucina comune, lavorando ai tavoli della zona
comune e collegandosi a internet, lo vive partecipando alle serate organizzate, e
potenzialmente vivrebbe anche l’intorno urbano dell’ostello se non fosse che oggi offre
ben poco.
Hotel Bologna, Hotel Piave, l’Ostello Anda: strutture di alta qualità, dove non c’è
minimamente squallore malgrado la vicinanza con la stazione ferroviaria.
Squallore-squallido [Aspetto squallido, di tristezza, di miseria, d’abbandono.]
Quello che genera un senso di miseria diffusa è la triste composizione complessiva degli
spazi aperti. Non quindi la gestione degli spazi verdi o dei singoli elementi, ma proprio
l’assenza di un progetto complessivo degli spazi aperti. I dettagli “sono a posto”, è il
generale che è misero.
2) Via Dante, Il Cinema Dante, il Teatro Momo, l’Osteria Dante
Via Dante è attualmente una via ciclopedonale a tratti chiusa totalmente al traffico
veicolare che si snoda dalla stazione quasi fino al centro, dove si trovano l’unico cinema
d’essai di Mestre, il piccolo ma bellissimo teatro Momo, l’Antica Osteria Dante
Alighieri. E’ diventata una delle strade piacevoli della città, tra le case dei ‘ferrovieri’
con i loro giardini e la scuola secondaria di primo grado Giulio Cesare con il suo cortile
delimitato da alti pini marittimi. Piacevole da percorrere, piacevole da abitare, piacevole
da vivere.
Piacevole [che suscita un senso di benessere, di godimento interiore: un sapore p.; passare una p.
serata] ≈ amabile
3) Il Parco del Piraghetto e le case con giardino, le Case Ater
A ovest di Via Piave, tra la stazione, via Trento con i fasci di binari e via Miranese, si
estende un’area che definirei omogenea. E’ un’area prevalentemente residenziale, dove
si trovano piccole attività e scuole, ma tutto spalmato in modo uniforme senza eccessivi
salti di scala o variazioni di tessuto urbano.
A ovest si apre il Parco del Piraghetto che è stato recentemente oggetto di un progetto
molto importante e ben riuscito di utilizzo e recupero d’uso da parte dei cittadini che
vivono nella zona. Questo gruppo di cittadini attivi è poi diventato una delle
associazioni di movimento dal basso più importante della città: il gruppo Viva
Piraghetto. Oltre a questo parco vivo, quest’area è caratterizzata da un edificato per lo
più residenziale di grana piccola, dove anche i condomini hanno dimensioni contenute.
E’ un susseguirsi di piccoli edifici pluripiano e case unifamiliari circondate da giardini.
Sono costruzioni d’inizio e metà ‘900, e molte case sono di proprietà dell’Ater. Era un
quartiere di famiglie economicamente disomogenee, ma omogenee come tipologia di
famiglia.
Le strade sono a scacchiera, tutte simili e tutte a bassa intensità veicolare. E’ un’area
che sa di città domestica, un’area dalle grandi potenzialità per la città del quotidiano, ma
è un’area che sta appassendo. Sta appassendo perché si sta svuotando di cittadini: molti
sono gli appartamenti dati in locazione turistica, molte le Case Ater chiuse, molte le
abitazioni dove sono rimasti ormai anziani soli. Il quartiere non pulsa più.
Domestico [che appartiene alla casa ([della casa, della famiglia) ≈ casalingo, familiare, privato. ●
Espressioni: focolare domestico] focolare domestico [la parte più intima dell’abitazione, simbolo del
nucleo familiare].
