Geopolitica Vs. Economia
15 Maggio 2024Ma di cosa ci state parlando?
17 Maggio 2024Maghi, fate, orchi, streghe, incantesimi, pozioni magiche, animali parlanti… Di questi e di altri simili ingredienti ed inverosimiglianze spazio-temporali sono piene zeppe le fiabe e le favole che ci venivano narrate quando eravamo molto piccoli. Allora ci credevamo senza riserve a tali fole, così come credevamo nell’esistenza di Babbo Natale e della Befana.
Poi sopraggiunge un’età di passaggio in cui a queste cose si continua a credere, sì, ma con qualche riserva, non più completamente. Però, allo stesso tempo, ci si crede ancora un pochino. Si dura fatica a rinunciare alle belle illusioni: sono, questi, i prodigi della mente umana, che è capace, in barba ai più evidenti principi della logica, di continuare a credere in qualcosa (o in qualcuno) e, allo stesso tempo, di non crederci più.
Finché viene l’età in cui a queste ed altre fole non si crede più davvero. Ciò nonostante, da ragazzini si continua a giocare al “facciamo che tu eri e che io ero”. I bambini grandi sanno bene che si tratta di una finzione, ma sono disposti a recedere momentaneamente dalla loro incredulità, a sospenderla, appunto, pur di non rinunciare alla bellezza di giocare ad un racconto inventato. Il fatto è che a tutti noi umani i racconti, sia i quelli che ci si racconta da sé sia quelli che ci vengono narrati, piacciono moltissimo, ne abbiamo un gran bisogno. Ma anche il film più verosimile e realistico che ci cattura tanto, presenta pur sempre un certo numero d’incongruenze, di circostanze non del tutto verosimili, fateci caso. Però ci si passa sopra. Ci si concede il lusso di far finta di niente. Ci si concede la libertà di sorvolare sulle carenze di verosimiglianza, pur di godere del racconto.
Il motivo, penso, stia nel fatto che tutti quanti siamo famelici di racconti. E questo perché i racconti (romanzi e film, ma non solo) hanno la virtù di spiegarci, quale più quale meno, tante cose sulla nostra medesima vita – fatte salve, s’intende, le debite differenze di luoghi, di tempi e d’altri elementi tra quello che ci viene narrato ed i casi reali della nostra esistenza.
Il vantaggio dei racconti letti o ascoltati è che essi – per quanto truci e spaventevoli siano gli avvenimenti che vi sono narrati – ci fanno comunque sentire al sicuro: sappiamo che non corriamo alcun rischio perché quegli avvenimenti, anche se perigliosi o impressionanti, di cui sentiamo narrare, avvengono pur sempre tutti in un rassicurante “altrove”, dal quale noi siamo immuni e protetti, mentre ce ne stiamo seduti sul nostro sofà o comodi davanti ad uno schermo o accoccolati sul tappeto ad ascoltare la nonna che racconta una fiaba di orchi e di perfide streghe. Senza correre alcun pericolo, dunque, possiamo imparare, attraverso i racconti, le cose più belle o più brutte o più meravigliose sulla vita degli altri (che però, in fondo, somiglia tanto alla nostra…).
I racconti ci parlano molto di noi stessi e ci aiutano a capire la nostra vita che, a viverla dall’interno, ci appare spesso confusa, si rivela come un incessante e travolgente turbillon di vicissitudini, che noi attraversiamo sovente con un considerevole grado d’inconsapevolezza, almeno fintantoché ci siamo immersi fino al collo.
Per questo è bello immedesimarsi nelle storie. Ma per far questo non bisogna essere troppo pedanti: ci vuole una certa dose di… sospensione della nostra incredulità. Questa magnifica e potente facoltà, a ben vedere, la esercitiamo sempre, perfino quando ascoltiamo una storia vera di vita vissuta che ci viene raccontata da una persona che parla di sé: non tutto quello che ci dicono gli altri sui casi della loro vita ci convince proprio completamente e fino in fondo; ma noi sospendiamo il nostro giudizio: ascoltiamo con riserva d’inventario ciò che ci viene detto, non solo perché siamo diffidenti o saggiamente prudenti, ma anche perché se non mettessimo in stand by certi aspetti dubbi e traballanti della narrazione, non potremmo godere a pieno degli insegnamenti che (sempre) si possono trarre dalle storie che gli altri ci raccontano.
Ebbene, tali insegnamenti, e l’anzidetta facoltà del “dubbio sospeso”, sono due ingredienti presenti al massimo grado nei racconti che vengono scritti dai “professionisti” della penna, dagli scrittori, che raccontano per il loro proprio gusto e per il bisogno stesso che hanno di narrare storie: un bisogno che è speculare al nostro bisogno di sentircele narrare, quelle storie, siano esse leggende o parabole o narrazioni di fantasy o altri generi di novelle, poemi, romanzi o film.
Pertanto lasciatemi diffidare parecchio di coloro (sospendendo il giudizio su di essi…) i quali sostengono di non amare le storie di fantasia, i racconti cosiddetti d’invenzione (che poi tali non sono mai veramente del tutto) e di non leggere affatto romanzi o vedere stupidi film di fantasia, ma di nutrirsi solo di articoli e discorsi di economia o politica, di saggi seri, di trattati, di libri scientifici o di manuali tecnici e di altre simili e pur importantissime pubblicazioni. Costoro non sanno che cosa si perdono. O meglio, non sanno che inutilmente stanno cercando di emanciparsi da un bisogno ancestrale e inestirpabile dall’animo umano: quello di sentirsi raccontare delle storie, appunto. Storie fantastiche o verosimili, poco importa, perché per imparare la vita (anche dalle storie molto realistiche o dalle storie “vere”) sono pur sempre necessarie considerevoli dosi di “sospensione dell’incredulità”.