LA CITTÀ FUTURA di Giovanni Montanaro. Focus su: Venezia Capitale
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6 Aprile 2024Basterebbe solo una citazione per chiarire perché la terraferma veneziana rappresenta uno dei casi più esemplari di fallimento dell’urbanistica nel nostro paese. È una frase, contenuta all’art. 15 delle Norme urbanistico-edilizie del PRG del 1962, per la precisione a pag. 24[1], che recita testualmente “nella zona industriale troveranno posto prevalentemente quegli impianti che diffondono nell’aria fumo, polvere o esalazioni dannose alla vita umana, che scaricano nell’acqua sostanze velenose, che producono vibrazioni e rumori”. Venezia, che nella sua espansione residenziale e industriale verso la terraferma dei primi cinquant’anni del Novecento, aveva provato a innovare i modelli urbani, con quella frase sancisce di fatto la fine del sogno di realizzare un modello di sviluppo in rapporto armonico con il territorio. Marghera, la “città giardino” disegnata da Emmer, invece di garantire condizioni di qualità della vita e di vivibilità elevate, diventa lo scenario perfetto ed esemplare del fallimento epocale di quella “urbanistica del retino” che ha contraddistinto tutto lo sviluppo territoriale del secondo Novecento, non solo nella nostra città ma in tutta Italia. Potrebbe sembrare eccessivo parlare di fallimento, e non me ne vogliano i miei amici urbanisti, ma è un dato di fatto che lo sviluppo di Mestre, Marghera e degli altri centri periferici di questo comune – da Favaro alla Cipressina, da Zelarino a Campalto – siano il frutto di una regulation che ha regolato poco e che ha costruito un territorio metropolitano nel quale si è scelto di non agire e non controllare, abortendo ad esempio a metà degli anni ’70 la realizzazione di un Piano Comprensoriale che avrebbe potuto disegnare un vero ruolo metropolitano per la città, fino ai “sacchi” peggiori di Mestre, uno per tutti il taglio degli alberi e la cancellazione di Parco Ponci nell’arco di una notte e la sua successiva trasformazione a parcheggio. Tutti i piani, tutte le azioni seguenti, dal piano di Benevolo al sogno di Zorzetto e fino all’attuale PAT, sono il tentativo, a volte riuscito e a volte meno, di risistemare ciò che non aveva un disegno. Il territorio della nostra città è figlio di un fallimento, ma è anche figlio di chi ha provato a rimettere ordine, dando prova di lungimiranza e capacità di visione. Cito Gaetano Zorzetto per tutti, perché è a lui che dobbiamo l’idea di una “Mestre bella”, che nel tempo ha saputo cucire le cesure fisiche che limitano questo territorio a pensarsi come luogo unitario. La creazione di ampie dotazioni di verde urbano, o la realizzazione della rete del tram che unisce Marghera, Mestre e Venezia sono stati passi importanti in questa direzione, più di quanto si possa immaginare, ma i tempi del recupero urbanistico e insediativo sono lunghi e dobbiamo traguardarli anche oggi sul lungo periodo. Guardando alla terraferma, ai suoi vuoti urbani, ai luoghi dell’abbandono, alle necessità di riqualificazione, il primo elemento sul quale concentrare l’attenzione è certamente l’esigenza di creare maggiori connessioni tra i luoghi, al fine di produrre anche maggiore permeabilità ai luoghi stessi, superando quella logica, ahimè ancora molto in voga, di ragionare per corpi separati: la città residenziale, i luoghi del commercio, quelli della produzione, quelli del tempo libero. Ma l’evoluzione della società, l’avvento del digitale, il cambiamento dei modelli abitativi spingono sempre più verso una interazione e integrazione delle diverse componenti che permettono ad una città di diventare non solo più vivibile, ma soprattutto di essere attrattiva. Perché il problema principale oggi non è tanto, e non solo, intervenire su “cosa” abbiamo costruito, ma comprendere “come” intervenire e soprattutto “per chi” e anche “con chi”. Fino ad alcuni anni fa l’urbanistica considerava gli abitanti come “cittadini equivalenti”. Nei piani regolatori si studiava lo sviluppo urbano in termini di nuovi abitanti e ad ogni abitante erano assegnati tot metri cubi da edificare. Evidentemente oggi non può più essere così e non lo è più, per fortuna. Perché oggi le sfide che abbiamo di fronte sono quelle dell’economia circolare, della sostenibilità, del miglioramento della vivibilità della città, della costruzione di una città non solo intelligente, sostenibile e inclusiva, ma che punti a realizzare quanto definito nell’Obiettivo 11 dell’Agenda 2030, dove la città è il luogo per lo sviluppo delle comunità. È un cambiamento di paradigma che, paradossalmente, per Mestre, Marghera e gli altri centri periferici della terraferma, può proprio assumere maggiore forza perché siamo figli di un fallimento riconosciuto e riconoscibile e che non possiamo permetterci di ripetere. Da dove partire? In realtà molto è stato fatto, molto si è iniziato a fare e molto si sta facendo, ma il rischio è che la progressione avvenga più che altro per parti e senza una visione unitaria e strategica di lungo periodo. Venezia ha perso tanti treni, uno dei più importanti, a mio avviso, è stato quello del Piano strategico, la cui costruzione