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25 Agosto 2024Cannaregio nell’occhio del ciclone per lo spaccio, la droga, il degrado per me è un colpo al cuore, una cosa nuova in quel luogo, inedita, che non mi aspettavo, mi provoca uno spasmo di incredulità, di sottile angoscia, di sdegno verso non so bene chi.
Sarà perché sono nato – in casa – in Rio Terà San Leonardo e mio padre lì dappresso, a San Marcuola. Sarà perché la mia sede d’insegnamento è stata per decenni ad un passo dal Ponte delle Guglie, nel Palazzo seicentesco Savorgnan che ospita L’Istituto Algarotti – e sono tutti luoghi nelle cronache di questi giorni-.
Sarà.
((( Ma quella per me è una patria nella patria nella patria (si, si, ne ho almeno tre, una dentro l’altra), che mi suscita sentimenti d’affetto particolari, anche se poi ho abitato a Mestre, a Milano e ora da molti anni a sul Rio Nuovo, al limitare di Dorsoduro. E ancor oggi in quei quaranta metri di fondamenta dove butta il sottoportico per andare in Ghetto, mi reco ogni tanto apposta dal barbiere a tagliarmi quei pochi peli rimasti, scambio poi due chiacchere con uno dei rari edicolanti ‘veri’ ancora aperti, approfitto per comprarmi il pesce al lungo banco, sempre sontuoso, che dà sul canale, e mi prendo uno spritz da Pontini, rimproverandogli bonariamente il suo inevitabile adeguamento al turismo (ultimamente con Luciano Pallini, mentore della testata amica Solo Riformisti); e seduto al tavolino all’aperto guardo la vita scorrere, gaia come un tempo, una ‘Joie de vivre’ che non trovi più altrove in città; finisco così con l’andare a salutare qualche vecchio collega che ancora insegna all’Alga, dall’altra parte del canale. E’ un viaggio della memoria che mi occupa mezza giornata e a cui non rinuncio ogni tot giorni. Impossibile in quella mia situazione pensare al famigerato degrado ad un passo. E poi ‘quel’ Cannaregio è solo una parte, una ‘ridotta’ del Sestiere, che è invece molto più grande. )))
Mio padre da giovane mi parlava come un mito della malavita della Baia del Re, alias Sacca San Girolamo, una zona allora da non entrarci neppure, ma il marchio romantico di quartiere malfamato per la Baia si fermava lì, senza neppure il contrabbando, confinato al polo opposto in via Garibaldi a Castello.
È vero, in un bar del Terà ammazzarono nel 1990, a mitragliate come a Chicago, Giancarlo Millo, detto il Marziano, in uno dei tanti regolamenti di conti della banda Maniero e dei suoi accoliti, ma ho sempre pensato che il luogo fosse casuale e che con Cannaregio non c’entrasse proprio. Come non c’entrasse nel 2006 l’omicidio con relativo incaprettamento di un venditore dei banchetti di frutta, sempre del Terà. La droga nel ‘900, al suo esordio, come consumo generazionale diffuso, in Centro Storico aveva semmai altri luoghi, come del resto altri erano quelli di un tempo in terraferma, non certo gli attuali. Tutte le mappe sono cambiate e di molto.
Mi sto chiedendo perché dal nulla tutto ciò.
E tutto circoscritto in uno spicchio triangolare, direi piuttosto sottile, tra San Girolamo/Baia del Re, San Giobbe e le Guglie, con al centro il Rio che porta nobilmente il nome del sestiere e che in un tempo geografico remoto portava verso il Canal Grande-Brenta le acque del Marzenego.
Un’ipotesi abborracciata che mi viene in mente è quello che Cannaregio ovest è un territorio vicino alla Stazione Ferroviaria di Santa Lucia, anche se non è l’unico. Facile l’analogia con la terraferma, che da molto prima, e in una zona assai più ampia, ha visto sorgere il quartier generale del degrado sociale e dello spaccio a cavallo dell’asse ferroviario e della Stazione, tra Marghera nord e Mestre sud.
