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6 Dicembre 2023“È utile considerare il conflitto tra Russia e Ucraina e Israele e Hamas come uno scontro tra “civiltà occidentale” e “gli altri”? No, a parere di chi scrive. Si tratta infatti di un terreno estremamente scivoloso.
In primo luogo per le difficoltà a definire che cosa sia l’Occidente e chi ne fa parte, aspetto che ha implicazioni dirette per i conflitti in corso.
Che cosa intendiamo infatti con il termine “civiltà occidentale”? Come tutte le idee, anche il concetto di civiltà occidentale ha una storia che per molti versi ha assunto un significato di più ampie dimensioni, spesso in contrapposizione ad altre civiltà. È una cultura fatta di valori, storia e tradizioni comuni oppure di istituzioni e regimi di governo specifici, come la democrazia o di entrambi gli aspetti? In ogni caso, i rischi di interpretare la situazione internazionale secondo quest’approccio – l’Occidente culturale e l’Occidente come regime di governo – sono molteplici.
È sensato giustificare prese di posizioni internazionali o aiuti finanziari e militari sulla base dell’appartenenza a l’Occidente culturale? Se considerassimo, ad esempio, l’idea di Huntington della civiltà occidentale come una civiltà culturale, l’Ucraina e Israele ne farebbero parte? Huntington stesso considera l’Ucraina come parte della “civiltà ortodossa” e Israele come “civiltà” autonoma, con similarità con l’Occidente ma diversa.
Dei confini stessi dell’Occidente sono esistite interpretazioni diverse nel tempo perché il suo significato in un determinato contesto dipende ed è dipeso interamente da chi invoca il termine e per quale scopo. Se diciamo che è l’Europa, teniamo conto che in passato la Germania a volte è stata considerata Occidente e a volte no; la Polonia e l’Europa orientale sono stati a volte considerati parte dell’Occidente, a volte parte dell’Oriente; i Balcani sono sempre stati considerati come paesi lontani dalla civiltà occidentale; così come la Russia. E tuttavia l’Encyclopædia Britannica nel definire i “Great Books of the Western World” considera le opere degli scrittori russi come parte integrante di quella civiltà culturale.
Jacinta O’Hagan in “The West, Civilizations and International Relations Theory” fa notare che per la maggior parte del XX secolo, dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel linguaggio americano “l’Occidente contro l’Oriente” significava (all’incirca) le democrazie liberali occidentali dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti contro i regimi totalitari comunisti dell’Europa orientale e dell’Asia: “L’alleanza NATO era “l’Occidente”; i Paesi del Patto di Varsavia e la Cina erano “l’Oriente”. Con il crollo dell’Unione Sovietica e dopo l’11 settembre, la battaglia tra “Occidente e Oriente”, dice, è stata “quella tra il cristianesimo (talvolta laico) e l’Islam oppressivo”. Negli anni Ottanta, gli esperti ritenevano che la “civiltà occidentale” fosse minacciata dalla Russia e dalla Cina mentre negli anni 2000 e 2010, aggiunge, la Russia è diventata parte della “civiltà occidentale” – parte della cristianità – in lotta contro l’Islam militante, paese modello per molti movimenti conservatori in Europa e in Nord America.
A questa difficoltà geografica e storica dei confini dell’Occidente si dovrebbe aggiungere un altro elemento di riflessione. Per una parte della sua storia, l’Occidente in senso culturale è stata proposta come modello – esclusivo – posto all’apice della civiltà e della moralità. Un’idea che è stata usata per giustificare il dominio globale e l’intervento nel resto del mondo, come ha scritto Shaun Narine, Professor of International Relations and Political Science, St. Thomas University (Canada), quando ricorda che i successi contemporanei di alcune delle più potenti democrazie sono “il risultato dell’asservimento e dello sfruttamento di altri popoli sia all’interno che all’esterno dei loro confini” e che “gli Stati Uniti sono stati costruiti sul genocidio e sulla schiavitù” o che “gli inglesi hanno estratto dall’India più di 45.000 miliardi di dollari di ricchezza tra il 1765 e il 1938, distruggendo l’economia del Paese”.
Definire i conflitti in corso come la difesa della civiltà occidentale non è quindi nemmeno utile ai fini di costruire consensi più ampi rispetto a quei conflitti. Anzi, il richiamo all’Occidente rischia di alienare paesi che dalla “civiltà occidentale” hanno avuto esperienze negative e tragiche.
