Orfani di utopie
18 Marzo 2023Invertire la tendenza
29 Marzo 2023E’ passato un mese dall’elezione a furor di popolo (quello delle primarie) della nuova segretaria del PD Elly Schlein.
Un’elezione che i commentatori della politica avevano definito improbabile, che i sondaggisti avevano pronosticato non possibile.
Che la maggioranza degli iscritti a quel partito non aveva appoggiato nella fase preliminare.
E invece sull’onda dell’anagrafe, su quella di genere, sul desiderio di un vero cambiamento, surfando sulla migliore capacità di comunicare, Schlein ha battuto il pluridecorato Bonaccini che però scontava la sua appartenenza all’apparato, perché la sua storia, ancorché lucidata col sidol della buona amministrazione emiliano-romagnola, aveva le radici profonde nel sistema di potere del PD, fin dalle sue origini.
Elly Schlein si potrebbe dire che “non l’hanno vista arrivare” anche se c’è da osservare come tutto il circolo dei comunicatori dell’area di centrosinistra faceva sfacciatamente il tifo per lei.
la Repubblica, che di fatto è l’house organ del PD, non si era certo risparmiata nel sostegno ad Elly e una delle sue firme più acclamate, Concita De Gregorio, pareva una descamisada tanta era la foga dei suoi argomenti a sostegno prima, ma soprattutto dopo l’elezione.
Per non parlare della compagnia di giro de La 7 con la Lilly nazionale che pendeva e pende ancora dalle sue labbra.
Tant’è che ancor oggi, di fronte a quelle che sono state uscite pubbliche tutte incentrate sui diritti civili, utili a rianimare gli spiriti depressi di un partito che era diventato catatonico dopo l’avvicendarsi di due fra i più soporiferi (politicamente parlando) segretari di partito – la coppia Zingaretti-Letta aveva raggiunto il record di narcolessia – stanno tutti ancora suonando la grancassa neanche fosse che ogni volta che apre bocca dichiarasse principi irrinunciabili o impegni indefettibili: tanta piazza e tante parole.
La sua presenza alla recente riunione europea dei vari segretari di partito dell’area del PSE, che contano una rappresentanza di deputati nel Parlamento di Bruxelles, è stata descritta dai giornali “partigiani” come nemmeno si fosse trattato dell’incontro dei Ministri degli Esteri dell’UE di fronte alla guerra in Ucraina. Era solo un incontro politico condito da qualche affinità.
E quotidianamente invece è lì che combatte col suo dirimpettaio, l’ex “fortissimo punto di riferimento di tutte le forze progressiste” che ha lucrato qualche bel punto percentuale alle spalle dello stesso PD nelle ultime elezioni del settembre 2022.
E’ una sfida fra alleati “ideali”, dal momento che l’elezione di Elly è venuta proprio sulla spinta di una parte significativa di quei cittadini che si erano spostati sul M5S e che adesso hanno fatto ritorno a casa considerando Schlein accettabile tanto quanto il più improbabile dei politici che siano comparsi sulla scena politica italiana negli ultimi anni.
E i sondaggi settimanali, quelli che nemmeno fossero una prescrizione farmaceutica che misura gli zerovirgola, danno ragione di questo spostamento: il PD riconquista il suo 20% e però sta sempre lì.
Poi al di là dei proclami sui diritti – mai che si parli di doveri – terreno facile e perfettamente conosciuto dalla neosegretaria, dati i suoi trascorsi e le sue precedenti esperienze politiche, nessuna idea, nessun impegno sulle questioni concrete che attanagliano la vita italiana.
Al momento sembra molto impegnata a cercare di sopire e assorbire le spinte – nel PD quelle non mancano mai – della corrente “riformista” che aveva appoggiato Bonaccini e che è rimasta con un palmo di naso, rivendicando adesso spazi, posti e una tribuna che ormai suona come la certificazione di una sconfitta politica e di una acclarata incapacità di azione.
Tutti al loro posto in attesa di ottenere qualche compensazione. Di politica se ne parlerà un’altra volta.
Dall’altro lato della barricata, perché non vi è dubbio che il PD sulla spinta di Elly è tornata a rialzare le barricate ideologiche, la compagine governativa – di destra-centro più che di centrodestra – uscita largamente vincente sei mesi fa, ha visto un consolidamento crescente della Presidente del Consiglio (che vuole essere chiamata IL Presidente, ma anche no!).
Inevitabile epifenomeno di tutti i premier che si sono avvicendati al Governo del Paese. Almeno dal 1994 in poi.
Tutti sugli scudi per alcuni mesi, i sondaggi a palla, gli editorialisti osannanti, e via andare.
Salvo poi ritornare nell’alveo della normalità non appena tutte le contraddizioni, insite nelle coalizioni figlie di questa legge elettorale, vengono a galla: Savini, Conte, Di Maio (chi era costui?), gli ultimi epigoni di quest’andazzo in cui la politica assomiglia a un reality con le sue nomination.
C’è da dire che “Io Sono Giorgia: Sono Una Donna, Sono Una Madre, Sono Cristiana”, da smagata frequentatrice della politica non solo li ha messi tutti in riga, ma sembra non preoccuparsi minimamente dei bollori salviniani, né dei colpi di testa berlusconiani.
