Schlein – Bonaccini. Distanza siderale
20 Febbraio 2023INCHIESTA. Quale futuro per il PD. Risponde Federica Fratoni
22 Febbraio 2023Ci siamo. Il prossimo fine settimana si celebrano le primarie del Partito Democratico (da ora PD), che hanno conosciuto in queste settimane un’esposizione mediatica via via crescente, soprattutto a causa delle diversità dei profili personale e di visione dei due candidati emergenti, Schlein e Bonaccini.
Insieme a SoloRiformisti la nostra testata ha, a suo tempo, preferito concentrarsi sui temi generali che il PD dovrà affrontare e su cui dovrà riscrivere la sua agenda, se vorrà ancora darsi un ruolo centrale nella dialettica politica italiana. Abbiamo dunque lanciato l’iniziativa “INCHIESTA: Quale futuro per il PD) in cui abbiamo posto 5 domande (preparate dall’amico Mauro Grassi di SoloRiformisti) a persone del PD, iscritte a vario grado e militanti con ruoli diversi, alcuni nazionali e regionali, altri cittadini e comunali. Un campione abbastanza rappresentativo, dunque, per il tipo d’impegno, per classe d’età e anche per appartenenza geografica, essendo i contatti con gli interpellati stati presi dalle due testate nelle loro diverse aree di radicamento, veneziana e veneta per Luminosi Giorni, Toscana per SoloRiformisti.
I contenuti delle domande erano sganciati dalle figure dei due candidati emergenti, e considerati come qualificanti di un processo di ripartenza dopo una crisi elettorale annunciata e le cui cause sono dovute certamente a limiti interni, ma anche a condizioni sociali esterne.
Chi avesse avuto la pazienza e l’interesse di leggere tutte le puntate dell’inchiesta sulla nostra testata (e su SoloRIformisti) constaterà che le risposte disegnano una fisionomia di partito piuttosto condivisa, nonostante le differenze che sono emerse nel frattempo tra i due contendenti alle prossime primarie, e sono tutte accomunate, dall’esigenza, molto sentita, di un rilancio forte del PD e della necessità di nuove e durature connessioni con la società civile.
Venendo allo specifico delle diverse domande, la provenienza delle origini del PD, le due matrici principali cattolica l’una e comunista l’altra (prima domanda) non sembrano essere più un tema sul tavolo, comunque non costituiscono un fattore capace di influenzare le diverse strategie di partito. In effetti, ci pare di concordare che quelle matrici originarie sembrano oggi del tutto superate sia nella base del partito sia nei vertici e ancora più tra simpatizzanti e potenziali elettori. Quindi se anche un domani ci dovesse essere una scissione nel partito, è evidente che non lo sarebbe certo più secondo quella linea di faglia delle origini, essendosi le posizioni rimescolate.
Netto e ancora duro a morire – e in effetti, leggendo le cronache dei loro discorsi, ancora elemento unitario anche tra i contendenti alla segreteria – è il convincimento sulla vocazione maggioritaria del PD (seconda domanda), seppure vista non in contrapposizione a alleanze di campo più o meno largo. Prevale insomma ancora forte la volontà, quasi l’orgoglio, di un ruolo centrale e importante del partito. E non a caso le risposte alle nostre domande non sono di semplici elettori o simpatizzanti, che forse darebbero risposte meno ambiziose, ma di iscritti militanti, parlamentari, dirigenti che per comprensibile attitudine sono portati a dare rilievo e importanza al ruolo della lor formazione politica e a non rassegnarsi all’irrilevanza che i numeri in calo potrebbero presto prospettare. Da osservatori esterni, ci permettiamo di notare che la “vocazione maggioritaria” implica la capacità di esprimere una egemonia vasta proponendo ai cittadini una fisionomia omogenea. Mentre il PD oggi sembra oscillare tra la sua versione riformista e quella movimentista e massimalista della candidatura Schlein. Significativamente, nessuna delle risposte affronta questo tema, segno della difficoltà di cogliere questa criticità all’interno del Partito.
