Ancora sul perché la Sinistra perde
28 Luglio 2023UNESCO e Venezia. Intervista
4 Agosto 2023La vexata quaestio dell’inasprimento della tassa di imbarco aeroportuale si è arricchita di un altro elemento: la presa di posizione del Country Manager di Ryan Air (tale Marco Bolla) che fornisce al Comune di Venezia il seguente consiglio: “Il Comune di Venezia deve eliminare l’eccessivo aumento della tassa (+38%) all’aeroporto Marco Polo che danneggia il turismo locale, l’occupazione e la connettività e abbassare invece i costi di accesso per stimolare la ripresa e la crescita della sua fragile industria turistica che si sta ancora riprendendo dalla pandemia” offre l’occasione per una riflessione generale che va oltre il tema tassa di imbarco. Ma andiamo per ordine.
Come noto, il Comune di Venezia ha ritenuto di approfittare delle prerogative offertegli dalla legge per aumentare la tassa di imbarco al massimo consentito (+ 2,5 € rispetto all’importo precedente). Il Comune si porta a casa, vuoto per pieno, una decina di milioni in più (che fanno indubbiamente comodo) e SAVE ha, comprensibilmente, protestato perché questo aggravio danneggia il suo business (almeno in linea di principio). Ha fatto pure ricorso nelle sedi preposte ma, almeno per ora, sembra che il Comune la spunti forte appunto del fatto che non fa altro che approfittare di una disposizione di legge. Ne è uscita una rottura seria, pare anche a livello di rapporti personali tra Brugnaro e Marchi (con tutta una serie di scortesie). Analogamente contrariate (per lo stesso motivo di SAVE) le compagnie aeree, le quali si sono però abbastanza docilmente rassegnate a riscuotere la tassa, tranne Ryan Air che ha fatto il diavolo a quattro e ha diminuito rotte e mezzi in servizio da e per il Marco Polo (con grande costernazione di Marchi).
Dal punto di vista di principio, opinione del tutto personale, la tassa di imbarco ha lo sgradevole sapore di un balzello medievale, equivale al tributo esatto dal signorotto per fare passare i viandanti per il suo terreno, per il solo diritto di passaggio, senza fornire alcun altro valore aggiunto. È dunque, sempre dal punto di vista concettuale, una esazione ben diversa, per esempio, dal contributo d’accesso in città che, perlomeno in linea di principio, compensa i maggiori costi di esercizio e di “consumo” della città che comportano i visitatori (stessa ratio, peraltro, che sta a monte della tassa di soggiorno che pagano i pernottanti). Ma un passeggero che, poniamo, da Padova venisse a prendere l’aereo al Marco Polo, che impatto provoca? Allora, con logica analoga, il Comune di Padova potrebbe sentirsi titolato a chiedere un sovrapprezzo ai veneziani che passano in treno per la stazione di Padova per andare a Roma o Milano.. Volendo essere esaustivi, si potrebbe tentare di trovare una ratio alla tassa di imbarco a titolo di compensazione dei costi ambientali provocati dal traffico degli aeromobili. Ma in tal caso si porrebbe immediatamente l’obiezione di principio che si verrebbe a costituire uno scambio denaro verso salute, molto difficilmente sostenibile, politicamente e socialmente. Inoltre, ammesso e non concesso che sia sostenibile lo scambio denaro/salute, non avrebbe senso che solo il Comune di Venezia sia il beneficiario del compenso (per l’ovvio motivo che l’inquinamento sarebbe subito anche dagli abitanti dei Comuni limitrofi).
Ma che la tassa piaccia o meno, sta di fatto che il Comune ha approfittato, ripeto, di una prerogativa che gli era consentita dalla legge e se ne prende le responsabilità. Comprensibili certamente le proteste di SAVE che difende il suo business e altrettanto comprensibili le rimostranze delle compagnie aeree. Magari un po’ meno comprensibile il tono apocalittico delle rimostranze che sarebbe stato più comprensibile se i prezzi dei biglietti delle low cost fossero sistematicamente di pochi euro come era un tempo ma, con l’impennata recente, suona un po’ difficile credere che davvero 2,5 € in più abbiano un così grande impatto sulla domanda. Ma sono dettagli. Fin qui, dunque, siamo in una normale dialettica tra parti che hanno interessi divergenti e rivendicazione di rispettive prerogative.
