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31 Maggio 2024Torno sulla liberal democrazia perché ho ragione di ritenere che sia la grande assente nel panorama politico italiano, molto più che in Europa dove invece è consolidata in una vasta compagine che attualmente governa la UE e che speriamo possa continuare a farlo anche in futuro. Ma in Europa è presente anche in formazioni politiche che formalmente hanno altre connotazioni, per esempio parzialmente dentro alla famiglia del PPE e parzialmente dentro la famiglia socialista. Non per caso socialisti, liberaldemocratici e popolari hanno governato l’Europa in coalizione.
Non così in Italia.
Per quanto mi riguarda non faccio questioni di denominazioni e neppure di collocazione nelle famiglie europee per valutare quanto una cultura liberal democratica e riformista connoti una formazione politica. Ne faccio una questione di sostanza nella cultura politica, che si identifica e si concretizza nelle scelte e nelle azioni che vengono fatte nelle governance, se si governa, o nella dialettica/confronto/scontro per ottenerla o contestarla.
Rileggendomi la carta dei valori della fondazione del Partito Democratico (da ora PD) italiano del 2007 questa cultura liberal democratica sembrava allora pienamente acquisita. Tant’è che, se a livello europeo il PD si fosse collocato nella famiglia liberaldemocratica, anziché in quella socialista (per scelta, allora, nel 2014 di Matteo Renzi), non ci sarebbe stato nulla da dire. Se tutto si fosse svolto in modo coerente oggi non avrei problemi a considerare il PD il perno o anche la punta di diamante del riformismo e della liberaldemocrazia in Italia.
Non ho difficoltà a dire che il famoso congresso del Lingotto in cui si fondava il nuovo partito poteva (poteva) essere per la sinistra italiana paragonabile al memorabile congresso del partito socialdemocratico tedesco (da ora SPD), tenuto nel lontano 1959 a Bad Godesberg, città della Renania Westfalia, oggi parte integrante della città di Bonn. Il nome della città è diventato simbolico di una identità politica riformista.
L’SPD ha avuto in un certo momento della sua storia nel corso di quel congresso il coraggio di cambiare radicalmente la sua linea politica, ideale e valoriale. E si tratta di un partito che in linea diretta è lo stesso fondato nel 1875 a Gotha, in Turingia, quasi centocinquanta anni or sono, un’era geologica fa, in piena epoca marxista (anche se l’occhiuto Marx ebbe a ridire già del programma fondativo di quel partito e lo fece in un famoso libro contenente appunto una sua “critica”). Come si vede quindi la discontinuità può essere sancita anche senza rifondazioni integrali. Il SPD in quel congresso accoglieva definitivamente e in modo irreversibile i principi del riformismo e dell’economia di mercato quasi cinquant’anni anni prima del PD (mezza era geologica prima). Cito e commento alcuni passaggi di quel programma di Bad Godesberg:
“I socialisti perseguono una società nella quale ogni individuo possa liberamente espandere la propria personalità”
Ora può far specie che questo sia l’incipit del primo capitolo intitolato “Valori fondamentali del socialismo”, perché in realtà questa affermazione sulla centralità della soggettività individuale, non per caso posta all’inizio, è il caposaldo di un programma liberal democratico che sta come premessa ad un programma social democratico. Come dire che le denominazioni contano quel che contano e ho sempre pensato che la liberal democrazia contenga di per sé la social democrazia, anche se qui sembra il contrario. Questo lo si intende in un altro passaggio chiave della carta dei valori espressi in quel congresso:
“la proprietà privata dei mezzi di produzione ha diritto di essere difesa nella misura in cui non intralci lo sviluppo di un equilibrato ordinamento sociale”
e anche in questo passaggio sulla libertà economica la liberal democrazia e la social democrazia si identificano.
Smanettando tra i siti leggo che Willy Brandt, il mai dimenticato politico tedesco Premio Nobel per la Pace e protagonista del congresso socialdemocratico tedesco di Bad Godesberg, pare abbia svelato che molti aspetti del programma fossero stati mutuati dalla Costituzione Italiana del 1947, e la cosa è credibile proprio per la sovrapposizione quasi perfetta tra il passaggio citato e l’art. 41 della nostra Carta Costituzionale:
L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Se si vuole qualche confronto, si può citare invece questo passaggio della carta dei valori del PD del Lingotto.
