
La vexata quaestio del Centro politico
19 Dicembre 2024
Programmi elettorali. Istruzioni per l’uso
1 Gennaio 2025Nei giorni scorsi l’OCSE ci ha servito l’ennesima doccia fredda. Negli adulti italiani si osserva una crescita di casi di analfabetismo funzionale, detto anche analfabetismo di ritorno. Si tratta di adulti che dispongono di capacità linguistiche o matematiche molto scarse, tanto che in media un laureato italiano mostra competenze inferiori a un diplomato finlandese. Un quadro davvero umiliante che non lascia sperare nulla di buono per l’immediato futuro, malgrado i più giovani (16-24 anni) in Italia raggiungano punteggi di competenze superiori al resto della popolazione.
Ho parlato di ennesima doccia fredda perché non è la prima volta che viene rilevata questa inadeguatezza della popolazione adulta italiana. E, tanto per cambiare, oggi, come ogni santa volta, la sola a salire sul banco degli imputati è la scuola. La scuola con i suoi sacerdoti, gli insegnanti, da sempre bersaglio di critiche, di attacchi e, talvolta, di ingiurie impietose. È vero, ci sono tante cose che dovrebbero essere cambiate. Tanta ritualità che sa di vecchio e che non funziona. Secondo molti pedagogisti, la classe, intesa come unità ubicata in una sede fissa, l’aula, andrebbe superata. E questo avviene in molti paesi del mondo. In primis in Finlandia, dove gli studenti si recano, a ogni cambio d’ora, in aule colorate e attrezzate, veri e propri laboratori, dove si creano ambienti dinamici di apprendimento. Svincolare l’alunno dalla fissità di un luogo gli permette di non stancarsi e di non distrarsi, mentre questa pratica lo fa aprire più facilmente all’acquisizione di conoscenze, senza la necessità di integrare con i compiti a casa (altro zoccolo duro della nostra tradizione scolastica). Perché a scuola, gli studenti, in molti paesi, trascorrono buona parte del loro tempo e ogni percorso, che sia di potenziamento o di recupero, viene svolto negli appositi spazi di apprendimento.
Quanto alle valutazioni, non possiamo negare che la scuola italiana si configuri come un apparato troppo meritocratico, con cumuli sconfinati di verifiche, in un regime di interventi standardizzati. Si tratta sicuramente di un limite ma, fino a che avremo classi sempre più numerose, compresse in un’edilizia angusta che impedisce un approccio laboratoriale, sarà difficile cambiare prospettiva.
È solo un vezzo, il nostro, quello di guardare con ammirata deferenza ai paesi del Nord Europa, sminuendo tutto ciò che si realizza su territorio italico o non è il caso invece di considerare gli sforzi immani che vengono prodotti a costo zero dagli innumerevoli don chisciotte in cattedra disseminati per l’Italia? Non li sottovaluterei questi sforzi, soprattutto se consideriamo che tante belle teste provenienti dalle nostre scuole e dalle nostre università eccellono ogni anno all’estero. E se meriti ci sono in tutto ciò, questi non attengono certo agli investimenti fatti dai governi che si sono succeduti finora.
Parlando con colleghi scandinavi, di recente, ho ricevuto sinceri attestati di stima. Nessuno di loro, stando a quanto mi hanno riferito, sarebbe mai ricorso alle strategie perfezionate dagli insegnanti italiani in era Covid per la didattica a distanza, a fronte dei loro stipendi da fame. Ma questa non è che una magra soddisfazione.
Il modello finlandese, con i suoi inconfutabili successi, basato sulla scuola esclusivamente pubblica che riceve fondi cospicui dallo Stato, ci ha inflitto una dura umiliazione. I dati parlano chiaro e dovrebbero indurci, dopo la fase delle amare riflessioni, a seri provvedimenti. I dati OCSE urlano giustizia. Urlano attenzione e investimenti da parte dello stato. Se offri un modello solido, non puoi che riavere in cambio genio e solidità. Se ricevi miseria non puoi che restituire miseria. Malgrado ciò, malgrado un apparato burocratico sempre più difficile da governare, malgrado un apprezzamento sociale giunto a minimi storici, gli insegnanti danno l’anima e difendono con forza – è rimasta solo quella – la nostra scuola.



