
ANIMALS Filosofi e altre creature
10 Ottobre 2025
Alta Marea, un club di sostenitori veri della squadra Venezia FC, compie vent’anni
14 Ottobre 2025La fine di quest’estate ha coinciso con l’inizio di una stagione nuova. Niente affatto bella a dire il vero. L’età dell’odio o, per meglio dire, l’età della resistenza politica all’odio, la cui sconfitta ci condurrà, senza dubbio, secondo i sedicenti fautori dell’amore, in un mondo migliore. Ma perché ciò avvenga bisogna eradicare dalla società, tutti quei virus che sono in grado di diffondere solo dolore e morte.
Che tra odio e amore ci sia un’eterna lotta, fisiologica e strutturale, da sempre viva e, tutto sommato, vitale, è cosa vecchia quanto il mondo. L’odio e l’amore, nella loro perenne dialettica, hanno ispirato romanzieri e poeti, registi e sceneggiatori, grazie ai quali ci siamo commossi, arrabbiati, risentiti, identificandoci ora nell’uno, ora nell’altro polo della realtà. L’odio e l’amore sono presenti anche nelle nostre scelte di vita e non di rado ci governano anche laddove la ragione dovrebbe farla da padrona. Ci capita di amare figure carismatiche e di riporre in loro le nostre speranze di redenzione. Ed è abbastanza ricorrente odiare chi ci sembra si contrapponga ai nostri progetti di giustizia e di libertà. I politici, in tal senso, possono diventare oggetto dei nostri sentimenti che in forma molto semplificata chiamiamo odio e amore, ma hanno delle valenze molto più complesse, ascrivibili a una dimensione non propriamente privatistica dei sentimenti. Esemplificando al massimo, se dico che “amo Meloni” (è giusto un esempio), non voglio dire che amo la donna madre, cristiana, italiana, ma che spero in un suo operato che possa arrecare un beneficio collettivo. E, proprio perché non è lei in quanto donna che mi interessa, o che ammiro, ma la sua azione politica, non arriverei mai ad augurare il male alla sua persona, qualora mi dovesse deludere, né mi sognerei di fargliene.
Detto questo, non escludo che possano anche sfuggirmi espressioni che tradiscono una mia affezione o un mio slancio nei suoi confronti. Io, però, sono una cittadina comune, con i miei limiti, le mie debolezze e il mio bisogno di consegnarmi a chi ha contezza della cosa pubblica. Non è ammissibile, invece, che politici, posti a vertici altissimi del potere, utilizzino categorie come l’odio o l’amore nell’esercizio delle loro funzioni. È quanto è successo, però, poco più di un mese fa, in seguito alla morte di Charlie Kirk, l’attivista MAGA americano, di cui molti di noi hanno appreso l’esistenza dopo la sua morte. Una morte che è stata strumentalizzata innanzitutto da Trump, ma in seconda battuta dalla nostra presidente del consiglio e da tutto il suo entourage di ministri e giornalisti. Enfatizzare questa morte e scagliarsi contro un nemico identificato in un’accezione generica di sinistra aggressiva e sanguinaria dal cui odio giammai i patrioti di tutto il mondo si lasceranno intimidire, potrebbe sembrare sintomo di una miopia politica ingenua e primitiva. Si tratta piuttosto di una lucida, coordinata strategia per innalzare il livello dello scontro politico. Contrapporre il martire Kirk a una sinistra spietata che cerca scorciatoie letali per sconfiggere l’avversario diventa un efficace strumento di propaganda in grado di conquistare il cuore della gente e di pilotarla verso la scelta di un ipotetico bene assoluto. Trump ci ha mostrato come si fa, con la spregiudicatezza che gli è propria e Meloni lo ha seguito a ruota, con eco appiattita, dimenticando (o volendosene dimenticare) che l’Italia non è l’America, dove, a causa di un presidente divisivo e di un uso disinvolto e generalizzato delle armi, si vive un clima di guerra civile. Che Kirk appartenesse a una famiglia repubblicana si è appena detto con brevissimi accenni, mentre si è subito data una connotazione rossa al nemico, lo si è processato pubblicamente, attraverso una semplificazione interpretativa dei fatti, ricorrendo a una grossolana ma efficace strategia retorica studiata al fine di generare paure e fazioni, spazio fertile per una possibile stretta autoritaria. La nostra presidente del consiglio, parlando di Kirk ha spesso assunto toni da capo di partito e non da capo del governo di un paese, e dunque da presidente di tutti, dimostrando, ancora una volta una faziosità che ha poco di istituzionale.
“Una menzogna ripetuta mille volte diventa la verità”, sosteneva Joseph Goebbels, ministro della propaganda del regime nazista, il quale era convinto che l’odio fosse un importante collante politico. Quell’odio che tanto viene presentato come il pericolo numero uno da combattere diventa un brillante dispositivo per anestetizzare le masse. Se un capo di stato o di governo addita un nemico, ne presenta la pericolosità, anche con dei fatti precisi, va da sé che il popolo si unisca intorno a lui. Oggi attraversiamo una fase in cui la stessa propaganda si è modificata, si è tradotta in slogan urlati da capi politici che somigliano molto più a capi ultras di curve da stadio. Il rumore ha sostituito la complessità del pensiero e il significato stesso delle parole. E si agisce sull’onda dell’emotività.
Quali contromisure adottare? In uno scenario così scoraggiante c’è da sperare che donne e uomini di buona volontà, determinati a far sentire una voce di giustizia e di libertà, prendano posizione e diano prova di lucidità. Le manifestazioni dei giorni scorsi, la rivolta pacifica dei cuori e delle intelligenze, la ribellione alla guerra e alla prevaricazione, sull’onda dell’esperienza preziosa della Flotilla, vissute, guarda caso, dal presidente del consiglio come atti di lesa maestà, contengono un’importante valenza politica. Danno un messaggio di speranza, forse utopico ma sano, dal quale partire per combattere il sonno della ragione e non annegare nella palude della rassegnazione e dell’ignavia.