Anche sulle disuguaglianze e sul reddito di cittadinanza (terza domanda) non sembrano esserci nelle risposte rilevanti differenze e prevale la consapevolezza che i provvedimenti di paracaduti sociali ‘minimi’ sono ormai un dato che dovrebbe essere assunto strutturalmente da tutte le società aperte. E pur tuttavia, pur con sfumature e accenti diversi, tutte le risposte concordano che l’attuale reddito di cittadinanza vada riformato più o meno radicalmente eliminando le oggettive distorsioni della sua applicazione. Anche perché, seppure se ne riconosce una certa efficacia nei momenti di emergenza sociale come quelli attraversati in questi anni, se ne riscontra però il fallimento sul piano dell’introduzione dei soggetti deboli al mondo del lavoro. Sul fatto di ridare centralità alle politiche per il lavoro le differenze tra le risposte stanno nel diverso peso da dare a tali politiche, inversamente proporzionale agli accenti più o meno forti sull’importanza del reddito di cittadinanza.
Anche sui temi ambientali e sull’urgenza di politiche che avviino in modo deciso la transizione ecologica (quarta domanda) le risposte in fondo sono abbastanza unanimi, e non potrebbe essere diversamente visto che ormai questa urgenza ha fatto breccia nell’opinione pubblica generale. Semmai sfumature diverse emergono sulla necessità di rendere compatibile tutto il processo di riconversione ecologica con il lavoro e l’occupazione, un obiettivo, quello della compatibilità, su cui non solo il PD ma tutta la politica responsabile, che tenta di fare i conti col “possibile” oltre che con il “desiderato”, ha sempre trovato difficoltà.
Il Mercato come contesto in cui giocano e si rapportano diversi protagonisti è ormai accettato come scenario imprescindibile economico e sociale, e lo si vede da tutte le risposte (quinta domanda). Lo Stato, o il Pubblico più in generale, non sono concepiti più in alternativa al mercato, ma come elementi decisivi di regolazione e di indirizzo. Ne esce un “mercato temperato” dallo Stato che detta le regole e soprattutto ne controlla le finalità sociali. Del resto, questa conclusione la si trova tale e quale nell’articolo della nostra Costituzione e dovrebbe essere un principio accettato da tutti. Tuttavia, senza dubitare della sincerità di chi ha risposto, questo limpido e lineare principio è un’acquisizione faticosa e mai definitiva per molta sinistra italiana, tanto è vero che di tanto in tanto riemergono rigurgiti in senso opposto. Un banco di prova è proprio Venezia dove tutto l’arcipelago associativo e molte frange del PD stesso dimostrano spesso il riflesso pavloviano di vedere ogni iniziativa privata (con l’ovvio corollario anche del profitto), come antitetica all’utilità sociale e generale, in base all’antico e radicato sospetto che “privato” sia sinonimo di pulsione verso un utile sfrenato senza alcuna contropartita per il bene comune.
In definitiva, le risposte fanno emergere una visione abbastanza equilibrata tra l’ispirazione socialdemocratica e quella liberaldemocratica, quasi una fotocopia dello spirito costituzionale e molto vicina a quello del Lingotto dove nel 2007 fu fondato il PD. Dovrebbe in teoria far ben sperare nell’indirizzo di un PD rinnovato e capace di parlare a strati diversi di cittadinanza. Sappiamo invece che sotto la cenere e a volte anche alla luce del sole ci sono ancor oggi nel PD spinte ben diverse che estremizzano solo alcuni aspetti del dettato costituzionale e tradiscono una visione, se così si può chiamare, ancora ancorata a vecchi miti statalisti e collettivisti. Sta qui il vero problema del futuro del partito. Quanto pesa la componente massimalista e quanto potrebbe continuare a pesare anche in un PD in cui a larga maggioranza prevalgano le linee di pensiero emerse in tutte le risposte alle nostre domande? Perché ancora una volta, con spinte in due direzioni opposte, potrebbe prevalere l’immobilismo o l’ambiguità e soprattutto la scarsa riconoscibilità che hanno pesato non poco nei deludenti risultati elettorali emersi nelle ultime tornate. Leggere, a tal proposito, le perplessità espresse nell’articolo che abbiamo appena pubblicato https://www.luminosigiorni.it/2023/02/schlein-bonaccini-distanza-siderale/ .