COSTUME E MALCOSTUME Le magnifiche sorti e progressive
19 Febbraio 20235 domande e 5 risposte sul futuro del PD: quale partito ne esce?
21 Febbraio 2023Non è che sia il massimo del godimento, lo riconosco, ma vale la pena di dare un’occhiata alle “mozioni” con cui i due principali antagonisti al trono di Segretario del PD (Bonaccini e Schlein) si sono proposti ai loro elettori. Diciamo subito che le mozioni, per loro natura, non sono un programma elettorale ma sono più che altro atti di indirizzo con cui i candidati rappresentano agli elettori il profilo del Partito che essi intendono perseguire, la definizione di un quadro identitario in cui chiedono di riconoscersi.
In effetti, tutto quanto scrivono (o quasi tutto) potrebbe tranquillamente essere sottoscritto dalla stragrande maggioranza degli italiani, figurarsi dagli elettori (potenziali) di uno stesso partito. Quindi la lettera delle mozioni in sé non è un discrimine tra i due. Tuttavia, le due mozioni danno, lette in filigrana, un efficace e credo sincero ritratto dei due personaggi e quindi del PD come lo immaginano qualora fossero scelti.
La mozione Bonaccini è quasi un vero programma elettorale. Articolata per argomenti, propone per ciascuno misure precise, snocciolate in elenchi puntati e chiaramente improntati al pragmatismo di chi già amministra un territorio (pure importante, come la Regione Emilia Romagna). Molto orgoglio di partito, di cui rivendica la centralità e il senso nello scenario politico italiano, e una prospettiva chiara: stare all’opposizione, recuperare la fiducia degli elettori e giocarsela alle prossime elezioni per conquistare il diritto a governare il Paese nel 2027. Insomma, un appello a serrare i ranghi, a recuperare le forze sane del Partito, le strutture territoriali, i circoli, condito con l’invito a recuperare la vocazione maggioritaria e a (ri)assumersi la responsabilità di essere un partito guida per il Paese. Un po’ un ritorno al passato, ai tempi in cui il PD era centrale, non aveva altri competitori che i partiti di centro destra e non esistevano né i cinquestelle né tanto meno il Terzo Polo. Col quale l’impostazione della mozione mostra una certa affinità; vero che oggi nel PD è proibito anche solo nominare Renzi ma oggettivamente l’impronta e la postura di fondo mostrano una forza politica che potrebbe redigere un programma di coalizione col Terzo Polo domani. Alla seconda riga, tanto per dire, si trova la parola “riformista”.
Nella mozione Schlein le parole riformista e riformismo non compaiono mai. Compaiono, in compenso, in abbondanza “progressista”, “plurale” e “inclusivo”. La postura di Schlein è completamente diversa: non un semi-programma bensì una rappresentazione ideale e non legata specificamente al “come” ma al “cosa”. A cosa si vuole tendere più che alle misure concrete per arrivarci. La filosofia di fondo della mozione è che tutto si tiene: l’afflato verso una società più “eguale” in opposto a quella attuale che è tutta un fiorire di diseguaglianze: di status sociale, di diritti (di genere, di gender, territoriali, sociali, economici, generazionali e ambientali) che si sostanzia in un contrasto convinto e pervicace alle diseguaglianze. In un inesausto perseguimento della Giustizia che, programmaticamente, è una sola. Perché giustizia sociale e giustizia ambientale sono la stessa cosa. E quindi la parola chiave è “redistribuzione” arrivando ad adombrare la patrimoniale. I diritti civili e i diritti sociali sono, ancora, la stessa cosa. Enorme spazio al tema ambientale, vero punto fermo, che viene citato a volte francamente a sproposito, quasi un’ossessione. Arriva a plaudere all’intendimento UE di imporre la ristrutturazione delle case nel giro di pochi anni per alzarne la classificazione energetica (dimostrando una drammatica inconsapevolezza o, peggio, disinteresse, di cosa questo comporterebbe per gli italiani). Inevitabilmente, le ricette sono molto vaghe: si ripromette di aprirsi ai saperi, al terreno fertile di incontro del pensiero politico, accademico, scientifico, religioso e istituzionale, al contributo degli esterni al partito, dei delusi e/o dei mai coinvolti dalla politica. Insomma, un appello a una rigenerazione, quasi una palingenesi del partito ma financo della società stessa. Forse velleitario ma certamente sincero. E soprattutto, una necessità vitale a dirsi, a porsi e a sentirsi come di sinistra.
Bonaccini, nell’intervista al Corriere del 15 febbraio, alla domanda/provocazione “Elly Schlein dice che dovete fare la sinistra” risponde “Di una sinistra ideologica e minoritaria, che rassicura i propri ma che è distante dalla vita delle persone, io non so che farmene”. Una distanza siderale.
Siamo dunque di fronte a una circostanza mai verificatasi in precedenza nella storia del PD (e raramente negli altri partiti): i due contendenti hanno in mente un modello, una struttura di partito e, va da sé, anche una strategia molto diversi. Come possano dichiarare che, come di prassi, qualora dovesse prevalere l’altro lo sconfitto si acconcerà in buon ordine a “collaborare” col vincitore, Dio solo lo sa. La cosa è tanto più inverosimile se teniamo conto che il PD da quando è nato eccelle nello sport di cominciare a logorare il Segretario dal giorno dopo in cui è stato eletto (vedasi https://www.luminosigiorni.it/2017/12/il-fantasma-del-leader/ ) perché esiste un patto non scritto per cui la massima forma di leadership tollerata è quella di un amministratore delegato, che distribuisca deleghe tra i maggiorenti. Al massimo un primus inter pares, mai un “capo”. Ora, con leadership così diverse, anche antropologicamente, e con prospettive così lontane l’una dall’altra, chiunque vinca, è difficile pure immaginare una “spartizione” correntizia vecchio stile.
Si aprono dunque tre possibili scenari. In ordine decrescente di probabilità:
- Prevale la forza centripeta, le prospettive anche personali dei vari maggiorenti trattengono nel partitone tutti, a dispetto delle contrapposizioni. Un po’ il fenomeno per cui moltissimi renziani, anzi renzianissimi, non hanno all’epoca seguito il leader nell’avventura di Italia Viva preferendo il porto sicuro rispetto al salto nel buio. Quali sarebbero le conseguenze sull’identità, sulla compattezza e sull’indirizzo politico è tutto da scoprire. Possibile pensare che l’effetto di consunzione, da destra e da sinistra, degli altri partiti di opposizione (pur usciti malconci dalle Regionali di Lazio e Lombardia) si accentui.
- La frizione tra i due mondi non è sopportabile e la parte soccombente si stacca (ipotesi, a parer mio, più probabile se dovesse vincere Schlein). In tal caso il nuovo partito dovrà trovare una sua collocazione facendo i conti con le altre forze di opposizione.
- Non si verifica una separazione formale ma si verifica una diaspora di dirigenti del partito o verso i cinquestelle (se vince Bonaccini) o verso il Terzo Polo (se vince Schlein).
In ogni caso sarà interessante vedere quello che succede. E le reazioni degli elettori.