Si fa forte di un consenso che è quello del popolo ondivago e beatamente appagato dalle promesse che non vedrà mai realizzate, ma va detto, d’altra parte, che è riuscita ad accreditarsi in maniera autorevole nello scenario internazionale e segnatamente in quello europeo – che è la cosa che veramente conta – in virtù di una scelta forte e chiara di fronte alla tragedia scatenata da Putin più di un anno fa: l’Italia sta sempre a fianco dell’Ucraina e la aiuta in tutte le forme possibili, forniture di armi comprese.
Con questo compie il secondo salto di qualità all’interno della coalizione di Governo mettendo all’angolo sia le pulsioni russofile, mai del tutto rinnegate, di Salvini, sia le “simpatie” putiniane, indotte da un’amicizia pluridecennale, di Berlusconi.
Il governo ha dimostrato, in questi primi cinque mesi, una cautela nella gestione dei conti pubblici che ha evitato gli sbandamenti della stagione gialloverde del 2018: anche le scelte sul Reddito di cittadinanza e sul Superbonus sono il segnale che si vuole limitare l’ideologia del «gratuito» e dello «Stato bancomat» che sembrava dilagare.
Sta lavorando, in continuità con Draghi, ad affrancare totalmente l’Italia dalla dipendenza energetica da Mosca.
Il tema dell’immigrazione è lì che incombe, non da oggi: non è un’emergenza del momento, gli spostamenti dalla parte più povera a quella più ricca del mondo dureranno decenni. Senza politiche italiane ed europee nei Paesi di partenza, senza l’apertura di canali efficaci di immigrazione legale, senza un’azione comune nel controllo delle frontiere si resta solo agli slogan e alle scampagnate sulle banchine dei porti. Tante grida mentre gli arrivi illegali esplodono e le tragedie come quella di Cutro diventano colpi durissimi al nostro senso d’umanità. (L. Fontana)
Ora però è il tempo di dire agli italiani quali sono le riforme realistiche che si intende realizzare per favorire la crescita, riformare il Fisco, cambiare il mercato del lavoro portandolo fuori da salari bassi e precarietà, rendere semplice la vita dei cittadini sommersi da complicazioni e burocrazia.
Quali sono le scelte innovative in campo ambientale e tecnologico.
Ed è su tutti questi temi che molto probabilmente potrà “cadere l’asino”.
Perché il personale politico è quello che è, i programmi sono abborracciati, l’ideologia è sempre dietro l’angolo appena il centrodestra si sentisse incalzato.
E il Centro?
Bella domanda: perché a sentire i politologi, a leggere gli editorialisti sembra non possa esistere. E di suo non si disvela mai, in maniera significativa, nelle occasioni elettorali.
La contrapposizione ideologico-manichea, lo stare di qua o stare di là, il “ricatto” del voto utile fino ad oggi hanno fatto aggio sull’affermazione di una politica progressista, radicalmente riformatrice, con l’obiettivo di modernizzare il Paese, di renderlo libero dalle promesse populiste, di farlo crescere facendo crescere la produttività a vantaggio di una diffusione della ricchezza (relativa), di mettere le cose con i piedi per terra.
Lo sforzo messo in campo dal “duo delle meraviglie” Calenda-Renzi è notevole, ma ancora non si è materializzato, ancora non riesce ad esprimersi compiutamente.
Si è dato un orizzonte temporale che traguarda le prossime elezioni Europee del 2024: il sistema elettorale perfettamente proporzionale che sarà il termometro per misurare le forze.
Dietro tutto questo c’è però un popolo silente, operoso e virtuoso, che non attende di fuoriuscire dall’astensionismo o dalle sofferte appartenenze partitiche attuali, per intrupparsi negli angusti spazi politico-culturali generati dalla contesa di due piccoli partiti che, seppure diffusi e vitali, allo stato attuale costituiscono dei luoghi dignitosi, ma non sufficientemente attrattivi.
Esiste un patrimonio straordinario di civismo e di valori a cui attingere e di domande a cui rispondere: memorie storiche della cultura riformista da ricomporre, testimonianze generose per i diritti civili, l’universo giovanile vitale alla ricerca di un futuro incoraggiante e condiviso, sofferenze sociali e fratture territoriali da sanare.
Tutto ciò esigerebbe hic e nunc di rappresentare la constituency (la comunità politica di riferimento) ed inverare il progetto e la strategia di un Partito Liberaldemocratico che li ‘metta a terra’, li implementi, li faccia diventare comportamenti pratici e verificabili con cui legittimare la propria azione, alimentare la cittadinanza attiva e cercare il consenso.
Deve essere molto chiaro ed evidente che nelle menti dei cittadini e nel mercato elettorale che rifiutano la prospettiva politica rappresentata dalla Destra ed annunciata dalla nuova leadership del Pd, non è messa in conto l’ipotesi per un processo di unificazione di Azione e Italia Viva intesa come approdo negoziato di procedure burocratiche e nomenclature predeterminate.
Signori, si alzi il sipario: il Centro – che non è un luogo fisico, ma un territorio politico – salga sul palcoscenico.