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29 Settembre 2023Ri-generazione urbana recita il titolo di questa rubrica (così formulata per l’ultima volta, leggendo si capirà perché). E in procinto di affrontare i grandi temi programmatici per il futuro prossimo di Venezia e della sua terra, il tema delle ri-generazione risulta uno di quelli centrali, direi decisivi. Vincere la sfida su questo terreno, impattando soluzioni tangibili e migliorative, può voler dire la svolta o, in altri casi, un cambio di passo.
Tuttavia, questo termine per non essere la solita foglia di fico, una panacea per significare tutto e niente, ha bisogno di alcune puntualizzazioni di merito e di metodo, per renderlo comprensivo e riferito a tutta una serie di azioni che chi amministra il territorio sin da ora dovrebbe compiere. E ripromettersi di continuare anche con il rinnovo, vicino o lontano che sia, dei mandati amministrativi. Vale a Venezia ma vale ovunque, nel pianeta intero vorrei dire, ci si ponga il compito di elevare la qualità della vita dei cittadini. Specie di quelli, e sono tanti, che si trovano sotto un livello dignitoso di qualità del vivere per le condizioni precarie, strutturali e sociali, del territorio in cui risiedono. Un compito che vale per tutti, al di là persino dei colori politici.
Cerco di mettere perciò in fila le problematiche, i chiarimenti semantici, l’insieme di azioni necessarie che subito emergono quando si parla di ri-generazione.
E comincio con una divagazione e una precisazione lessicale.
URBANA. Il termine, l’aggettivo, anzi, è da ritenersi sostanzialmente superato. L’urbano come categoria definita e compiuta non esiste più o comunque non è più così evidente e identificabile con nettezza. Per la buona ragione che è impossibile ormai individuare con nettezza ciò che non è urbano, un tempo identificato come ‘campagna’. La campagna con l’urbano ha costituito una polarità dei contrari che ha accompagnato l’umanità per secoli, se non millenni. Questa polarità si è in qualche modo disintegrata con la modernità contemporanea, con una grande accelerazione negli ultimi trent’anni. E non solo perché la città si è mangiata la campagna con la cementificazione, cosa vera ma sin troppo ovvia, ma perché la distanza relazionale tra le polarità città/campagna si è annullata. Si è annullata con la rete mass mediatica e soprattutto informatica e con tutto ciò che è l’immateriale, con la velocizzazione e soprattutto con l’intensità della mobilità di persone, merci e materiali in genere; e ancor di più è una polarità annullata per le attività lavorative prevalenti, quantomeno in Europa e in Occidente, che relegano l’occupazione in agricoltura, e nelle attività primarie, un tempo costitutive della campagna, a numeri bassissimi, quasi nulli. Si può anche risiedere in mezzo a campi di mais sconfinati ed essere urbanizzati nelle attività che si svolgono, pur non muovendosi da casa. O muovendosi da casa, timbrare il cartellino a Manhattan, a Milano/ CityLife o anche in Corso del Popolo, e tornare in mezzo ai grebani solo per dormire e per la Messa alla Domenica. Anche la stessa cosiddetta ‘ Italia dimenticata’ e svuotata, dell’Appennino, delle Prealpi e di certa collina, appare più come una periferia territoriale che come entità ‘diversa’ e distinta dall’urbano. Al di là delle apparenze, che direbbero il contrario, quando questa Italia dimenticata e svuotata (categoria forse anche europea) cerca, spesso riuscendoci, di rilanciarsi, lo fa – e non potrebbe farne a meno – con attività e modalità in piena relazione con l’urbano, come il turismo temporaneo, o anche stanziale con lavoro a distanza, e con filiere agrarie corte non solo di autoconsumo, ma soprattutto in gran prevalenza aperte al mercato ‘urbano’, sempre più desideroso di alternative. Per capirci ‘Slow Food’ è un fenomeno pienamente urbano, ma ciò vale anche per il cosiddetto ‘out door’ escursionistico e salutistico, non a caso definito, si, ‘fuori’, ma appena ‘fuori della porta’; di fatto ‘appena dentro’ (come in fondo ‘urbane’ erano già con grande anticipo le gucciniane ‘osterie di fuori porta’ della metà del secolo scorso). Il termine più corretto per tutto ciò, e soprattutto il concetto che sta sotto, sarebbe infatti “territorio”, nel quale c’è solo civitas di un luogo, e in cui le differenze nelle forme, nelle articolazioni e nelle densità di ogni fenomeno sono sempre più ininfluenti nel determinare separatezze . Può piacere o non piacere , ma la realtà mi pare questa. Per cui la rigenerazione va intesa come un’azione a 360°, di cui tutti i territori necessitano, chi più chi meno, senza distinzioni o aggettivi distinguenti. Le facoltà universitarie si sono da tempo nominalmente e quindi sostanzialmente aggiornate, abolendo la dizione ‘urbanistica’ e sostituendola correttamente con pianificazione territoriale. Attendiamo che lo facciano presto anche i nominalmente obsoleti assessorati all’’urbanistica’ degli enti locali.
