
Il diritto di sciopero, la tutela dell’aria che respiriamo e i trasporti
13 Gennaio 2025
Eurapatia
19 Gennaio 2025La Finanziaria 2025 ha previsto una proroga almeno ventennale delle concessioni della distribuzione elettrica (l’85% della quale è in mano a una sola società, ovvero Enel Distribuzione, o meglio e-distribuzione, come è stata rinominata) vanificando il disegno di Bersani che molti anni fa, ai tempi delle celebri lenzuolate da Ministro dello Sviluppo Economico nel Governo Prodi 2, aveva concepito una serie di misure mirate a introdurre una ventata di liberalizzazione nel Paese. Alcune delle quali positive e oggi scontate (per esempio la portabilità dei mutui bancari, la cancellazione dei costi di ricarica dei telefonini e la nascita delle parafarmacie), altre decisamente meno (per esempio la liberalizzazione delle licenze commerciali nei centri storici). Tra queste misure, appunto, in nome della concorrenza, Bersani aveva previsto che a partire dal 2025 iniziasse un processo di frammentazione del mercato con messa a gara delle varie concessioni a livello regionale o per macroregioni (da concludersi entro i 5 anni successivi), tale per cui nessun operatore potesse disporre di più del 25% del mercato.
A scanso di equivoci, a costo di essere pedanti, una precisazione: non stiamo parlando del settore retail, ovvero quello commerciale. Già oggi la liberalizzazione su a chi paghiamo la bolletta è totale, da quando (ormai molti anni) esiste il Mercato Libero, in forza del quale oggi a casa nostra possiamo scegliere tra una miriade di fornitori. Parliamo della distribuzione ovvero della rete di cavi e fili (e stazioni di trasformazione collegate) attraverso la quale l’energia viene portata agli utilizzatori finali dalle cabine primarie, confine di competenza di Terna (il monopolista nazionale che si occupa della trasmissione, ovvero della parte di rete di alta e altissima tensione). Una rete fisica, inevitabilmente un monopolio naturale nella singola area geografica non essendo evidentemente logico né tantomeno economicamente sostenibile una moltiplicazione di cavi e impianti, così come ci sono reti uniche per tutti i sottoservizi (acqua, gas, telefonia).
Ora, le modalità tecniche con cui è stata prorogata la concessione sono in effetti discutibili (vedasi https://www.linkiesta.it/2024/12/concessioni-elettriche-emendamento-debito-pubblico/ ) ma ci torneremo. Il dato sostanziale è che in realtà è un’ottima notizia perché preserva uno dei pochi elementi di competitività internazionale, ovvero e-distribuzione, una delle multinazionali davvero tali che nel nostro Paese si contano sulle dita di una mano.
Oggi in Italia l’85% circa della distribuzione è appunto in mano a e-distribuzione e costituisce una felice (come tenterò di argomentare) eccezione perché, nel caso di altri servizi di pubblica utilità, la frammentazione (nel caso dell’acqua si può parlare addirittura di atomizzazione) regna incontrastata. Ebbene, grazie al volano costituito da questo patrimonio, alla solidità garantita dalla dimensione, grazie al destro di disporre di una platea di impianti e componenti su cui spingere nella standardizzazione dei prodotti imponendola al mercato anziché farsela imporre, alla possibilità di creare centri di ricerca in house e di gestire appalti di ricerca tecnologica, Enel Distribuzione negli ultimi 25 anni ha ottenuto risultati impensabili e strabilianti sia in termini di performances economiche (e in effetti la quota parte di costo in bolletta dovuta alla distribuzione è diminuita drasticamente) sia in termini di miglioramento della qualità del servizio. Non solo: Enel ha assorbito alla fine degli anni ’10 l’incredibile impatto dell’allacciamento in massa di impianti fotovoltaici, ha trasformato la rete di distribuzione tradizionale, monodirezionale, in una rete intelligente (la famosa smart grid) senza impatti sul servizio ed è diventata così forte da fare campagna acquisti nel mondo (ad oggi ha una settantina di milioni di clienti) e ha venduto la sua tecnologia, segnatamente quella dei contatori elettronici, a aziende estere (Romania, Montenegro, Malta) vincendo gare internazionali milionarie.
Insomma, Enel rappresenta un vero e proprio campione nazionale, una delle primarie DSO (Distribution Service Operator, la sigla con cui si indicano internazionalmente i distributori) nel mercato mondiale, che spicca assieme a poche altre nel panorama e, come detto sopra, tra le più innovative e performanti del pianeta ed è riguardata con rispetto e considerazione.