Non è in sé l’idea che esistano paesi che hanno radici, idee e storie comuni – tra questi certamente i paesi che definiamo e che sono definiti dagli altri come occidentali – il problema è l’uso a fini politici di una definizione esclusiva e chiusa (in alcuni casi con tratti etnici e razziali). Vale anche per l’altro aspetto dell’idea dell’Occidente: quello della coincidenza tra civiltà occidentale e democrazia.
Se infatti considerassimo l’idea di Occidente come sinonimo di democrazia, i problemi sarebbero di altro genere. Mettiamo da parte il fatto che i paesi europei e il Nord-America non sono necessariamente tutti paesi esempi di democrazia, né lo sono stati per buona parte della loro storia e che ancora oggi al proprio interno vi siano forze politiche che percepiscono, ad esempio, la Russia di Putin come il baluardo dei valori tradizionali, espressione di un Occidente minacciato dai progressisti. Se “Occidente” significa democrazia, l’invasione russa dell’Ucraina o l’attacco terroristico di Hamas a Israele avrebbero avuto un significato diverso se Ucraina e Israele fossero stati regimi autoritari? Forse i paesi europei e gli Stati Uniti avrebbero avuto maggiori problemi di opinione pubblica per giustificare, ad esempio, l’invio delle armi all’Ucraina, ma non avrebbe avuto minore rilevanza.
Se consideriamo inoltre come regime democratico un regime con istituzioni stabili e forti, un sistema di giustizia libero, lo stato di diritto, ecc… è chiaro anche che queste caratteristiche non sono dominio dei soli paesi europei e nordamericani. E non è nemmeno un discrimine nella scelta degli alleati contro l’autoritarismo delle “altre civiltà”.
Vi sono paesi con posizioni più neutre sui conflitti in corso che avrebbero tutte le caratteristiche per far parte del mondo democratico ma che hanno fatto scelte diverse. L’India e il Sudafrica si sono astenuti nella risoluzione delle Nazioni Unite sull’invasione russa dell’Ucraina. Non sono esse due democrazie? Singapore che è un regime autoritario ha deciso di sanzionare la Russia. Israele, una democrazia, no. Gli europei e gli Stati Uniti non si sono poi rivolti agli Stati del Golfo per sostituire il gas russo o per risolvere la questione degli ostaggi israeliani ancora in mano a Hamas? Se il regime democratico coincide con la civiltà occidentale, significa che se gli Stati Uniti o la Francia dovessero virare verso regimi illiberali non farebbero più parte dell’Occidente”? In Europa ci sono paesi, vedi l’Ungheria, che è oggi considerata parte del mondo occidentale, che rivendicano con orgoglio il fatto di essere democrazie illiberali.
In Diplomacy, Henry Kissinger scriveva che “se l’ideologia determinasse necessariamente la politica estera, Hitler e Stalin non si sarebbero mai uniti più di quanto avrebbero fatto Richelieu e il Sultano di Turchia tre secoli prima”. Considerare i conflitti attuali come uno scontro tra civiltà, sia in senso culturale sia come forme di governo e valori politici è, in primo luogo, fuorviante e, in secondo luogo, non aiuta a costruire coalizioni più ampie.
Il problema è infatti legato all’ordine internazionale. Considerando che ogni conflitto ha caratteristiche specifiche, tuttavia possiamo dire che quelli in corso possono essere in generale tentativi di cambiare lo status quo dell’ordine internazionale attraverso l’uso della forza. Un ordine internazionale – inteso come insieme di regole e istituzioni internazionali che regolano gli assetti mondiali e la distribuzione del potere – che nasce dalla Seconda Guerra Mondiale e che vede nordamericani ed europei come garanti. Il problema è che cresce il desiderio da parte degli attori internazionali, che quell’ordine lo subiscono, di modificarlo. Sull’ampiezza della modifica, vi sono grandi differenze tra i paesi (Russia e Iran in forma piu aggressiva, Cina con obiettivi diversi). L’interesse in termini di sicurezza internazionale – e nello specifico di europei e nordamericani – è di impedire che quell’ordine internazionale, fatto di norme e istituzioni internazionali e fondato sul libero commercio, si sgretoli di fronte al fascino dell’idea di globalizzazione della Cina, neutrale rispetto ai valori. E per farlo, europei e nordamericani dovrebbero puntare a costruire un ordine internazionale più inclusivo. È la lezione che dovrebbero trarne dai conflitti in corso.