Lunga vita a Elly Schlein!
16 Giugno 2024Elezioni europee: alcune lezioni e prospettive per l’Italia
16 Giugno 2024L’area moderata e liberale che fa riferimento a Renew Europe ha raccolto il 7,12% alle elezioni europee ma esprimerà zero eletti a Bruxelles. Zero titoli, zero possibilità di incidere. I leader delle liste rimaste fuori dal Parlamento Europeo hanno dato la colpa di questo fallimento alla polarizzazione. Oggettivazione di tale analisi sarebbero le preferenze accordate al Generale Vannacci e a Ilaria Salis. Ci sono alcuni elementi che smontano facilmente questa lettura.
In primo luogo, il consenso ottenuto da Azione e Stati Uniti d’Europa è percentualmente solo di qualche decimale inferiore a quello ottenuto dal Terzo Polo alle politiche.
In secondo luogo, Salis e Vannacci sono stati largamente battuti (in alcuni casi triplicati) in termini di preferenze da Bonaccini, Gori, Decaro, Tajani o Picerno. Personalità di certo non estremiste, rappresentanti dei due partiti che più degli altri hanno beneficiato dei voti in fuga dal Terzo Polo: Partito Democratico e Forza Italia.
La verità, senza girarci attorno, è che a discapito del programma e della qualità dei candidati gli elettori moderati hanno aspettato esattamente un anno per punire, con raffinato sadismo, la rottura del Terzo Polo e i balletti sulle liste di scopo. “Siete impazziti?” chiedevano i cittadini nell’aprile 2023 quando, a liste delle amministrative depositate, il progetto unitario è saltato. “Bravi candidati, ma ce la farete a superare lo sbarramento?” è stata la domanda che ogni portabandiera di Azione, Italia Viva o Più Europa si è sentito rivolgere agli incontri, nelle telefonate, durante i confronti con l’elettorato in questi mesi. Oggi, dopo l’inappellabile responso delle urne, abbiamo capito due cose. Il 7,8% del fu Terzo Polo nel Paese esiste ancora e non era una somma, ma una moltiplicazione di investimenti e speranze. La seconda cosa che abbiamo capito è che le liste di scopo non funzionano. Stati Uniti d’Europa ha dimezzato i suoi voti perché gli elettori non hanno creduto all’operazione “frequentiamoci ma senza impegno”.
Che fare dunque? Non serve certo uno statista per capire che, se non si rimetterà in moto il processo per arrivare a un partito unico entro le politiche, sic stantibus rebus, i voti dell’area centrista andranno un po’ a destra e un po’ a sinistra lasciando gli aspiranti interpreti con un pugno di mosche in mano. Ma il primo errore da evitare è quello di cadere nell’inganno della leadership. Abbiamo letto di ipotesi di dimissioni, passi di lato più o meno credibili, candidature ai congressi dei singoli partiti, federatori giovani o di esperienza, rottamazioni, ricerca di nuove collocazioni in un campo o nell’altro, rievocazioni di Terzo Polo ma con terzi nomi.
Calma! Se da una parte è giusto dare ad un elettorato arrabbiato e orfano di una seria analisi sugli errori commessi la prospettiva che qualcosa cambi, dall’altra bisogna impedire che Icaro si bruci. Il tema della leadership dell’area centrista, pur nella sua ineludibilità in termini di prospettiva temporale, va messo in secondo piano senza cedere alle sirene dei commentari e di parte dell’opinione pubblica. Perché le leadership non si inventano dall’oggi al domani e se la discussione nei prossimi mesi sarà sul nome del leader ricadremo nella trappola che ha impedito la nascita del partito unico. Con parrocchie sempre più piccole, dato che i leader a destra e sinistra sono in discreta forma.
Oggi c’è bisogno di mettere in moto un processo di confronto in cui a trovare spazio non siano un leader o un federatore imposti dall’alto, ma una classe dirigente “fresca”, razionale, capace di parlarsi. Già esiste, viene dal basso, si è formata sui territori e si è misurata col consenso: candidati alle europee, amministratori locali, civici che stanno alla finestra, dirigenti locali. Spesso nei comuni e nelle città sono uniti e portano a casa risultati, perché con le percentuali di Renew Europe si eleggono consiglierei regionali, assessori, si diventa centrali nelle scelte dei candidati sindaci e con un po’ di intelligenza anche dei presidenti di Regione. Serve una nuova classe dirigente non per rottamare quella attuale, ma perché un’area che prende il 20% dei voti degli under 35 ha bisogno di una narrazione proiettata al futuro, ha bisogno che queste energie vengano canalizzate uscendo dai j’accuse, dalle acredini, dai veti incrociati, dalla fretta del decidere se si è costola del Partito Democratico, di Tajani o stampella del governo di turno. Il problema non è “con chi siamo” ma “chi siamo”, “con che racconto”, “come vogliamo organizzarci”. La sfida non è dunque neanche quella del posizionamento, ma quella dell’identità. E questa identità deve partire dalla presa di coscienza che, pur nel disastro delle europee, un popolo esiste. Va aggregato all’interno di un partito vero, radicato sul territorio, con organismi che concordano la linea politica e con una selezione meritocratica della classe dirigente. Chi vuole essere soggetto che promuove il merito nella società deve esserlo anche al suo interno.
Lasciamo stare le rese dei conti. Servono analisi e onestà. Lasciamo stare la rottamazione. Serve la progettualità. Lasciamo stare i nomi. Serve una squadra larga di persone che parlino tra di loro e tornino a parlare con i cittadini raccontando una storia nuova.
Immagine di copertina © Avanade