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23 Maggio 2022A Venezia esistono 443 ponti.
Esistono da qualche secolo, anche se il loro numero si è stabilizzato solo nel periodo Otto-Novecentesco con la nuova viabilità cittadina introdotta prima da Napoleone, poi dagli Austriaci e da ultimo durante gli anni ’30 del secolo scorso con la realizzazione del Rio Novo e con il riassetto della Riva degli Schiavoni e la realizzazione della Riva dell’Impero (oggi Riva 7 Martiri). Ultimo il Ponte di Calatrava.
I ponti sono uno degli elementi caratterizzanti l’assetto urbano della Città Storica.
Lo sono “da sempre” fin dai tempi in cui le strade cittadine venivano percorse anche a cavallo.
La sensibilità verso il problema dell’accessibilità diffusa, dell’abbattimento delle barriere architettoniche è un elemento di meritoria ma recente datazione.
Oggi costituisce una delle priorità e uno dei requisiti per le nuove costruzioni sia pubbliche che private con leggi e norme che ne regolano la rigida applicazione.
Il problema, pur con tutte le difficoltà del caso tipologico della conformazione urbana veneziana, deve esser affrontato anche nel nostro specifico contesto ma abbisogna di una cultura al pari della sensibilità che si vuole accogliere.
Il Comune di Venezia da parecchi anni in qua si è dotato all’interno del suo Assessorato ai Lavori Pubblici di un ufficio Eliminazione Barriere Architettoniche (E.B.A.) deputato ad affrontare in maniera efficace il problema.
Spesso ci è riuscito con grande sapienza e ottima qualità degli interventi come nel caso del Ponte Raspi o ponte Sansoni situato nel sestiere di San Polo che mette in collegamento Calle de Ca’ Raspi con il Campiello dei Sansoni, scavalcando il rio delle Beccarie. O al ponte di San Bonaventura sul rio di S. Alvise. In tutti e due i casi si è intervenuti egregiamente realizzando una rampa agevolata senza più i gradini.
Come al ponte Contarini sul rio de la Sensa, inserendo delle infrastrutture che agevolano lo scorrimento di ogni mezzo di trasporto cose. Molto più problematica nel caso specifico, a causa della pendenza, la movimentazione di carrozzelle per il trasporto dei disabili.
Anche in Strada Nova al ponte di San Felice con la realizzazione di una rampa laterale con i gradini ribassati e arrotondati.
Per non parlare del ponte della Paglia dove anche qui si è intervenuti con l’inserimento di livelli che permettono di rendere le rampe più facilmente aggredibili anche dalle carrozzine per disabili, non in autonomia bensì con l’aiuto di una persona a sospingere. Ma è sicuramente un’altra vita.
Ricordo che nel tempo in molti ponti si era ricorsi alle rampe motorizzate ad esclusivo uso delle persone disabili, ma qui l’esperimento è risultato fallimentare per ragioni tecnico-gestionali.
Ma indubbiamente non ci si è accontentati dello status quo e si è cercato e si continua a cercare di trovare soluzioni accettabili.
Non è il caso del ponte Moro che porta in Baia del Re, dove la passerella ha un impatto generale del tutto abnorme.
Quello che personalmente trovo davvero insostenibile è la provvisorietà e la precarietà di installazioni in tubi e passerelle metalliche che rispondono, è pur vero, alla richiesta di accessibilità diffusa, ma non osservano la minima norma di qualità e rispetto dell’ambiente architettonico nel quale sono inserite.
Nascono temporanee per soddisfare un’esigenza sportiva legata allo svolgimento con cadenza annuale della Venice Marathon, e già questo le contestualizza, ma poi nel tempo si trasformano in “quasi stabili”, seguendo l’iter del “precario-provvisorio-stabile-definitivo” che ha spesso caratterizzato da molti decenni alcune situazioni tipicamente veneziane (i banchetti souvenir dislocati ai Giardinetti Reali per fare un esempio).
E’ innegabile che le difficoltà sono oggettive e che i ponti non sono facilmente “addomesticabili” per le pendenze e spesso per l’assenza di ampi spazi perimetrali – non è così dappertutto – ma in ogni caso non è dato di dover accettare questa soluzione “provvisoria” e/o temporanea come fosse quella definitiva.
Quel “dinosauro sdraiato” che fa bella mostra di sé sopra il ponte delle Galeazze (foto di copertina), in buona compagnia di tutti i suoi fratelli minori lungo tutta la riva degli Schiavoni, in affaccio sul Bacino di San Marco (Canaletto si rivolta nella tomba), è l’emblema tipico di come al problema, che va risolto, si risponda in un modo del tutto improprio e francamente inaccettabile.
Non si capisce come le Autorità preposte alla Sovraintendenza Architettonica e Paesaggistica, prima ancora che a quella Artistica, possano avallare oltraggi “tecnologici” al cui confronto i vietatissimi infissi anodizzati sono delle opere d’arte.
Una Città che in un passato non troppo lontano si è permessa schizzinosamente di rifiutare i progetti di Wright o di Le Courbousier adesso invece accetta, senza nessuna particolare obiezione, interventi di questa qualità?
Che il problema sia di semplice soluzione non è nell’assunto e nemmeno nelle competenze di chi sta scrivendo.
Ma nello stesso tempo non ci si può accontentare di risolvere un tema serissimo e degno della massima attenzione e della più alta sensibilità umana – agevolare ogni tipo di trasporto, che sia privo di supporto propulsivo alla trazione, abbattendo fin dove possibile, tutte le barriere architettoniche potrebbe essere un obiettivo di livello Europeo – senza tener conto del contesto o facendolo passare in secondo piano, tutti presi da una reinterpretazione in chiave sociale del furore “marinettiano”.
Pare una fuga dalla responsabilità verso Venezia.
Sono sicuro che anche le diverse associazioni che si occupano del problema, come loro scopo istituzionale, non siano insensibili al tema e non possano bypassare le problematiche ambientali-paesaggistiche risolvendole (purchessia) in maniera precaria e provvisoria sul fronte delle strutture deputate.
Venezia patrimonio artistico e architettonico dell’umanità, sede di Università prestigiose – IUAV a suo tempo è stata fucina di studi architettonici di levatura mondiale con i suoi “maestri” Aymonino, Samonà, Scarpa – la Città che ospita alcune fra le più importanti Istituzioni culturali pubbliche e private della Contemporaneità mondiale, non può rinunciare ad affrontare il problema in maniera strategica, organica, intelligente ma soprattutto compatibile con la qualità urbana in cui è immersa.
Non spetta ai cittadini trovare le soluzioni ma spetta all’Amministrazione Pubblica farsi promotrice di un progetto culturale-ambientale che sappia sollecitare anche un auspicabile contributo a livello internazionale per trovare una o più soluzioni che riescano a definire un necessario equilibrio fra il rispetto ambientale e le esigenze di un’accessibilità diffusa nella Città Storica.