Le imprese hanno un ruolo decisivo per vincere la sfida della competitività e per rimettere il Paese sulla via della crescita.
E’ meno marcato, ma anche al Lingotto sembrava acquisito lo stesso principio, e d’altra parte nel programma del PD La Costituzione Italiana è ampiamente citata nei passaggi chiave. Non sembri sproporzionato questo insistere sulla libertà economica perché l’acquisizione di una cultura politica liberaldemocratica parte da qui.
Ora la differenza tra i due congressi, Lingotto e Bad Godesberg sta tutta nel fatto che da allora l’SPD tedesco è rimasto sempre più o meno coerente nei fatti e nelle scelte con quei principi chiave, mentre il PD, fondato come partito nuovo di zecca e senza neppure l’etichetta di “sinistra” che campeggiava nel nome dei suoi partiti predecessori, dopo qualche deciso tentativo andato a vuoto maldestramente con Matteo Renzi, li ha abbandonati velocemente fino a giungere alla fisionomia attuale, ben rappresenta da una leader massimalista e intrisa di astratta ideologia come Elly Schlein.
È scoraggiante dover rilevare come il PD attuale abbia mantenuto inalterata la linea di continuità che viene dal Partito Comunista Italiano (PCI), riuscendo a egemonizzare su questa continuità anche il personale politico proveniente dalla Margherita e dalla stessa Democrazia Cristiana (gli ex DC Dario Franceschini e Francesco Boccia ne sono un plastico esempio). Anzi in questa fase il PD esprime una linea politica, dal livello comunale su su fino al livello nazionale, con venature che lo stesso vecchio PCI aveva in parte abbandonato già negli anni ’70. Anni in cui, magari solo per realpolitik ereditata dal togliattismo, era stata teorizzata una sorta di “grosse koalition”, chiamata allora “compromesso storico”. Il salto all’indietro del PD attuale è stato quindi un triplo salto verso un massimalismo verboso degno dei cascami del peggior sessantottismo (perché ce n’è stato anche uno di molto migliore di sessantottismo).
Questa prassi del PD si manifesta per la verità molto più vistosamente dove il PD è all’opposizione rispetto a dove il PD governa, perché dove governa è costretto ad un atteggiamento più pragmatico e realista.
E’ proprio scendendo alla scala locale, soprattutto dove non governa, nei confronti dell’impresa privata mantiene e rafforza quella cultura del sospetto che porta a bocciare per principio e pregiudizio tutto ciò che non si riferisce al pubblico. E come ho già detto è il “privato” la cartina di tornasole, perché è il discrimine tra massimalismo e riformismo.
Si veda quel che accade nella nostra Venezia per esempio. E quel che accade molto sul terreno dell’urbanistica, che al livello del governo della città è quel terreno dove il rapporto pubblico privato si manifesta più frequentemente. Va detto che nel confronto sulle scelte urbanistiche per la verità la faccia dell’opposizione spesso la mostrano non tanto i partiti, ma i cosiddetti “comitati”, che sorgono come un riflesso pavloviano, ogni qual volta si progetta qualcosa di nuovo. Questi comitati, essendo “di scopo”, cioè, finalizzati alla sola questione in campo che a loro interessa, apparentemente si presentano come a-partitici e politicamente trasversali. Ma non è difficile invece scorgere che sono sistematicamente egemonizzati da persone, a volte gruppi, che appartengono, magari senza tessere, ma di pensiero al mondo della sinistra massimalista e spalleggiati sistematicamente dal PD veneziano stesso.