4) Via Piave e i suoi bei negozi, il crocevia con la chiesa, piazzetta San Francesco
Via Piave era la via dei bei negozi, si veniva da Venezia centro per fare acquisti. Sono
scomparsi quasi tutti e trasformati in altro. Ma alcuni di questi rimangono in una sorta
di resistenza al degrado. I proprietari si sentono, a ragione, dei veri e propri combattenti
sul campo in difesa di questo luogo. Resistono all’abbandono, al degrado e al
successivo squallore. Favaretto e il suo arredo di qualità; il rivenditore di bici della
Breda (fatte a Marghera); Gasparini, il rivenditore di automobili con ancora le macchine
in vetrina; Leonardo, una tra le più belle gioiellerie; il Pipa Club Venezia, la più fornita
tabaccheria di Venezia; la coltelleria Craighero. Tutti negozi che danno l’idea di cosa
fosse il commercio in questa via e che rappresentano un elemento da salvaguardare e da
cui forse ripartire.
Via Piave come tutte le vie importanti non è un canale a sezione uniforme, ci sono punti
in cui si dilata e punti in cui si restringe, non soltanto nel senso fisico ma proprio nel
senso di uso. I due punti più interessanti di dilatazione sono dove incontra piazzetta San
Francesco che con il suo mercato interno è un vero gioiello, e il Crocevia dove quattro
edifici uguali di inizio ‘900 posti su entrambi i lati della via racchiudono lo spazio della
Chiesa e legano via Felisati a via Piave. Lo spazio invece “contratto” lo si trova nel
punto della ex Lavanderia Meccanica Militare: due muri alti chiudono la via
trasformandola in uno squallido marciapiede.
5) Un quartiere multienico negozi e locali
Non solo Kebab e scombinati negozi di riparazioni sartoriali.
All’inizio di via Piave verso la stazione c’è un negozio cinese di alimentari dove si
possono trovare tutti, ma proprio tutti, i prodotti necessari a preparare un piatto orientale
con i diversi tipi di soia, di riso, di salsa. A metà di via Piave c’è la macelleria orientale
con carne Halal e prodotti di cucina orientale. Poco più avanti un fornito alimentari
rumeno permette di trovare tutto ciò che serve per la cucina balcanica e dell’est.
Ci sono diversi ristoratori cinesi, tra cui il ristorante Azzurra, il primo della città
all’inizio di via Piave, con lanternine rosse e le scritte esterne solo in cinese, un fuori
scala incastrato tra grandi edifici; e poi c’è quello nuovo all’incrocio con via Carducci
sempre pieno di comitive; c’è un ristorante greco, Ca’ dei Greci, aperto un anno fa, che
per cenare bisogna prenotare molto tempo prima. C’è un ristorante africano a metà della
via, ancora poco invitante ma magari in futuro chissà; c’era un elegante ristorante
coreano in via Trento che purtroppo ha chiuso; e poi, come diceva un mio giovane
amico, una città è città quando ci sono i kebabari e questi in via Piave certo non
mancano.
Ci sono due parrucchieri gestiti da cinesi, quelli di una piega veloce ed economica
ormai utilizzati da quasi tutte le donne. E ci sono naturalmente i piccoli negozi di
alimentari gestiti dai bengalesi che non chiudono mai.
7 POSSIBILI AZIONI DI RIGENERAZIONE URBANA ALLA SCALA DI
QUARTIERE
Non ci sono ricette, azioni codificate da manuale tecnico, applicabili come fosse una
formula, dietro ai migliori progetti di rigenerazione.
C’è piuttosto un intrecciarsi di azioni, alcune delle quali magari reagiranno
positivamente e altre meno, perché è sempre difficile prevedere il risultato finale, ma è
comunque importante innescare un processo iniziale.
Nel quartiere Piave ritengo che non servano grandi interventi, nuovi e forti attrattori. In
verità c’è già molto, se non tutto: bisogna soprattutto invertire tendenze, prendersi cura
con costanza e continuità nel tempo, mettere a punto e moltiplicare la “dimensione
quartierale” – se possiamo dire così – del quartiere.
C’è però un presupposto ormai inderogabile: ed è che la città è composta anche da un
grande numero di cittadini stranieri immigrati. Bisogna agire consci che dobbiamo
lavorare per una nuova comunità, che esiste e va riconosciuta.