La butto lì, anche se non ho alcun riscontro.
La droga in quell’angolo di sestiere è un nuovo fenomeno di consumo locale, di residenti intendo?
Mah… Penso solo che, essendo purtroppo un fenomeno da molto tempo quantitativamente giovanile, le fasce basse di età, per il noto spopolamento veneziano, in quel sestiere non dovrebbero essere sufficienti per fornire una base adeguatamente remunerativa all’affare dello spaccio, anche se si aggiungessero dei provenienti dal sestiere a fianco. Né penso che la clientela possa avere la fisionomia dei relativamente pochi tossici veneziani storici, ormai sessantenni, quelli tratteggiati in un famoso sketch di Carlo e Giorgio, e che si vedono semmai frequentare, innocui, birretta in mano e litigiosi a voce alta solo tra loro, i dintorni del SERT al Giustinian, presso le Zattere, da tutt’altra parte. Né penso c’entri troppo la contestata ‘movida’, che da tempo si è stabilizzata, in effetti non distante dallo ‘spicchio’, sulla Fondamenta degli Ormesini. Avendo osservato lo spaccato sociale dei frequentatori, per altro mescolato a non pochi giovani turisti, non mi pare che abbiano la fisionomia adatta a costituire quel tipo di fenomeno ‘locale’, se per ‘locale’ non si intendono solo i residenti, ma anche i semplici frequentatori.
Quindi è giocoforza pensare anche per Cannaregio ad un flusso legato ai vicini treni e al mordi e fuggi. Oppure di una vera e propria diversione dai quartieri della terraferma ormai nel mirino da anni, che potrebbe aver indotto la necessità di una geografia alternativa e decentrata, che per altro si sta attuando all’interno della terraferma stessa.
Però, ripeto, è solo una mia suggestione dilettantesca. Di questo fenomeno, che ho visto crescere a fine anni ’60 con i miei occhi, non ci ho infatti mai capito nulla e continuo a capirci ancor meno oggi. Provo di nuovo a capirci qualcosa senza alcuna garanzia di riuscirci.
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DEGRADO, DROGA, SPACCIO: UN MIO CONFUSO INDICE
Certo, lasciando stare il sestiere e le nostalgie, il tema che ormai ha il nome di battesimo di ‘degrado’, e che lo si usa per capire di che cosa si sta parlando, deve essere nell’agenda di ogni programma di governo della città, specie ora che le scadenze elettorali si avvicinano, ma lasciano ancora un tempo sufficiente per ragionare con calma. Per le soluzioni personalmente non saprei cosa dire, l’ho detto, ci capisco poco. Qui apro un discorso che non voglio chiudere, per lasciar spazio ad una riflessione seria di tipo programmatico. Per questo ho voluto fare il lungo preambolo personale, perchè la cosa mi tocca e molto, ma mi sento totalmente inadeguato nel dire qualcosa di appena sensato al riguardo: chiedo quindi soccorso.
E’ una sorta di confuso e arruffato indice che propongo (nel quale volutamente non metto l’attività di controllo e repressione da parte delle forze dell’ordine, perché la do per scontata, sempre difficile da effettuarsi, ma facile e sostanzialmente condivisa, come attività complementare irrinunciabile per un indice)
Posso solo fare alcune considerazioni, più che altro constatazioni e porre dei quesiti a chi ne sa più di me. Perché è una sfida e una battaglia che mi piacerebbe vedere prima o poi vincere, almeno nei riscontri della sicurezza del vivere sociale, perché nutro corposi dubbi per una vittoria sul fenomeno generale.
Vediamo.
