Da Cronache della Galassia del nove novembre cinquemila ventiquattro
11 Novembre 2024Cosa cambierà con Trump presidente?
12 Novembre 2024Il turpiloquio è diventato, tranne le dovute eccezioni, una costante nella comunicazione tra giovanissimi. Mi capita spesso di prendere i mezzi pubblici, soprattutto nell’ora di uscita da scuola, e sempre più spesso mi capita di assistere a chiacchierate tra adolescenti che infilano in ogni frase una o più parolacce. In molti casi, anzi, è tutto un fluire di parolacce, che si alternano di tanto in tanto a parole che fanno parte della nostra lingua ufficiale. Il fenomeno mi lascia sempre un po’ di amaro in bocca. È probabile che la mia sia la reazione di una vecchia insegnante costretta a constatare la grande difficoltà della scuola a fornire, e poi a consolidare, quegli strumenti necessari ad esprimersi e a muoversi nel mondo. Ma non è solo questo. Il turpiloquio è il sintomo di un malessere ed è, al tempo stesso, effetto e causa di un disagio ben più complesso.
Cerco di spiegarmi. L’uso del turpiloquio è parente stretto di quello che gli psicologi chiamano “ipocognizione”, la mancanza, cioè, di parole necessarie ad esternare la propria realtà emotiva. La mancanza di strumenti lessicali adatti ad esprimere stati d’animo ed emozioni può generare rabbia e difficoltà relazionali, ma dà anche vita all’uso di un linguaggio povero e posticcio che nasconde un disagio non ben identificato. Una sorta di incapacità di dare voce ai propri pensieri. Ne consegue un’ostentazione a volte esagerata di una comunicazione che racconta un vuoto linguistico, ma anche vuoto di pensiero e analfabetismo emotivo. Insomma, il dolore, la sofferenza, la gioia, la paura o la speranza non possono essere compresi né raccontati a suon di caxxx, strxxxx e merxx !
In ogni caso, non è una novità che i giovani dicano parolacce. Molti lo ritengono una forma di trasgressione che fa parte di un rito di passaggio. Si diventa grandi anche adottando un linguaggio disinibito; il linguaggio di chi non teme reprimende e decide di testa propria, oltre che come vestirsi, cosa fare, con chi stare, anche come esprimersi. Inoltre, dire parolacce può essere liberatorio. Si sa: un sano “vaffa…” ha talvolta un valore catartico che facilita la fuoruscita di tanti sassolini dalla scarpa.
Ben più grave è quando questo… chiamiamolo sfogo lessicale diventa abitudine negli adulti. È grave, perché a una certa età i riti di passaggio dovrebbero essere bell’e che compiuti e non è certo l’adozione di uno slang giovanilistico ricco di parolacce, a una certa età, che rende più attraenti. È grave perché il linguaggio degli adulti è un modello di comunicazione che ha il potere di influenzare quello dei giovani. Sia che questa influenza avvenga in famiglia, a scuola, nei social o in televisione.
Non è facile eradicare un’attitudine così generalizzata. Purtroppo il turpiloquio è stato sdoganato ovunque. Oggi, giornalisti, conduttori televisivi, influencer, artisti, politici usano abitualmente il turpiloquio. E hanno tutti delle grandi responsabilità nei confronti dei nostri giovani. Anche la politica lo ha adottato come strumento di persuasione. Sono lontani i tempi in cui Aldo Moro andava in spiaggia in giacca e cravatta, per rispetto degli italiani che lo avevano votato. Sono lontani i tempi della dignità e del decoro. Sono lontani i tempi in cui i politici usavano la lingua italiana con tutto il suo armamentario di regole, pur rischiando di essere percepiti lontani dalla gente, un po’ ingessati e paludati o troppo tecnici nei loro interventi. Il linguaggio, tuttavia, era sempre corretto e consono al ruolo che quei politici ricoprivano.
Molti leader scelgono, oggi, l’immediatezza del linguaggio. Scelgono, cioè, di parlare come mangiano al proprio elettorato e ai propri potenziali elettori, convinti di ottenere consensi. È un modo per convincere la gente di essere una cosa sola con quelli che li ascoltano. Una cosa sola che include mediocrità e parolacce. È un’idea demagogica che non offre soluzioni. In compenso diseduca. Diseduca giovani e meno giovani.
Da un ministro, da un presidente, da un rappresentante delle istituzioni non mi aspetto che sia uno di noi, non voglio che parli come noi. Perché non è uno di noi. È un soggetto che ha il compito importantissimo di scegliere per noi e di offrire, che lo si voglia o no, dei modelli di vita all’intero Paese. Ed è per questo che deve porsi al di sopra di noi. Anche con il linguaggio, con la postura, con il comportamento.
La volgarità non è spontaneità. Il turpiloquio non è immediatezza. La povertà del linguaggio non è chiarezza comunicativa. Gli isterismi volgari buttati nei talk non sono prove di forza e di verità. Sono solo delle brutte rappresentazioni della realtà dalle quali occorre prendere le distanze.