aveva animato positivamente e concretamente tutte le categorie interessate in città e che, appena finito di costruire, è stato messo su un binario morto dal “fuoco amico” di un cambio amministrativo che, invece di agire in continuità, ha deciso di agire in discontinuità. Ma se osserviamo come le città europee virtuose pianificano e agiscono, ad esempio studiando quelle che hanno vinto l’European Green Capital Award, emerge in modo evidente innanzitutto la visione di insieme di lungo periodo, con piani al 2030, 2040, perfino al 2050, dove le azioni puntuali di riqualificazione e rigenerazione sono pensate in funzione degli abitanti, dei residenti, dei city users, oltre che delle imprese, in continuità e mai in discontinuità. Sono città che hanno puntato fortemente sulla sostenibilità e sulla vivibilità, creando condizioni di miglioramento della qualità della vita, creando dunque le condizioni perché le città siano funzionali allo sviluppo in relazione alla qualità dello sviluppo stesso, esattamente il contrario di quanto scritto nel 1962 nel PRG del comune di Venezia. Il tema è avere o costruire una visione olistica del territorio, a prescindere dalle norme amministrative/urbanistiche. L’idea, molto diffusa e presente, di agire per valorizzazioni di singole aree, non è adeguata alla complessità dei problemi che vanno affrontati oggi a scala metropolitana. Il punto chiave è ritrovare il senso complessivo della città, da quella d’acqua a quella di terra, recuperando le relazioni tra i luoghi. Paradossalmente dovrebbe essere Mestre (la terraferma) sempre più città d’acqua e Venezia sempre più città di terra. È una questione essenzialmente di relazioni, perché la città è un luogo di relazioni – materiali e immateriali – ed è sulla qualità di queste che si definisce la qualità della città, in una visione olistica. In una visione di questo tipo, le politiche di rigenerazione urbana assumono un valore generale che poi si traduce in azioni specifiche e concrete da attuare sulle singole parti della città, quelle private come quelle pubbliche, dalla riqualificazione degli edifici secondo la direttiva europea cosiddetta “Case green” (Energy performance of building directive, Epbd) al recupero dei tanti vuoti urbani, per i quali si aspettano da troppi anni progetti che non possono più essere costruiti con le logiche del passato, ovvero fini a se stessi, ma inseriti in una funzionalità della città ad ampio spettro. In una logica di questo tipo ecco che il recupero del rapporto con l’acqua, l’attenzione al recupero dei waterfront urbani, di acqua e di terra, sono ad esempio alcune linee programmatiche che andrebbero nel solco di quanto già fatto da città europee che, vincendo il premio di capitali verdi, sono oramai best practices riconosciute. E in una logica di questo tipo, ancora, trovano armonicamente significato le scelte di dotare la città, pubblica e privata, di condizioni di maggiore accessibilità, di servizi di prossimità, di soluzioni di inclusività per i nuovi cittadini, perché la città è e rimarrà viva se saprà attrarre residenti, non turisti. E una città di qualità è anche spazio ideale per le nuove imprese e dunque per nuovi posti di lavoro. Ma per far questo serve prima di tutto costruire un rapporto pubblico/privato solido e interagente, un rapporto che passi dall’idea del controllo alla pratica della collaborazione, dall’ossessione per le norme alla definizione di strumenti di lavoro che incentivino la trasparenza e la chiarezza dei fini, integrando le competenze e adottando procedure traversali all’interno degli enti, ad esempio utilizzando le conferenze dei servizi, che in alcuni territori (vedasi Jesolo) hanno prodotto modalità molto efficaci di interazione e intervento ad esempio tra privati, amministrazione pubblica e Soprintendenza. Vanno rivisti i ruoli, con il pubblico che non può più giocare solo il ruolo di arbitro e il privato che non può più giocare da solo e proporre “ricette preconfezionate”, ma mettendosi insieme nelle condizioni di saper costruire un’offerta di città in grado di accompagnarne la domanda, con i cittadini e il terzo settore quali interlocutori attivi e propositivi (e non solo oppositivi). Per la nostra città, ma anche per qualsiasi altra città figlia del fallimento urbanistico del dopoguerra, si tratta di superare la visione del territorio per “lotti” passando ad una visione complessa e integrata, da politiche indifferenziate a scelte strategiche e gerarchiche, dai progetti autoreferenziali alla loro integrazione con il contesto, dalla logica dello standard – urbanistico, dei servizi – alla logica della prestazione, dall’attenzione alle tecnologie a quella del raggiungimento di obiettivi. Per parlare di rigenerazione urbana dobbiamo spostare l’attenzione dagli oggetti alle persone e pensare i luoghi in funzione del loro uso sociale e, per dirla con Marina Dragotto, domandarci “a chi serve la città”, passando dal COSA al CHI, dagli oggetti alle persone, un approccio che può finalmente dare nuove prospettive e indicare con più chiarezza la strada da seguire.
[1] https://www.comune.venezia.it/sites/default/files/cartanet/prg-1962/Norme%20Urbanistico-Edilizie.pdf