Tutto quello che scrivo muove dunque da questo presupposto: esiste una nuova
comunità che va costruita, dove chi abita e lavora è cittadino di questa città, con il
diritto di appartenere e a sentirsi riconosciuto nel luogo dove porta avanti il suo progetto
di vita.
Detto questo, azzardo 7 possibili azioni che potrebbero innescare un processo
rigenerativo.
(ABITARE)
- Ripristinare un sano abitare.
Sano. L’aggettivo Sano si usa per descrivere una persona o un animale che è in buone condizioni di
salute, cioè non ha malattie, disturbi o malfunzionamenti degli organi e apparati del corpo […]Si
dice sano, inoltre, ciò che rivela buona salute
Le persone di qualsiasi età, le famiglie di qualsiasi natura e dimensione devono tornare
a vivere in questo quartiere ormai abitato prevalentemente da soggetti fragili: anziani o
immigrati. Dove la svendita delle abitazioni al grande mercato del turismo, e la chiusura
di tante case dell’Ater hanno conferito un colpo quasi definitivo. Le case dei ferrovieri,
le case di piazzetta San Francesco, le case di tutto il quartiere del Parco del Piraghetto,
tra via Trentin, via Fiume, via Cavallotti, devono tornare ad essere riempite da cittadini
che vivono la città, e per fare questo servono politiche che le rendano accessibili:
ostacolando l’incremento ad affittanze turistiche; ostacolando le speculazioni di affitto e
subaffitto a più famiglie di immigrati di singoli alloggi; ostacolando l’incremento di
vuoti, abbandoni e case chiuse nelle case di proprietà pubblica. Come ci insegnano gli
ultimi trent’anni qui e ovunque, politiche esclusivamente a favore della valorizzazione
turistica e delle rendite producono inabitabilità e alla lunga degrado. Su questo esiste un
recente e forte dibattito culturale e pubblico, e invertire le cose è possibile, basta
volerlo.
(SPAZI APERTI) - Ridisegnare gli spazi aperti, le pavimentazioni, l’illuminazione, la segnaletica, i
marciapiedi.
La qualità dello spazio pubblico è un’importante infrastruttura di abitabilità. Magari non
sufficiente, ma necessaria. Va ridisegnata via Trento fino a quando non si immette in via
Miranese, ovvero tutto lo spazio tra i fasci dei binari e l’abitato; va ridisegnata via Piave
che merita essere di più di una successione di parcheggi e cassonetti, di brutti lampioni
e filo spinato sul muro di recinzione dell’area delle ex Lavanderie, con fermate
dell’autobus senza neanche una tettoia per la pioggia o per il sole. Vanno ridisegnate le
sezioni delle strade intorno al Parco Piraghetto dove basterebbero delle belle alberature
per diventare tante “Vie Felisati”, che con i suoi magnifici pruni in primavera sembra
quasi di essere in Giappone; vanno ridisegnati gli spazi tra le case dei ferrovieri che ora
sono esclusivamente delle spianate in asfalto dedicate al parcheggio selvaggio.
(MOBILITA’) - Mobilità, biciclette, parcheggi, fermate autobus
Automobili ovunque, strade tutte a doppio senso di marcia, parcheggi spalmati in ogni
dove. Fermate dell’autobus tristi, un palo con un cartello degli orari, spesso senza
pensilina, non parliamo di un posto per sedersi e autobus sempre strapieni. Le piste
ciclabili incominciano a comparire e prendere peso.
Muoversi a piedi, muoversi in bicicletta, muoversi con i mezzi pubblici e farlo senza
fatica, nel “bello”, è un aspetto fondamentale della qualità della vita in una città.
Sicuramente è uno degli aspetti che non funziona ancora in questo quartiere, non c’è
equilibrio tra lo spazio delle macchine e quello dei pedoni e delle biciclette.