Posto che quelle che si chiamano genericamente e sommariamente droghe in senso lato, sono sostanze che hanno una storia antica, nella contemporaneità come fenomeno, chiamiamolo, di massa, hanno una data d’inizio collocabile, a spanne, a metà anni ’60. Ho avuto compagni di scuola che sono stati dei consumatori accaniti della prima ora (abitavo a Milano allora ed era una città all’avanguardia anche in questo). Sono passati ormai sessant’anni, ed è un tempo incalcolabilmente lungo per i ritmi attuali.
Sessant’anni da quando abbiamo di fronte qualcosa che viene esorcizzata nei titoli dei giornali con frasi ad effetto, dietro a cui c’è l’impotenza e l’incapacità di andarne fuori. Anche da parte dei cosiddetti esperti.
Ma, mi domando: la soluzione è veramente l’ “andarne fuori”? Si può abolire qualcosa che evidentemente ha una domanda massiccia sul mercato? Lasciamo per un attimo perdere le cause e le ragioni della domanda. C’è, ed è costante nel tempo e rilevante in quantità, pur nella sua evidente differenziazione di utilizzo ed effetti. E quando un fenomeno è rilevante e costante nei tempi lunghi, mi hanno insegnato a chiamarlo fenomeno strutturale della società. Lasciamo perdere che sia un male, non lo sia, o cos’altro. È evidentemente ormai strutturale. Come lo è stata nel passato, tanto per dire, la guerra e lo sembrerebbe essere ancora anche nel presente. Vale per altri presunti mali sociali e/o storici cronicizzati. E come per la guerra il semplice invocare la pace è cosa nobile ma insufficiente, le soluzioni devono partire dall’accettare il fenomeno e muovercisi dentro. Oppure seriamente affrontare le cause a monte. Oppure l’uno e l’altro.
Le domande che mi pongo poi sono sempre le stesse.
Quali sono le ragioni per cui la domanda di droga, tra alti e bassi, rimane costante?
Nella nostra città sento ripetutamente richiami ad un’assistenza ai tossicodipendenti sulla strada, cioè sul luogo del consumo e si imputa alla giunta Brugnaro di aver smantellato questo servizio un tempo attivo. Si citano al riguardo risultati eccellenti prodotti da questa attività nel passato nel Comune di Venezia, specie nelle zone di crisi della terraferma.
Ne prendo atto, ma mi sfuggono i nessi.
In che modo questa attività di supporto ‘di strada’ nel passato aveva inciso nel far fronte al fenomeno? Nella diminuzione del consumo? O solo nella tutela di un consumo, come dire, protetto e assistito? Non sono domande retoriche, sono domande vere per conoscere e capire. Un’impostazione di questo genere, consumo protetto e assistito, sembrerebbe stare sulla linea dell’accettazione del fenomeno come strutturale e ineliminabile, tanto per tornare alla considerazione generale che ho espresso poco sopra: la domanda e il consumo sono una realtà, facciamo in modo che avvenga in modo protetto.
Posso convenire, ma se è questo, andrebbe detto con maggiore chiarezza: si è pienamente nella linea dell’accettazione del fenomeno strutturale.
La cosa sta insieme in modo complementare con un serio tentativo di rompere il meccanismo dello spaccio, attraverso una parziale legalizzazione del mercato per talune droghe. Ignoro se esistono riscontri positivi in tal senso negli Stati dove ciò è stato attuato. Se ci fossero, chi sta conducendo la battaglia per la legalizzazione (penso a +Europa) dovrebbe farne una bandiera. Anche se va detto che la soluzione resterebbe altrettanto parziale, dal momento che le droghe più remunerative resterebbero illegali.
Altri interrogativi su questo tema mi hanno sempre martellato la testa.
