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26 Ottobre 2024È uscito recentemente il libro “Eugenio Miozzi. Venezia tra innovazione e tradizione 1931-1969”. Fornisce, per la prima volta, un’idea precisa dell’intera opera di questo valente, ma discusso, ingegnere che diresse a Venezia l’ufficio dei Lavori Pubblici del Comune dall’età fascista al primo dopoguerra. Negli anni trenta del novecento fu il progettista del Casinò del Lido, del restauro del Teatro La Fenice, dei due ponti sul Canal Grande dell’Accademia e degli Scalzi, del ponte translagunare della Libertà, del terminal di Piazzale Roma ( il cui progetto rimase parte incompleto per l’arrivo della seconda guerra mondiale) con il garage comunale e del relativo escavo del Rio Nuovo concepito come il collegamento acqueo veloce tra l’area di interscambio gomma-acqua di Piazzale Roma e l’area marciana. I moderni motoscafi del servizio pubblico lagunare, dove saliamo tutti giorni, di forma più ridotta rispetto ai vaporetti del Canal Grande, vennero progettati proprio per poter transitare nel Rio Nuovo come avveniva fino a qualche decennio fa, prima che la linea allora 2 (oggi 51/52) venisse deviata via canale della Scomenzera.
La creazione di questo grande sistema di collegamento translagunare, che portò per la prima volta il 25 aprile 1933 le macchine fino a Venezia, fu di fatto, sino alla realizzazione del Mose, l’ultimo grande cantiere veneziano e venne diretto interamente dall’ingegner Eugenio Miozzi.
Nel dopoguerra realizzò l’isola del Tronchetto, poi ingrandita con la successiva Isola Nuova, e continuò la sua intensa attività privata di ingegnere proponendo progetti, per quegli anni, “avvenieristici” quali la realizzazione dell’autostrada Venezia- Monaco di Baviera, l’ autostrada sublagunare, elaborata negli anni cinquanta in più varianti, che avrebbe collegato sotto la laguna, via gomma, il sistema di isole Vignole- Sant’Erasmo- Certosa – Lido direttamente alla terraferma e il Porto di Sant’Ilario da costruirsi in prossimità dell’impianto industriale di Marghera. Nei suoi ultimi anni di vita, Miozzi, che morì nel 1979 a 89 anni, venne fortemente colpito dalla grande acqua alta del 4 novembre 1966 che devastò la laguna e si dedicò poi incessantemente al tema della salvaguardia di Venezia dalle acque alte elaborando una miriade di articoli e scritti in materia.
Quello che colpisce della figura di questo professionista, sulla cui opera mi sono laureata in architettura a Venezia negli anni ottanta, è stato il dibattito che ha sempre provocato nel dopoguerra in laguna il suo nome. Fu la prima tesi di laurea svolta sulla sua intera opera e per riportare alla luce la figura di questo ingegnere capace mi sono più volte scontrata con numerosi pregiudizi, legati soprattutto all’ operato relativo agli anni del fascismo. Si tendeva allora a svalutarne a priori l’intera attività progettuale in quanto legata a un tempo da dimenticare. Ora, a più di quart’anni di distanza, si riesce finalmente a riconoscere con maggiore obbiettività le sue indubbie capacità tecniche e a cogliere il coraggio delle sue proposte.
Dai progetti della attività professionale privata, seguita al pensionamento dal Comune di Venezia per raggiunti limiti di età, emerge con chiarezza la sua lungimiranza nel prevedere il destino futuro della città. Miozzi, veneziano d’adozione, ma innamorato profondamente della realtà lagunare, la lesse sempre come un’entità urbana dinamica proiettata verso il futuro, non bloccata dal conservatorismo che ne aveva dettato spesso le scelte nei secoli, come ad esempio il “com’era e dov’era” della ricostruzione del campanile di San Marco e, in tempi recenti dopo l’incendio, del teatro La Fenice. Comprese quali sarebbero state le nuove direttrici di traffico e la metamorfosi urbana che sarebbe derivata dal definitivo ribaltamento del sistema degli accessi in città dopo la creazione del Ponte della Libertà. L’arrivare in laguna non più esclusivamente dal mare o con il treno, ma direttamente in modo rapido con l’auto propria sconvolgeva per sempre un equilibrio secolare. Miozzi intuì in anticipo le esigenze, criticità e future problematiche derivanti, che se irrisolte, sarebbero esplose puntualmente con il passare degli anni.
Quando leggiamo le cronache cittadine o ascoltiamo i numerosi dibattiti sui mali che affliggono oggi Venezia, quali gli ormai incontenibili flussi turistici e la monocultura imperante che ne deriva e svilisce l’identità stessa della città, i relativi problemi che si riflettono sulla residenzialità, il conseguente esodo forzato in terraferma dei suoi abitanti che causa il lento e inesorabile spopolamento del tessuto sociale cittadino, i costi elevati di manutenzione, le problematiche e la lentezza dei trasporti, specie per le isole della laguna, ormai inadeguati alla moderna tempistica e capienza, i problemi dei terminal, del parcheggio della massa di vetture provenienti dalla terraferma, del porto e aeroporto, le acque alte, da cui oggettivamente ci salva sempre più spesso il discusso Mose, non può non venire in mente la figura di Eugenio Miozzi.
Aveva compreso con chiarezza che bisognava considerare il bacino lagunare in un’ottica moderna di trasformazione territoriale e la realtà del dopoguerra, con la ripresa e conseguente aumento dei traffici, richiedeva ormai una netta revisione del sistema dei trasporti. Pur nel rispetto della sua unicità, bisognava rendere Venezia parte integrande del sistema delle comunicazioni internazionali, un anello di congiunzione tra la terraferma e il mare, non riducendola a solo terminal d’interscambio ferro-gomma-acqua.