DE-GRADO. E’ l’oggetto della ri-generazione, il nemico da battere. E’ il termine, e il relativo concetto, in questo caso direi pienamente corretto, per definire tutte quelle condizioni territoriali, nelle strutture, nelle infrastrutture, nei suoli stessi con la loro bio-massa più o meno compromessa, che per le più svariate ragioni hanno perso in parte o del tutto la funzione che svolgevano a pieno regime, o in precedenza. E che si sono mantenute in una condizione larvata di fatiscenza, di abbandono e di non utilizzo; ivi comprese quelle situazioni territoriali che, di fatto, seppure con una loro funzione originaria, si pongono come ostacolo ad una fruizione da parte della civitas; come ‘vuoto’ territoriale cioè o per impatto ambientale, di solito, oltre a tutto, pesantemente anti estetico. A questa condizione direttamente visiva e tangibile si possono unire un impoverimento nei servizi essenziali, un abbruttimento nelle condizioni di vita, nell’igiene e nella salute pubblica e personale, e un insieme di alcuni fenomeni sociali pervasivi. Questi in grado di incidere in negativo sull’equilibrio sociale di un territorio, sulla qualità della vita e/o sulla sicurezza, in tutti i sensi, del vivere quotidiano. Tutte queste condizioni, prese una per una, o, non raramente agenti simultaneamente, costituiscono una condizione di de-grado, che una ri-generazione dovrebbe sanare con azioni di bonifica territoriale e sociale; o restaurando le precedenti funzioni o invece, ed è il caso più frequente, riadattando le vecchie strutture a nuove inedite funzioni migliorative per la vita collettiva e individuale. La lista dei fenomeni potrebbe continuare ancora: deindustrializzazione, scarsa integrazione e isolamento dei territori tra di loro con relativo ostacolo alla mobilità, abbandono agricolo, spopolamento o sovrappopolamento, edifici o infrastrutture abbandonati o dismessi, infrastrutture viarie dismesse, elevata disoccupazione locale, evasione scolastica, condizioni di vita sotto la soglia della povertà, alti tassi di criminalità e di illegalità, elevati livelli di inquinamento, precarietà delle strutture abitative.
DOVE LA RI-GENERAZIONE? Ovunque, dai centri storici, ai borghi medievali, dai quartieri popolari novecenteschi alle strutture costiere portuali o turistiche, dall’abbandono delle culture agrarie riconquistate dalla boscaglia rinselvatichita ai ‘deserti’ agrari delle terre di bonifica da riforestare, dagli immensi hinterlands sub urbani di pianura all’alta montagna.
