Un mondo di valori in pericolo (con la nostra connivenza)
4 Aprile 2024LA CITTÀ FUTURA di Federico Della Puppa. Focus su: Urbanistica
5 Aprile 2024Nel tempo, Venezia ha sempre avuto necessità, capacità di rinnovarsi. È stata prima città dei pescatori, poi dei commercianti, delle navi, dell’Arsenale, grande emporio del Mediterraneo, e così potenza militare, centro di editoria e cultura. A ogni secolo, a ogni svolta della storia, ha modificato il proprio paradigma. Dopo l’Ottocento di povertà e subalternità e dopo il tentativo del Novecento industriale, Venezia si affaccia al primo quarto del nuovo secolo con una forte identità.
Venezia è una capitale del turismo. Di quale turismo, è tutto da vedere. Venezia non ha più la Ciga, certo, ha molti hotel, alcuni di lusso, altri di ottima qualità, altri ben più cadenti, ha soprattutto un gigantesco numero di appartamenti destinati alla ospitalità, un numero di visitatori in crescita esponenziale e specialmente un numero impattante di escursionisti giornalieri, certamente meno remunerativi anche se a me indubbiamente simpatici (con le famiglie, e i bambini che hanno tutto il diritto di vedersi la città più bella del mondo). Turistica nelle sue isole, ma ormai anche nella sua terraferma, dove aumentano gli hotel e gli appartamenti messi a reddito. Insomma, più che capitale del turismo di qualità è capitale del turismo di massa.
Il trend sembra irreversibile ma, come tutte le cose della vita, non sarà eterno. La domanda corretta da porsi è dunque: può Venezia velocemente diventare capitale di qualcosa d’altro che non sia il turismo?
I cambiamenti, si sa, vengono con la necessità, le crisi, e il problema più grosso che fronteggia oggi la città è proprio la difficoltà a modificare un assetto esistente, così penetrante e così vantaggioso. Come però ormai dicono tutti, la ricchezza che il turismo indubbiamente produce (agli operatori e ai proprietari di case) porta con sé numerose criticità; nel suo trionfo, il turismo depaupera la città di lavori qualificati, di appartamenti abitabili, di comunità. Rende la città apparentemente centrale ma in realtà del tutto periferica ai processi del mondo. Se dunque il turismo non è un male assoluto, ma anzi è stata una grande spinta a processi di salvaguardia della città, è chiaro che prima di tutto bisogna pensare al suo riequilibrio.
Manovre come il ticket di ingresso sono probabilmente necessarie ma di fondo non fanno altro che rendere ulteriormente eccezionale la città. Quel che spaventa più di tutto, però, è, invece, l’assenza di iniziative serie per incentivare una diversa Venezia, a partire dalla residenzialità. Già con ventimila abitanti in più nelle isole, e altrettanti in terraferma (anch’essa afflitta da spopolamento / diminuzione demografica), la città sarebbe diversa. Non pare impossibile, eppure nessuno si è posto questo traguardo con coerenza.
Penso (e non sono certo il solo) a una diversa tassazione sulle affittanze turistiche e a un limite alle notti (ma senza esagerare, che non è deprimendo un’economia che se ne incentivano altre), a normative speciali per i centri storici, a nuove leggi che consentano per palazzi e luoghi d’arte fruizioni anche di lavoro quotidiano, a una diversa gestione del patrimonio pubblico, alla possibilità di mantenere uffici e centri direzionali anche nelle città d’arte. Penso alla autonomia normativa, per Venezia, che le consenta di autoregolarsi, di gestire la sua laguna. Alla qualità della vita; i servizi, gli ospedali, i tribunali, i parcheggi, i posti barca, anche nella gronda lagunare. Alla attrazione di acceleratori, di home workers, di attività economiche diversificate. Penso a gestire già l’esistente, e soprattutto il grande protagonismo della cultura contemporanea che secondo alcuni è già quel che sta salvando Venezia, portando lavoro qualificato e una alta qualità della vita. All’Università, alle agenzie internazionali. Penso a un grande sforzo collettivo, che vada in questa direzione. Tutto questo sarebbe già sufficiente, per invertire una tendenza. Per cominciare anche a raccontare una città diversa, una città in cui si vive bene (come spesso, al di là di tutto, è già adesso).
Forse, però, è tempo di una sfida più coraggiosa, in cui Venezia possa tornare a essere una città significativa nel panorama mondiale. Per fare questo la città andrebbe radicalmente ripensata, a partire dalla sua portualità (indispensabile il porto offshore), da Marghera, da Mestre e a partire da alcuni luoghi simbolo, ancora quelli della mancata completa trasformazione della città novecentesca, del suo legame tra le isole e la terraferma. È la Marittima, il futuro, uno spazio in cui potrebbe starci un’intera nuova città da abitare.
Si può fare. Partendo da una constatazione. Venezia appartiene a un’area geografica definita, il Nord Italia che, pur in lenta decadenza, rimane una delle aree del pianeta dove il benessere è più diffuso. Venezia, dunque, sta all’interno di un sistema più ampio rispetto al quale deve definirsi. È un sistema che compete con un mondo sempre più complesso e globalizzato, in cui le scale sono sempre più grandi (non è un caso che le prossime Olimpiadi saranno da Milano a Cortina, di tutto un territorio vasto).
Ma in cui il Nord Est, tuttora vivace, tuttora complesso, sconta una grande perifericità (niente banche, pochi editori, al di là di qualche recente iniziativa). È in questo territorio, che Venezia deve tornare a essere una capitale che serve, senza la quale rischia un declino già in parte visibile e che è dato, anche, dalla frammentazione, dalla parcellizzazione, dalla difficoltà di fare sistema. Che nasce, in fondo, dalla assenza di un centro direzionale chiaro, forte, che solo Venezia può ancora essere, nel mondo. Ri-attranedo funzioni, poteri.
Collocata nel suo territorio, dunque, ma sempre ovviamente città del mondo. Città simbolo. Dell’equilibrio tra l’uomo e la natura (più che della sostenibilità, parola troppo spesso vuota), delle minacce climatiche. Della bellezza. Della possibilità di una vita bella. Città del futuro.
In fondo, quello che si fa fatica spesso a comprendere è che l’overtourism di Venezia è già in altre città e Venezia, ancora una volta, può insegnare qualcosa ad altri. Io penso che siamo in una svolta di civiltà, oggi, su cosa significa essere una città. Se le città nascono per commerciare, conoscere, difendersi, regolarsi, se oggi subiscono la concorrenza di un’altra città virtuale, a disposizione di tutti (il telefonino), è chiaro che oggi devono domandarsi cosa vogliono essere. Soprattutto le grandi capitali europee. Luoghi di turismo, di tempo libero o, ancora, centri di confronto, capaci di generare pensiero, di mantenere, in fondo, la misura umana delle comunità reali?