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15 Settembre 2025Il 29 settembre, giorno di San Michele Arcangelo, per Mestre non è mai stato una data come le altre. Per generazioni è stato il giorno della festa, della fiera, del ritrovo. Un appuntamento che riempiva Piazza Ferretto di voci, colori, bancarelle e che soprattutto consolidava il senso di comunità dei mestrini.
San Michele ha rappresentato, per secoli, un momento in cui la città si guardava allo specchio e si riconosceva. Non solo festa religiosa, ma celebrazione laica e popolare, che univa grandi e piccoli, cittadini e campagna, istituzioni e famiglie.
Oggi, mentre Mestre corre veloce nel segno della modernità e delle trasformazioni urbane, forse vale la pena fermarsi e ripensare a quel sentimento. Non per nostalgia sterile, ma per capire cosa ci manca e cosa possiamo ritrovare.
San Lorenzo o San Michele? Una lunga disputa
Parlando di patrono, emerge subito una curiosità: chi è davvero il patrono di Mestre? Per la tradizione popolare molti pensano a San Michele, ma in realtà i documenti più antichi ci raccontano un’altra storia.
Già nel 1152, in una lettera di papa Eugenio III al vescovo di Treviso, si parla della plebem S. Laurentii de Mestre, con il castro e il porto. Padre Coronelli, nel XVII secolo, scrive che il “tutelare” di Mestre è San Lorenzo. E ancora nel 1832 il Barcella ricorda come fosse proprio San Lorenzo il protettore della città.
La festa di San Lorenzo, il 10 agosto, era quindi la ricorrenza ufficiale, celebrata anche dalla Podesteria con inviti formali a partecipare alle funzioni solenni. Ma c’era un problema: ad agosto Mestre era vuota, la gente era nei campi o in villeggiatura, e la festa cadeva in un momento in cui la città non riusciva a viverla appieno.
Ecco allora che San Michele, con la sua fiera secolare, prese il sopravvento. La ricorrenza del 29 settembre diventò via via la più sentita, e nella memoria collettiva il santo guerriero divenne a tutti gli effetti il patrono “di cuore” dei mestrini.
La fiera e il “patto dei gnocchi”
Le origini della Fiera di San Michele risalgono addirittura al 1328. Con la conquista veneziana di Mestre, nel 1337, la festa si radicò ancora di più, diventando appuntamento laico e commerciale di enorme rilievo.
Piazza Ferretto si riempiva di bancarelle, giochi, animali, spettacoli. Nei secoli cambiavano le merci, ma non lo spirito: si passava dai cavalli e dai buoi alle specialità agricole, fino ai dolci come il celebre “Dolce Torre”, fatto di frolla, marmellata di arance amare e pasta di mandorle con nocciole.
Non mancavano momenti di grande partecipazione popolare: la tombola, la pesca di beneficenza, i giochi collettivi che trasformavano la festa in un rito condiviso.
Celebre anche la disputa con Mirano, che rivendicava la stessa data per la propria festa di San Michele. Nel 1477 il Senato Veneto dovette intervenire, stabilendo che Mirano avrebbe anticipato i festeggiamenti al 21 settembre, festa di San Matteo. La tradizione popolare ha tramandato questo episodio come il “patto dei gnocchi”: i mestrini, con astuzia e convivialità, avrebbero convinto i miranesi a cedere la data in cambio di un pranzo a base di gnocchi. Un aneddoto che dice molto sul carattere della nostra gente: concretezza, furbizia, ma anche capacità di trasformare un conflitto in un momento conviviale.
Le radici della comunità
La Festa di San Michele non era solo una data sul calendario, era un collante sociale. In tempi in cui Mestre non aveva ancora l’aspetto che conosciamo oggi, quando la città era attraversata da campagne, botteghe e traffici mercantili, la fiera rappresentava un’occasione unica per incontrarsi.
Era il momento in cui tutti erano “mestrini”, senza distinzioni. La festa rinsaldava appartenenza e identità: ci si riconosceva come comunità.
Non a caso, due date legate al 29 settembre restano scolpite nella storia:
- nel 1337 Mestre passa sotto Venezia, grazie alla corruzione dei mercenari tedeschi che difendevano il castello per gli Scaligeri;
- nel 1513 la città resiste all’assalto di spagnoli e lanzichenecchi, e il Senato Veneto premia i mestrini con lo stemma arricchito dalle lettere M.F.: Mestre Fidelissima.
Vicende che intrecciano la festa popolare alla grande storia.
E oggi?
Oggi San Michele si celebra ancora, ma con toni più ridotti. L’alza bandiera in Piazza Ferretto, qualche iniziativa culturale o religiosa, un richiamo alla tradizione. Ma il sentimento non è più quello di un tempo.
La Mestre contemporanea è una città veloce, che cambia, che ha perso in parte il suo centro di gravità. Le nuove generazioni sono immerse in un mondo digitale, spesso più connesso al globale che al locale.
Eppure, è proprio qui che la memoria può tornare utile. Recuperare lo spirito di San Michele non significa fare una rievocazione nostalgica, ma ripensare a cosa rendeva quella festa speciale: lo stare insieme, il sentirsi comunità, il riconoscersi cittadini di un luogo con una storia comune.
Riscoprire Mestre
Scrivo queste righe con un obiettivo preciso: ricordare e rilanciare. Non si tratta di opporre il passato alla modernità, ma di intrecciarli.
Se oggi Piazza Ferretto non si riempie più come allora, possiamo però riscoprire lo stesso spirito con altri linguaggi, altre modalità, altre forme di aggregazione. Gli studenti, le associazioni, i commercianti, il mondo culturale: tutti possono essere parte di un nuovo modo di vivere la città, che riparta da quel senso di appartenenza.
San Michele ci ricorda che Mestre non è solo cemento e strade trafficate, ma è una comunità con radici profonde. Una città che sa cambiare, ma che deve tenere viva la sua anima.
Il 29 settembre, dunque, non è solo il giorno di una ricorrenza religiosa o di una fiera dimenticata: è il simbolo di una città che vuole ricordarsi di sé stessa.
Conclusione:
San Lorenzo resta il patrono ufficiale, San Michele quello popolare. Ma al di là delle dispute, il messaggio è chiaro: ogni città ha bisogno di momenti in cui ritrovarsi. Mestre lo aveva con San Michele, e forse può tornare ad averlo oggi, se sapremo reinventare quello spirito di comunità.