COME LA RI-GENERAZIONE? Va da sé che il primo soggetto agente è l’amministrazione pubblica locale e quelle alle scale più alte, Regioni, Stato, Europa stessa, per gli indirizzi politici e legislativi, e soprattutto per i finanziamenti adeguati. Ma molto deve passare per la cittadinanza attiva che può accompagnare e addirittura precedere l’ente pubblico per la conoscenza diretta del territorio e per la capacità di coinvolgimento sociale. Funzioni nuove possono sostituire quelle abbandonate, senza dimenticare che funzioni abbandonate possono in qualche caso ritornare alla loro vita precedente (un ‘ramo secco ferroviario’, oltre come già è accaduto positivamente, a divenire il sedime per una via ciclabile, può tornare ad essere ‘ramo vivo ferroviario’, magari con strutture e tecnologie rinnovate). La bonifica dei suoli è la base per certa ri-generazione, mentre più complessa e difficile ma ugualmente necessaria è la cosiddetta ‘bonifica sociale’. Per la quale inevitabilmente non è possibile basarsi solo sulla pur necessaria repressione del crimine, ma è obbligatorio passare per il ripristino della legalità a tutti i livelli. E in contemporanea attraverso la prevenzione, che rimuova le cause sociali ed economiche che determinano l’illegalità. Va da sé che in un luogo molto degradato socialmente la messa in atto di nuove funzioni ad alta qualità culturale e sociale hanno non solo un valore in sé, ma sono di per sé un’azione di bonifica, di risanamento e di presidio permanente del territorio
IMPATTO, ESTETICA, EQUILIBRIO. Non bisogna aver pudore nel riferirsi al ‘bello’ come azione ri-generativa. Visto che, nonostante un certo tasso inevitabile di soggettività della categoria, il ‘bello’ ha in sé il valore di equilibrato, coerente ed armonico; ed è il contrario, cioè, di squilibrato, incoerente e disarmonico, solitamente gli attributi del ‘brutto’. È chiaro che una funzione economica e sociale da inserire con un processo rigenerativo in un certo contesto degradato non può e non deve essere sacrificata al ‘bello’, su cui ha la priorità. Soprattutto se è una funzione di facilitazione dell’accesso a servizi e a condizioni che garantiscono diritti di cittadinanza di base (sanità, istruzione, lavoro, cultura, mobilità). In definitica se un elemento territoriale ‘brutto’ era, ‘brutto’ resta se l’azione rigenerativa è efficace e non ha alternative estetiche, anche se poi non sarà mai ‘brutto’ come lo era nella condizione di degrado precedente e un punto in più a favore del ‘bello’ ci sarà sempre in ogni caso, anche per il solo fatto di ottenere qualcosa di rigenerato. Ma sono poi casi limite, dal momento che in generale oggi non c’è contesto territoriale in cui le tecnologie non siano in grado di rendere compatibili il ‘bello’ con il ‘funzionale’, senza mortificare nulla dell’uno e dell’altro. La stessa cosa vale infine per le compatibilità ambientali, cioè le compatibilità degli interventi sul territorio con il mantenimento della salute della biosfera e dei suoi ecosistemi. Una buona parte degli interventi sull’ambiente, soprattutto se sistematicamente accompagnati da azioni compensative e opportune mitigazioni, può in molti casi, anche attraverso appropriate tecnologie, essere messa in atto senza aggravare le grandi emergenze del momento: Il cambiamento climatico, le sue cause e le sue conseguenze, le acque interne e il loro regime fuori controllo, lo stato di precarietà degli strati di suolo sui versanti montuosi e l’avvelenamento delle acque, dei suoli e dell’atmosfera, attraverso le immissioni di sostanze ad alta tossicità. Senza contare che il non aggravare e, possibilmente, contribuire a sanare tutto ciò che costituisce emergenza ambientale, in senso lato sono azioni che fanno parte anch’esse della vasta attività rigeneratrice. Anche la condizione emergenziale dell’ambiente è difatti una oggettiva condizione degradata.
Per ora è tutto, ma mi pare sufficiente.