L’uscita di Ryan Air, e torniamo al casus belli da cui siamo partiti, però esce da questi binari. In primis per, diciamo, la stonatura di tono (“il Comune deve..”), impositivo e muscolare, come se Ryan Air avesse titolo a dettare la politica a un’amministrazione pubblica (che, giusta o sbagliata la misura, sarà su questo giudicata dai cittadini elettori). Ma soprattutto per quel grottesco riferimento alla fragile industria turistica. Ora, qualsiasi veneziano, ovunque abiti, qualsiasi idea di città e qualsivoglia posizionamento politico e ideale abbia, si sarà fatto una risata di fronte a quel fragile, perché se c’è in questa fragile (appunto) città qualcosa che è al contrario, solidissimo, onnivoro e a pieno regime è proprio l’industria turistica. Insomma, il Country Manager ha preso un granchio e infatti è stato seppellito di commenti tra lo sbigottito e il divertito.
La vicenda, tuttavia, sarebbe da rubricare come una curiosità senza strascichi particolari se non fosse che è significativa di una realtà che va ben oltre il caso specifico. Con ogni probabilità, il testo della dichiarazione di Ryan Air è un testo standard.. ovvio che una compagnia aerea magnifichi, per default, la connettività, l’occupazione, il turismo. E pure il sapore di chiagni e fotti che evoca quel “fragile”, diciamolo, è un condimento che si mette sempre perché non guasta mai. Quasi mai.. però. A Venezia quel riferimento alla fragilità – non della città ma dell’industria turistica – è suonato del tutto incongruo e (certo involontariamente) provocatorio. Ma appunto, che ne sa Ryan Air della realtà veneziana? Ryan Air è un’azienda internazionale, che opera in tutta Europa e che ha la mission aziendale di trasportare persone – soprattutto turisti – da un capo all’altro del continente. Punto. Che poi se porta visitatori a Tallinn o a Kalamata (dico località a caso) sia magari benvenuta per il turismo locale mentre a Venezia o a Bruges i turisti non sanno più dove metterli.. non rileva dal suo punto di vista, non ha strumenti e soprattutto neppure interesse a distinguere le casistiche. Da qui nascono topiche come quella in oggetto.
Ma quanto sopra si applica non solo al caso di una multinazionale ma vale pure per le grandi organizzazioni internazionali; ad esempio (e so di andare contropelo a molti) l’UNESCO. Ricordate le imposizioni alcune delle quali fantasiose (a three dimensional morphological model), o sommamente vaghe (a sustainable tourist strategy) o ancora inutilmente draconiane (to halt all new projects) che aveva imposto per evitare l’onta di essere messi nella danger list dei siti patrimonio dell’umanità? Salvo poi finire tutto a tarallucci e vino https://www.luminosigiorni.it/2017/01/tarallucci-e-vino/ quando Brugnaro gli ha venduto fumo e loro hanno finto di crederci. Anche questo esempio, plasticamente, mostra che quando entra in gioco un’entità che è fisiologicamente distante dalla realtà locale è facilissimo pestare acqua nel mortaio. Ma non solo: anche lo stesso Stato, la stessa Regione in determinati casi non colgono le specificità, le necessità, le particolari condizioni di un territorio. E, cambiando la scala, la UE stessa nei confronti dell’Italia.. ricordiamo tutti la pretesa sull’impacchettamento dei tramezzini..
Questo consegna nelle mani degli amministratori locali una responsabilità enorme: la rappresentanza della specificità del proprio territorio, da esercitare con equilibrio e responsabilità. Equilibrio perché naturalmente è da evitare a tutti i costi il rischio di diventare talebani in senso opposto: ovvero pretendere di inquadrare qualsiasi situazione locale come unica, specifica e irripetibile (cosa che a Venezia, anche comprensibilmente, capita un po’ troppo spesso).
© immagine di copertina: VeneziePost