Ora, sia chiaro, ci sono situazioni dove una logica di mero profitto va combattuta senza tregua e sono quelle dove il combattimento non lo si fa per un sospetto preventivo, ma per una presa d’atto, a posteriori, che il solo profitto domina e chiede uno spazio a cui non ha diritto. Vedasi per esempio le affittanze turistiche. Semmai è male che nei confronti di certa dilagante iniziativa privata speculativa non si siano prese garanzie preventive. E ci sono invece situazioni, e sono la maggioranza, dove il privato si presenta in modo trasparente, dichiarando le sue intenzioni. Penso per esempio a quelle del gruppo ALI’ proprietario dell’area dell’ex ospedale di Mestre. In quel caso il Comitato, ma, come si legge, spalleggiato dall’opposizione e quindi anche dal PD, mette le mani avanti e non ne vuol sapere che i privati acquisiscano anche i padiglioni storici di quell’area. A prescindere dall’uso che dichiarino di farne, perché non verrebbero creduti. In questo caso poi vige una cultura del sospetto doppia: si sospetta che chi governa la città non acquisisca neppure il bene pubblico, cosa invece non scontata, e che comunque qualora il bene sia privatizzato, secondo la retorica del ‘bene comune’, mai e poi mai, per sua intrinseca natura, potrebbe consentire una fruizione pubblica o di utilità pubblica.
La stessa cosa si potrebbe dire per l’area ex cantieri Acnil a Sant’Elena. In questo caso a nutrire la cultura del sospetto, oltre all’immancabile comitato, c’è direttamente in prima linea anche l’opposizione in Consiglio Comunale con il PD in testa. Il teorema vuole che, essendo privata l’acquisizione dell’area, ciò di per sé stesso non garantisce che gli alloggi siano a favore dei residenti. Scatta immediatamente l’equazione privato=speculazione=solo alloggi di lusso inaccessibili.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare. E, sempre, sistematicamente in tutti i casi possibili la retorica del “bene comune” si nutre dell’equazione uso pubblico=bene comune, senza che mai sia paventata la possibilità che il bene comune sia fruibile anche attraverso una proprietà privata. Perché dove c’è privato c’è solo e sempre profitto. Pregiudizio duro a morire che risente della lettura del privato come iniziativa capitalistica. E il capitalismo mai e poi mai può essere governato e temperato, è sinonimo sempre e comunque di liberismo anarchico. Ecco che i riferimenti alla Costituzione, presenti a profusione nella carta dei valori del PD del Lingotto, suonano falsi e solo formali, se confrontati con la prassi politica in atto ora.
Lo SPD tedesco ha avuto ben altra linea, mantenuta con coerenza da Bad Godesberg in poi. Anche quando è stato all’opposizione (in molti casi locali e in opposizione al governo nazionale della Germania per molti anni). Perché c’è modo e modo di starci all’opposizione se nel tuo DNA c’è una cultura politica riformatrice e autenticamente liberaldemocratica.
Walter Veltroni allora segretario, e a cui si deve probabilmente il tentativo di fondare nel 2007 un partito con molti valori liberaldemocratici, è sparito e si è dato al giornalismo. Tutta l’ala riformista del PD è silente e di fatto tiene bordone a chi lo governa su posizioni anni luce distanti dai principi fondativi, che dovrebbero essere ben cari a quella componente. Nel PD esiste anche formalmente un’area liberal (penso ai Salvati, ai Morando), che esprime persino un’associazione come “Libertà uguale”. Silenti, accodati, a capo chino. È un fallimento su tutta la linea.
In questi casi, e non so se sia un bene, ci si affida alla speranza che avvenga qualche fatto deflagrante che scardini le posizioni e rimetta in moto i processi.
Vedremo se le elezioni europee produrranno qualcosa di chiarificatore e se si rimette in moto la possibilità di costituire coerenti formazioni politiche autenticamente riformiste. La speranza è sempre l’ultima a morire, frase fatta, che qui però ci sta.
PS tanto per esere chiari, la destra al governo a Venezia e in tutta Italia soffre della sindrome opposta. Ha in uggia tutto ciò che è pubblico sempre e comunque e sostiene in modo quasi automatico e idiota tutto ciò che è impresa cercando, di favorirla anche quando manifesta i suoi lati peggiori e non è infrequente (il turismo veneziano è in queste mani). L’impresa per costoro ( leggi Luigi Brugnaro) non va mai ostacolata perchè c’è il mito che porta lavoro e produce PIL. Sottocultura indegna di un mondo che aspiri a un futuro degno di questo nome.