C’è una frase che ricorre in queste settimane fatte di accadimenti politici, istituzionali, sociali di grande impatto sull’opinione pubblica, sulla cosiddetta opinione pubblica: il fallimento della politica ( segue sospiro e lieve scotimento del capo). Lo si dice per le carenze amministrative delle città da parte dei sindaci, in questo caso perdenti, ben s’intende, nelle recenti elezioni ( stracitate al riguardo sono le “periferie urbane” di cui la politica perdente si sarebbe sistematicamente dimenticata ), lo si dice per l’emergenza profughi su scala europea, lo si dice per la crisi europea che ha preceduto e accompagnato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione ( mai e poi mai userò la martellante sigla sintetica di questi giorni), lo si dice, e ce lo ha detto con incisività Federico Moro in questa pagina, per chi in quello Stato ha non-gestito il referendum che ha sancito l’uscita. Qui a Venezia questo fallimento è una storia lunga di decenni. Ma a sentire le opposizioni politiche attuali, che di quel fallimento portano, anche personalmente, l’eredità, fallimentare è anche il bilancio operativo di un anno della nuova amministrazione nata per riscattare la mala gestione precedente ( curioso, no?, che siano i fallimentari precedenti a rilevarlo). Strano poi a dirsi, ma gli italiani si accorgono quasi d’incanto che la crisi, ma diciamola bene, l’inefficienza politica non è solo italiana ma pescando di qua e di là generalmente planetaria.
Per non ripetere quello che si legge ogni giorno sui giornali evito di fare l’elenco di quali sono e sono state le reazioni chiamiamole politiche (l’ironia del ‘chiamiamole’ è voluta) al fallimento, o presunto tale, perchè ogni stato ha avuto la sua reazione, con molte ripetute analogie con quelle degli altri. Dirò solo che la formula molto in voga del Referendum riassume in se la tipologia della reazione di massa che sceglie formule e rappresentanze politiche di tipo referendario anche quando il referendum non c’è: lo stile, tutto basato sulla ‘pancia’ emotiva nelle scelte e nelle opinioni, c’è sempre, ci sia o no un referendum di mezzo. E’ una reazione che non sa che farsene del vecchio pedante ‘pensiero critico’ capace di ponderare, pesare pro e contro, analizzare. Come ci dice Giulio Giuliani, sempre in questa pagina, il vecchio giornalismo analista, per queste reazioni antipolitiche al fallimento della politica, merita solo la ghigliottina.
Che dire? Si aprono spontaneamente molte domande che in buona parte restano per ora senza risposta, ma che dovrebbero costituire l’indice delle questioni da affrontare per chi, con un rimasuglio di responsabilità, non si rassegna all’antipolitica e nello stesso tempo non si rassegna ad un’infelicità e a una frustrazione permanente ( e la felicità da perseguire a favore di un corpo sociale collettivo ha molto a che fare con la politica).
Di fronte al fallimento della politica di solito l’imputato numero uno è il politico stesso, l’uomo politico e la sua classe d’appartenenza, di cui reiteratamente si segnala la mancanza ( “non c’è classe politica” è il refrain). Nessuno che si sogni di domandarsi se non sia la politica in sè, la sua dinamica, le sue logiche interne, le aspettative che genera a determinare il fallimento a prescindere dagli uomini politici più o meno carenti, più o meno onesti. Siccome l’idea di fallimento dà per acquisito che la politica possa anche non fallire, e siccome il lamento sul fallimento presume esperienze trascorse nella storia vicina e lontana in cui invece la politica non ha fallito, la domanda conseguente è : quando e in che momento della storia vicina e lontana una politica, totalmente fatta da onesti, ha dispensato a tutti virtuosamnte benessere, equilibrio, stabilità e pace ?
Per provare a rispondere la sensazione è che non tanto la politica in sè stessa quanto piuttosto il binomio tra politica e democrazia comporti dei problemi e oggi questo è più evidente che in passato. Quando la politica incrocia la democrazia si trova davanti regolarmente a tutte le scale, dal comunello di paese al pianeta intero, un numero tale di regole e di procedure di garanzia democratica dal vedersi vanificare sul nascere ogni progetto ambizioso o anche la semplice risoluzione di problemi ordinari, quelli che danno la qualità del vivere. E’ lì poi che si annida la corruzione e il malaffare. Di fronte all’impossibilità di decidere bene e presto e mettere in atto soluzioni efficienti e soprattutto condivise, prevale chi detiene un potere, spesso occulto, di cui non deve rispondere e che indirizza le scelte lavorando in un doppio fondo sommerso dove regole, pesi e contrappesi e tutte le onerose procedure democratiche non ci sono e l’unica misura è il denaro o un tornaconto di qualsiasi tipo.
L’amara considerazione è in definitiva questa: gli assolutismi e le tirannie del passato possedevano un grado di efficienza politica superiore, beninteso relativa ai loro tempi. Per la evidente ragione che il monarca o il dittatore non chiedeva permesso a nessuno, decideva e sceglieva e poteva anche capitare che scegliesse cose buone da oligarga illuminato.Vorremmo ritornare per questo a sistemi politici di quel tipo? Certo che no, la risposta è scontata, anche perchè l’assenza di diritti civili in sistemi di quel tipo, che peraltro ancora si annidano nel pianeta, affossava e affosserebbe ancora la possibilità di fruire anche di scelte efficienti. E tuttavia, pur rimanendo fedeli al disegno politico democratico, bisogna non nascondersi dietro a un dito e provare a rifondare una politica che scommetta sull’efficienza anche in democrazia, a costo di attentarne alcuni caposaldi teorici. Inutile dire che di conseguenza c’è da affrontare il rischio di una politica che elimini la struttura ingessata, meglio sarebbe dire sovrastruttura, che ne definisce il campo d’azione. Ed è una struttura ancora molto ingessata, nella Repubblica Italiana, nell’Unione Europea e perfino nell’organismo di garanzia democratica suprema, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, il più ingessato di tutti. Con la sua stravagante norma iperdemocratica dell’unanimità nelle deliberazioni o come le chiamano.
C’è molto da fare, non c’è che dire, pena consegnarsi per lungo tempo al trasversale fronte antipolitico e populista europeo, anzi atlantico, che avanza a tenaglia. Mietendo consensi, è il caso di dirlo, a destra e a manca, a prescindere dalla sua matrice originaria, sia di destra o di manca o addirittura assente. Un fronte potenzialmente foriero di soluzioni che il secolo scorso ci ha già pesantemente e drammaticamente sciorinato, molto simili nelle premesse a certi movimenti attuali. Come umanità, come si dice, “abbiamo già dato”.