(CITTADINANZA ATTIVA, COMUNITA’, PROSSIMITA’) - Valorizzare e collaborare con le associazioni e i cittadini attivi che lavorano sul
territorio.
Per fortuna la città non è ferma ad aspettare che un sapere o un potere la salvi dall’alto.
Proprio nel quartiere di Piave hanno sede le associazioni che più stanno lavorando sullo
spazio urbano. Tutto il grande movimento di “riprendiamoci la città” nasce tra le
associazioni presenti in via Piave che da anni lavorano sul territorio come il Gruppo di
Lavoro di di Via Piave. Si trovano inoltre la prima Portineria di Quartiere, Viva
Piraghetto di cui abbiamo già parlato, associazioni di teatro, e anche importanti
associazioni che lavorano con e per gli stranieri, da La Casa di Amadou a PassaCinese.
Pensare di governare o rigenerare un territorio senza le esperienze sul terreno sviluppate
da questi gruppi di cittadini sarebbe anacronistico.
(SCENA URBANA)
- Salvaguardare e incentivare l’apertura di attività commerciali, bar e ristoranti
di qualità e di quartiere.
Parola ambigua “qualità”. Ma credo sia necessario porre attenzione a questo aspetto, per
valorizzare i negozi di qualità che sono rimasti, per incentivare l’apertura di altri
esercizi commerciali simili e incrementare i negozi multietnici di valore.
Se in un paese chiude il bar si dice che quel luogo è destinato a morire. Lo stesso vale
per le città: se chiudono i bar e le vecchie trattorie i quartieri sono prossimi alla morte. Il
quartiere Piave è ancora un luogo con bar e trattorie (quasi tutte osterie), dove prendere
il caffè la mattina e andare a far pranzo alla domenica; dove vanno i cittadini e poco i
turisti alla scoperta di qualcosa di vero. L’Antica Osteria Dante Alighieri, l’Osteria
Vecia Posta in Piazzetta San Francesco, l’Osteria la Pergola, il Bistro Grand Central
sono i locali della dimensione giusta per questo quartiere, vanno valorizzati e
moltiplicati.
Nel quartiere Piave, come già scritto, potrebbe svilupparsi anche una ristorazione non
italiana, che però andrebbe sostenuta per diventare di qualità. Lavorare concretamente ai
fini di una società multietnica significa in questo caso la costruzione di un’immagine
positiva che questo tema può e deve avere. Il quartiere Piave può giocare un ruolo
decisivo su queste tematiche.
(CULTURA) - Incrementare le strutture culturali alla scala di quartiere, creare spazi e centri
culturali ibridi.
Il cinema Dante, il teatro Momo, gli eventi del Parco Piraghetto non sono sufficienti a
costruire un tessuto culturalmente vivace: non ci sono ragazzi, non ci sono bambini, non
ci sono studenti che frequentano il quartiere. La vicinanza alle strutture culturali
importanti della città come la Biblioteca Centrale, il teatro Toniolo, l’M9 rischia di
inibire l’apertura di strutture più piccole alla scala di quartiere e di carattere diverso. Si
sente la mancanza e il bisogno di nuove strutture culturali ibride gestite da giovani e
frequentate da giovani che punteggino un tessuto prevalentemente residenziale. Come i
migliori casi recenti insegnano, sono proprio i processi di innovazione sociale a base
culturale che innescano la rigenerazione dei territori.
(VUOTI) - Aprire e riattivare i grandi vuoti urbani
Spesso nei luoghi che hanno bisogno di essere rigenerati si trovano “grandi oggetti”
vuoti o semivuoti che creano delle macchie buie nei tessuti urbani, trascinandosi dietro
anche il loro intorno. Uno dei luoghi che andrebbe aperto alla città e il grande e
bellissimo spazio della Ex Lavanderia Meccanica Militare di Via Piave. Qui uno dei
punti di leva per il ripensamento e la riattivazione di via Piave.