Tutto questo grazie anche alla dimensione di partenza sul mercato nazionale (oltre che naturalmente, diciamolo, alla capacità e alla lungimiranza della sua dirigenza). Perché mai una DSO regionale, anche grossa, anche ben gestita, avrebbe potuto anche solo concepire, sviluppare, testare, costruire e commercializzare i contatori elettronici teleletti usando la rete stessa come infrastruttura di comunicazione (tecnologia di cui Enel è stato l’assoluto pioniere nel mondo) che hanno garantito un enorme abbassamento di costi operativi e svariate opportunità per il cliente (non ultimo, consentire il facile e veloce cambio di fornitore). Così come il concepimento in house e lo sviluppo dei sistemi di rilevazione e isolamento automatico del guasto, che hanno drasticamente ridotto negli anni la durata, e la platea di clienti interessata, dei singoli guasti. Ma non basta: pur permanendo purtroppo significative differenze tra nord e sud in termini di qualità del servizio, Enel ha costituito un formidabile elemento di coesione del Paese: dalla Sicilia al Friuli, si opera sugli stessi componenti, con le stesse procedure, con le medesime normative antinfortunistiche, pensiamo davvero che, per esempio, in Sicilia ci sarebbe la stessa qualità del servizio se la distribuzione fosse stata affidata ad una miriade di municipalizzate (con contorno di una pletora di poltrone e moltiplicazione di organigrammi)? Come per esempio con l’acqua, dove la situazione è disastrosa? Pensiamo anche alla possibilità di trasferire massivamente operai da una Regione all’altra, anche distante, per interventi di ripristino del servizio in caso di eventi metereologici catastrofici. È a tutti gli effetti una classica success story nazionale, una delle pochissime che il nostro Paese può vantare. Bene, dunque, ha fatto il Governo a tenersela stretta, anche in vista delle sfide titaniche dei prossimi decenni (si pensi all’impatto della transizione energetica). Ci vorrebbe più integrazione, altro che meno, anche negli altri servizi.
Eppure, si leggono obiezioni francamente sconcertanti. L’articolo de Linkiesta di cui ho messo il link è a cura dell’Istituto Bruno Leoni, un think tank che promuove il pensiero liberale, contiene a sua volta il link a un documento dello stesso Istituto nel quale nemmeno si pone il dubbio, si liquida la questione con l’affermazione apodittica “l’evidenza internazionale conferma che, al di sopra di una certa dimensione, le economie di scala sono limitate” (come se solo le “economie di scala” fossero l’unico elemento) e va dritto con concetti vuoti come la maggiore competizione, l’integrazione con la rete gas, tutti concetti fumosi, puro flatus voci, indimostrabili.
Ora, il prestigioso Istituto ha come scopo fondante la diffusione del pensiero liberale e capiamo che agisca il bias ideologico per cui la concorrenza è un totem indiscutibile, è sempre benefica e va riconosciuto che l’obiezione tecnica sulle modalità dell’operazione, come dicevo, è fondata e ne parleremo in chiusura.
Ma lasciano soprattutto basiti i posizionamenti dei politici locali. Mi riferisco in particolare agli amministratori del Veneto che, con bipartisan unanimità (vedasi Corriere del Veneto del 29 dicembre u.s.), si sono lanciati in una crociata territoriale che peraltro si incrocia con la retorica autonomista (l’energia essendo – sciaguratamente – una delle famose materie concorrenti in teoria sul tavolo della partita dell’Autonomia differenziata). Ora, almeno il Sindaco di Padova ha detto papale papale che è una questione di schei (“serve una redistribuzione nei territori della ricchezza che deriva da questi asset strategici”): insomma, vogliamo fare cassa con il business della distribuzione. Un’apprezzabile manifestazione di sincerità. Ma per il resto è un profluvio di pelose ipocrisie come “mettere al centro i bisogni delle nostre comunità”, “tutelare le eccellenze venete” (copyright del Sindaco di Treviso), di gridi di dolore del tipo “autonomia alla rovescia” o come il sindaco di Vicenza (dicevo infatti prima che quanto a corbellerie siamo assolutamente bipartisan) che immagina “bollette meno pesanti”, “maggiore autonomia energetica”, “maggiore capacità di investimenti”. Vorrei chiedere a questi geni in un contraddittorio ma che significa esattamente mettere al centro i bisogni delle nostre comunità? Chiederei a Conte quali sono le eccellenze venete oggi inespresse, interrogherei Possamai sul perché di grazia una DSO veneta garantirebbe maggiore capacità di investimenti e insieme bollette meno pesanti atteso che gli investimenti, per tutte le DSO, devono essere approvati da ARERA e riconosciuti in tariffa. Tutte affermazioni così vuote, se non contraddittorie, che davvero dubito che gli autori sappiano di cosa si parla.
Per completezza e in conclusione: su un aspetto, dicevo, l’Istituto Bruno Leoni ha ragione (e ne argomenta bene l’articolo de Linkiesta di cui sopra). Il prolungamento della concessione è stato riconosciuto a fronte del versamento di un canone. Cosa normale (e sarebbe avvenuto lo stesso anche per le nuove DSO prodotto dello “spezzatino” pensato da Bersani). Quello che non è normale, anzi è concettualmente sbagliato, è che questo canone sia stato equiparato a un qualsiasi altro investimento sulla rete e quindi, per effetto del noto meccanismo tariffario in vigore, verrà col tempo rimborsato tramite le tariffe, peraltro a un tasso maggiore di quello che lo Stato paga per un btp. L’Istituto maliziosamente (ma diciamo che qui più che mai vale il celebre aforisma andreottiano..) lascia intendere che sia un’astuta manovra del Governo per fare debito senza doverlo ripagare (perché lo faranno i cittadini con le bollette). È possibile, proprio perché a pensar male ci si azzecca. Ma anche così fosse, per una classica eterogenesi dei fini, il Sistema Paese ci guadagnerà.