Era necessario pensare alla città come un’entità urbana concepita su vasta scala, da porre al centro di un articolato sistema policentrico. La Venezia moderna, per ovvi limiti lagunari e per la presenza trainante di Porto Marghera, nel novecento si era espansa per necessità territoriale in terraferma. Lo avevano ben compreso nel 1926 con la costituzione della “Grande Venezia” e la creazione di un’unica realtà comunale che comprendesse i piccoli comuni “al di là dell’acqua” di cui c’è ancora una traccia nell’assetto delle odierne municipalità. I due ponti translagunari, prima della ferrovia poi l’automobilistico, avevano privilegiato per sempre il collegamento diretto alla gronda lagunare di San Giuliano. Miozzi capì chiaramente, fin dagli anni cinquanta, che si era innescato un processo di sviluppo irreversibile e con i suoi progetti delineò nuove potenzialità della città.
Quando nel dopoguerra aumentò in breve tempo l’afflusso delle autovetture sul ponte della Libertà, si pose il conseguente problema del collegamento veloce con le isole della laguna, che rimanevano, di fatto, tagliate fuori da questo nuovo sistema di transito. Non è pensabile ad esempio, ancora oggi nel 2024, a ogni inaugurazione o conclusione della Mostra del Cinema o fine settimana, vedere code chilometriche di vetture per ore attendere il ferry boat (spesso in avaria perché obsoleti) per partire da o per l’isola del Lido che di fatto oggi è divenuta non più un luogo esclusivo di villeggiatura, ma di residenza. La creazione, poi, di un secondo terminal veloce nell’area di Ca’ Bianca riappare episodicamente nel dibattito cittadino per restare lettera morta e intanto i tempi di collegamento si allungano sempre di più rendendo difficile la vita dei residenti del Lido che devono recarsi in terraferma. Il collegamento veloce terraferma-Lido, ai tempi nostri, è diventato ormai una necessità improrogabile alla quale sin dagli anni cinquanta Miozzi aveva risposto con il progetto della sublagunare.
Anche se tecnicamente, negli anni duemila, certe proposte di Miozzi appaiono datate quella della sublagunare spicca particolarmente, perchè evidenzia anche le potenzialità che avrebbero le isole di Vignole- Sant’Erasmo, che, se direttamente collegate al litorale del Cavallino, potrebbero essere delle ottime soluzioni residenziali per i veneziani contribuendo anche a rilanciare un settore un po’ abbandonato e debolmente collegato della laguna.
Sotto la denominazione di Metropolitana di Venezia (ma in realtà si trattava di una strada sublagunare per automezzi) negli anni cinquanta Miozzi elaborò varie varianti progettuali. Inizialmente il primo tracciato del 1953 iniziava dal Tronchetto costeggiava le Fondamente Nuove arrivava alle Vignole e San Erasmo e le collegava con il Cavallino, poi successivamente ne progettò anche una deviazione verso la Certosa e l’isola del Lido. Negli anni sessanta arrivò a proporre un’ulteriore variante aggiungendo un secondo tracciato nell’area della laguna sud, che dal Tronchetto passava dietro la Giudecca, toccando le isole di San Servolo e San Lazzaro sino a raggiungere l’altro capo del Lido all’altezza dell’area delle Quattro Fontane.

Sezione che evidenzia il tragitto che avrebbero percorso le macchine sotto il livello lagunare
La modernità delle proposte di Miozzi appare innegabile e non venne totalmente compresa al tempo in cui vennero avanzate, ma oggi più che mai, appare evidente come con chiarezza avesse focalizzato, già più di cinquant’anni fa, i futuri nodi fondamentali del problema dei trasporti non solo di Venezia, ma dell’intero Veneto.
Altro esempio che vale la pena di citare ai giorni nostri è l’infinita vicenda del completamento dell’autostrada Venezia-Monaco, ormai bloccata da anni in territorio veneto all’altezza di Pian di Vedoia, per i dinieghi del Trentino al prolungamento verso l’Austria. Tutti conosciamo bene la mole di traffico quotidiano che congestiona il valico autostradale del Brennero e anche se risulta in completamento la nuova galleria ferroviaria in collaborazione con le ferrovie austriache per snellire e accorciare la tratta ferroviaria, il problema del traffico su gomma appare di difficile risoluzione.
Miozzi aveva progettato, sempre negli anni cinquanta, un’autostrada diretta da Venezia a Monaco via Cortina-Dobbiaco capendo che bisognava potenziare la direttrice con la Germania, perché nel tempo il solo valico del Brennero sarebbe risultato insufficiente oltre che ai traffici commerciali anche al flusso turistico. Arrivò a progettare una autostrada che in alcuni tratti di montagna correva curiosamente a due corsie sovrapposte e, specie, in inverno quella sottostante non avrebbe avuto il problema dell’ingombro della neve. Prima di giungere a Venezia Miozzi aveva anche lavorato a lungo per l’Anas della Venezia Tridentina, realizzando numerosi ponti, strade e centrali elettriche ed era un profondo conoscitore dei problemi della progettazione in montagna.
Modellino prototipo dell’autostrada Venezia-Monaco in alcuni tratti a due corsie sovrapposteLa versatilità, l’ingegno, l’indiscussa abilità progettuale di tecnico uniti a un’inesauribile curiosità intellettuale e il profondo amore per Venezia di Eugenio Miozzi, attivo sino a tarda età, dopo decenni in cui è stato volutamente dimenticato e ignorato, finalmente ritornano alla luce mostrando l’incredibile attualità delle sue proposte.