DAL DEGRADO IN CANNAREGIO UN CONFUSO INDICE SUL TEMA
25 Agosto 2024Imprenditore Vs. Politico, il grande equivoco
27 Agosto 2024Il risultato del Terzo Polo alle elezioni politiche aveva suscitato in tanti cittadini la convinzione, o la speranza, che potesse esistere uno spazio centrista connotato da serietà, pragmatismo e buon senso. Uno spazio occupabile da qualcosa di più di una federazione o una lista di scopo, ma da un partito capace di votare per il nucleare e l’abolizione dell’abuso d’ufficio, per il salario minimo e la difesa della sanità pubblica senza rinnegare le proprie posizioni in base alla convenienza del momento. Un soggetto la cui funzione storica fosse quella di combattere il populismo in quanto forma faziosa di semplificazione della realtà. La scommessa del Terzo Polo era forse, come spesso accade con i processi politici ambiziosi, una scommessa culturale. Se il Paese rimarrà incastrato in un’eterna lotta tra guelfi e ghibellini, tra Nord e Sud, tra buoni e cattivi, tra rossi e neri, l’agenda politica continuerà ad alimentarsi di polarizzazione, dare interpretazioni manichee ed infine risposte di corto respiro.
Dopo le europee, in cui la galassia che va da Partito Democratico a Forza Italia ha ottenuto complessivamente lo stesso 8% delle politiche, Matteo Renzi ha prima rilanciato il Terzo Polo, poi repentinamente annunciato di voler tornare strutturalmente nel centrosinistra.
I detrattori diranno che è una decisione dettata dalla sopravvivenza personale. Se il Governo dovesse cadere e si dovesse votare in tempi rapidi, l’ex premier salverebbe alcuni parlamentari in un accordo blindato con la segretaria del PD (da lui stesso, de facto, lanciata alla Presidenza del Consiglio). I sostenitori diranno invece che Renzi ha provato a percorrere strade nuove, dal fallito tentativo di OPA su Forza Italia alla creazione di un cartello centrista con Nuova Democrazia Cristiana e Mastella fino al rilancio di un “terzo polo con terzo nome”, ma si è reso conto che non ci sono le condizioni per un soggetto che abbia rilevanza fuori da uno dei due poli. Insomma, o di là o di qua.
Che si tratti di una mossa vincente o di un azzardo fallimentare, di una manovra da statista o del tentativo di un leader politico di rimanere a galla ce lo dirà solo il tempo. Le cose, tra l’altro, sappiamo che in politica non per forza sono in contraddizione. Ma al di là di questo, non c’è dubbio che lo spostamento a sinistra di Italia Viva abbia, fisiologicamente, acceso un faro su Azione, sulla sua collocazione e le sue alleanze.
Da una parte, la rinuncia di Italia Viva alla strada terzopolista lascia il partito guidato da Calenda sostanzialmente da solo in questo spazio. Dall’altra, è legittimo chiedersi quanto questo spazio sia ampio e se non convegna invece già fare una scelta di campo per rafforzare la componente centrista di uno dei due poli.
Il gruppo dirigente di Azione, nel direttivo di luglio, ha deciso di continuare a coltivare l’idea di una prospettiva autonoma e centrista. Avendo partecipato a quell’assise, ne condivido le ragioni di fondo.
Innanzitutto, siamo sicuri che il Governo Meloni abbia le ore contate e che in caso di crisi si vada al voto in tempi brevi? In secondo luogo, basta aggregare tutto ciò che non è centrodestra per vincere e soprattutto governare? Ma soprattutto, tutte queste valutazioni attengono a una dimensione tattica della politica. Quello che muove Azione è una scommessa più ambiziosa: cambiare l’agenda strategica del Paese per rilanciarlo, per fermarne il declino di un’Italia che invecchia, non cresce, ha un problema con la spesa pubblica e perde ogni anno centomila giovani.
Per rispondere a queste esigenze non bastano la lotta nel fango con Giorgia Meloni, il coinvolgimento della magistratura e una guerra a colpi di dossier. E di certo non possono essere la crociata contro il Jobs Act o l’Autonomia gli elementi su cui si costruisce la proposta che serve all’Italia.
Il ruolo di Azione, dunque, più che di opposizione o di cespuglio, deve essere di soggetto che costruisce un’agenda di governo sui temi dello sviluppo, della crescita e della cultura.
Essere alternativi ai due poli non significa ovviamente pensare di presentarsi in maniera indipendente o senza lo sforzo di coltivare alleanze, ma provare ad essere baricentrici facendo emergere le contraddizioni dei due poli. Sull’autonomia, ad esempio, qualcuno deve provare a dire che anche qualora la legge Calderoli venisse bocciata i problemi rimarranno sul tavolo. Perché da un lato rimarrebbe il vulnus che la Costituzione (riformata dal centrosinistra) permette di avocare a sé da parte delle Regioni molte materie (alcune delle quali è privo di senso si possano avocare), peraltro senza una regolazione dei meccanismi attraverso cui questo avviene, e dall’altro si perpetuerebbe la situazione di non responsabilizzazione dei centri di spesa con permanente incapacità di produrre innovazione sul piano dell’organizzazione dello Stato. Un altro obiettivo che deve darsi Azione, nella ricerca di un protagonismo al centro, è quello di provare a spingere le coalizioni a scegliere candidati moderati già nei prossimi appuntamenti regionali. Logico appoggiare candidati che esprimono cultura amministrativa come De Pascale o Proietti in Emilia-Romagna e Umbria, ma altrettanto doveroso avanzare dei dubbi rispetto a una coalizione che starebbe assieme contro le infrastrutture e lo sviluppo in Liguria.
L’orizzonte finale, forse fantapolitico ma non per questo meno nobile da perseguire, potrebbe essere quello di arrivare anche in Italia a una maggioranza di tipo europeo.
D’altronde, se si chiedesse a un elettore che alle politiche del 2022 ha votato Terzo Polo quale sarebbe il suo governo ideale, questi risponderebbe con buona probabilità ad una maggioranza che va dal Partito Democratico a Forza Italia.
E a livello locale, l’elettorato di Azione ha dimostrato di sapere sostenere Bardi esattamente come ha sostenuto Bonaccini.
La domanda di fondo è sempre la stessa. Riteniamo che il bipolarismo sia lo schema migliore per rilanciare l’Italia? Oppure la polarizzazione va combattuta cercando di aggregare dal centro e non dagli estremi?
Se riteniamo vera la seconda impostazione diventa interessante lo scenario che si delinea con l’apertura di Forza Italia allo Ius Scholae e più in generale con l’indicazione che sembra arrivare dai Berlusconi di una graduale presa di distanza degli azzurri dalla compagine sovranista.
Se veramente Forza Italia ambisse ad uno schema di natura europea, ciò che la separa dal Partito Democratico, ovvero in questo momento solo Azione, da cespuglio di uno dei due poli diventerebbe ponte.