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22 Ottobre 2024Chi trascorre buona parte della propria vita nella scuola come docente sa che uno degli zoccoli più duri di questo lavoro è l’intemperanza degli studenti. Intemperanza che, secondo la vulgata, diventa sempre più ingestibile. Dico “secondo la vulgata” perché nella mia lunghissima esperienza ho imparato che non sempre è così e che tante teorie sulla maleducazione dei giovani d’oggi, sulla violenza, sull’assenza di valori e sulla loro attitudine alla prevaricazione e al rifiuto delle regole, si poggiano un po’ su luoghi comuni e false credenze. Forse sono stata fortunata, forse parliamo di eccezioni, e non nego che a volte si verifichino episodi sui quali non si può soprassedere. E sono proprio quegli episodi che fanno la cronaca. Un po’ come la cattiva sanità. Sono quegli episodi che gettano ombra sulla buona scuola e su una popolazione di gente che a scuola ci viene nel rispetto delle regole e di chi la scuola la porta avanti, anche in condizioni di cattività.
Quando ho appreso del provvedimento sul voto in condotta, non nego che in un primo momento ho pensato “Ah, finalmente: la smetteranno quei bulli lì di irridere i più deboli, di fare gli strafottenti, di aggredire bidelli e professori. Finanche i presidi!”. Ma è stata solo una prima reazione. La questione è molto più complessa. Tanto per capirci, il voto di condotta diventerà molto influente nella valutazione. Comportamenti violenti o aggressivi nei confronti di docenti, studenti e personale scolastico peseranno maggiormente e potranno portare alla bocciatura, se il voto in condotta scende a cinque, o al debito scolastico in educazione civica nelle scuole superiori, se si raggiunge il sei. La riforma modifica anche il sistema di sospensioni. Per sospensioni fino a due giorni, lo studente sarà coinvolto in attività di riflessione e approfondimento. Per sospensioni più lunghe, verranno assegnate attività di cittadinanza solidale.
Non stento a comprendere che alla base di questa decisione ci sia il bisogno di prevenire fenomeni di irresponsabilità, di restituire autorevolezza ai docenti e di dare loro la possibilità di intervenire anche di fronte a casi di violenza. E non mi riesce difficile immaginare che non pochi professori avranno esultato nell’accogliere tale provvedimento. Non vi ravviso, però, un intento educativo. La scuola, in primis, ha il compito di educare al rispetto e al senso civico. Questo, però, non si fa né con la paura né con le minacce e non è certo l’inasprimento della pena che sviluppa buon senso e rispetto verso l’altro o meglio ancora, verso l’istituzione. Senza considerare che insistere in un atteggiamento punitivo annulla il lavoro svolto da tanti docenti in un percorso culturale avviato ormai da tempo attraverso il quale dall’autorità si vuole giungere all’autorevolezza e quindi al libero adempimento delle regole delle quali si educa a riconoscere il valore etico.
Una coscienza civile non si ottiene con provvedimenti irreversibilmente punitivi che invece condannano lo studente già deprivato alla mortalità scolastica o alla strada. Una coscienza civile si ottiene con la fiducia, con la stima, con il riconoscimento del valore dei singoli individui, con attività che facciano emergere le diverse intelligenze e con la piena consapevolezza che soltanto adempiendo il proprio dovere si potranno realizzare i presupposti di una pacifica e rispettosa convivenza. È l’educazione alla legalità e al rispetto, impostata con curricoli già in essere nella scuola, che previene comportamenti scorretti. Non è l’umiliazione, come qualcuno vorrebbe, né la bocciatura. E se davvero qualcuno pensa che i docenti saranno rivalutati e visti in una nuova prospettiva, forse dimentica che l’inasprimento del provvedimento creerebbe una spirale di ritorsioni e di vendette.
Nella scuola si cambia tutto per non cambiare niente. Per non spendere. Per non investire in progetti e laboratori. Perché costano. È una riforma a costo zero che non valorizza i docenti né restituisce dignità agli studenti. È una riforma che cancella le più elementari teorie pedagogiche: le sanzioni e le punizioni non hanno nessuna ricaduta positiva sul rafforzamento dell’autostima di ragazze e ragazzi. Chi agisce e conosce la scuola lo sa. Chi fa le leggi, a tutt’oggi, ancora lo ignora.