Non avendo mai consumato droghe, né tantomeno mai desiderate, non posso sapere e capire che cosa ci sia come motore della domanda. C’è una certezza: ogni fenomeno strutturale, più di altri fenomeni volatili, ha alla spalle un’esigenza forte da soddisfare. Un tempo la domanda di droga la si faceva risalire ad una condizione generica di disagio. Sarebbe bene che i disagi che muovono la domanda andassero analizzati con più cura, io posso dire poco, ma il profluvio di analisi che ho letto in sessant’anni al riguardo non mi ha mai soddisfatto per niente. E infatti torno a chiedermi: disagi sociali, economici, familiari, esistenziali, fisici, spirituali, o che altro?
Non ho risposte, ma neppure ne trovo da altri.
Una facile soluzione di tutt’altro tipo, che taluni definirebbero di “destra”, e probabilmente lo è, ha sempre con regolarità dato un’altra risposta: dietro c’è l’edonismo sfrenato di una società in declino e la voglia infantile di trasgressione, altroché.
Detta così è sicuramente una soluzione semplicista e ideologica, che si rifà al mito dell’ordine e del controllo sociale autoritario. Ma, posto che qualche verità ci sia in questa scontata risposta, e credo che comunque ci sia, seppure espressa nel modo sbagliato, se soprattutto di voglia di trasgressione si trattasse, ciò è un altro punto a favore della parziale legalizzazione. Una cosa lecita non sarebbe più trasgressiva e la domanda potrebbe declinare. Potrebbe, anche se non è detto, e in ogni caso bisognerebbe avere riscontri seri su esperimenti effettuati.
La lista di domande inevase continua. e butto lì alla rinfusa.
Chi è sotto l’effetto della droga, anche leggera, fino a che dura l’effetto è obiettivamente in una condizione di non piena capacità d’intendere e volere. Per la sicurezza sociale generale chi si trova in tale condizione costituisce un fattore di rischio se frequenta liberamente spazi pubblici? Forse no. Ma se si, ciò riapre la questione di avere spazi circoscritti per il consumo, sebbene mi sovvenga il fatto che ogni consumatore nella maggioranza dei casi avrebbe anche una residenza propria a tal scopo. O sbaglio?
Domande oziose più generali mi son poi sempre venute sulla fonte in denaro per l’acquisto.
Se la droga muove una quantità enorme di soldi, che probabilmente arricchiscono mafie e trafficanti di ogni sorta e grado, vedo che non ci si è mai posti il problema che da qualche parte il denaro arriva e in qualche modo ce lo si procura. Ignoro quanto ciò dipenda da reati al patrimonio, furti etc., ma dubito che tutto dipenda da lì. E ho ragione di credere che, nonostante mi si dica che, rispetto agli esordi, i prezzi siano molto più accessibili, il consumatore alieni a tal scopo proventi personali, ma anche sottratti al nucleo familiare. Possibile allora che non si sia mai tentata una forma di educazione seria al controllo per chi potenzialmente convive con i consumatori? Il problema poi ci sarebbe comunque anche con la legalizzazione parziale, perché le droghe fuori legge resterebbero, e sarebbero quelle con i prezzi più alti.
Ultima questione che sempre mi sono posto senza riuscire a cavarci un ragno dal buco, ed è quella della produzione.
Penso che la divisione politica che il mondo ancora riscontra determini un’impotenza generale nel poter sradicare il fenomeno laddove nasce, alla fonte, recidendolo lì, sempre che ciò sia effettivamente possibile (e c’è chi sostiene che possibile non è, prendo atto). Quando però una questione non si risolve alla radice, a volte si dice che “manca la volontà politica” per risolverla. Ma in questo caso a me pare che manchi non la volontà, ma la condizione politica per combattere. Vale a dire una condizione accettabile di concordia internazionale, che unisca le forze.
A questo proposito la UE e l’ONU stessa forse dovrebbero battere un colpo contro un comune nemico.
Fantapolitica, per ora.
E da Cannaregio siamo arrivati all’ONU. Non per caso. Un percorso tortuoso ma inevitabile.
Glocal, lo si direbbe, che è uno dei nostri slogan, ben visibile sulla spalla destra della home page di LG.