Fare opposizione, costruendo e non demolendo
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14 Gennaio 2016Qualcuno mi accuserà di sicuro di blasfemia: cosa c’entra, infatti San Gregorio Magno con il richiamo del muezzin? Peggio, il motto della Compagnia di Gesù con il grido di battaglia dei terroristi del Jihad? E qua già forse qualcosa si comincia a capire.
Nell’anniversario dell’attacco alla propria redazione parigina, la rivista Charlie Hebdo è uscita con una copertina che, per la violenza settaria subita, mette sul banco degli accusati le religioni monoteiste in quanto tali. Tesi da me pienamente condivisa, come i lettori già sanno. Risultato, scandalo generalizzato. Eppure si tratta di un’ovvietà.
Scrivendo ad maiorem Dei gloriam San Gregorio Magno subordina senza esitazione il piano umano a quello divino. Il primo è sottomesso al secondo al punto che ogni pensiero e gesto viene rivolto, costantemente, a compiacere i precetti divini. Di un Dio, ricordo, geloso e cioè esclusivo. Tra l’altro per nulla incline a fare sconti.
La spietatezza divina è palese e dichiarata di continuo nell’Antico Testamento, ma, a sorpresa, non varia molto con l’avvento di Gesù Cristo. Basta sfogliare l’Apocalisse. Al di là della sequenza davvero infernale che ci aspetta alla fine dei giorni, stupisce l’insistenza con cui si parla di un’esigua minoranza di salvati. La vita eterna promessa, è la conclusione, è riservata a un manipolo di eletti. È tanto vero che Calvino, l’ultimo e più tragico degli uomini della Riforma, ne concluderà che per accedervi è necessario esservi predestinati dall’inizio. Nessuna via resta aperta alle possibilità dell’uomo.
Ad maiorem Dei gloriam diventa il motto della Compagnia di Gesù. Non per niente fondata da un soldato, il basco Ignazio Lopez da Loyola, e strutturata come un vero e proprio corpo militare. Al servizio della Vergine Maria, d’accordo, ma resta il fatto che quando Francesco Saverio ne diffonde l’attività nelle isole del Sol Levante incontra subito accoglienza favorevole. Disciplina, organizzazione e metodi operativi della Compagnia, infatti, si sposano straordinariamente bene con la cultura samurai del Bushido. Non è l’ultima delle ragioni per cui il cattolicesimo incontrerà una discreta fortuna in Giappone.
E il Jiahd dei martiri di Allah? Prima o poi si conquisterà la giusta attenzione l’idea che l’Islam è solo la terza e, per il momento ultima, rivelazione di una serie iniziata con Mosè sul monte Sinai. La matrice delle tre maggiori religioni monoteiste, dunque, è la stessa: cristianesimo e islam sono figli dell’ebraismo. Il concetto della sottomissione senza se e senza ma all’autorità divina viene da qui. Adamo ed Eva sono puniti per avere disobbedito non per aver compiuto qualcosa di male. Cosa dire poi del sacrificio di Isacco chiesto al padre Abramo? Dallo stesso albero deriva la concezione di salvezza destinata in fondo a pochi. Gli eletti capaci di accettare anche il martirio così come Dio vuole. Ad maiorem Dei gloriam, appunto.
Guardiamo un calendario: non è forse pieno di martiri? Non sono stati celebrati per secoli in virtù della loro fede incrollabile, capace di affrontare senza alcuna paura la morte?
Sul piano motivazionale, dunque, non esiste alcuna vera differenza tra gli uni e gli altri. Entrambi si muovono su un piano metafisico che se ne infischia della Storia e quindi dell’Uomo inteso come umanità. Questa riguarda, a ben vedere, solo chi ragioni in termini di qui e adesso. Perché questi sono il luogo e il tempo dell’unica salvezza possibile: quella dell’uomo sulla Terra. Se ci spostiamo nell’Etere celeste e nell’Eternità è chiaro che il transito terreno diventa irrilevante. Anche le vite di quanti vi si trovano. Siano pure credenti. Figurarsi le esistenze di chi non appartiene al gruppo!
Ipazia venne scarnificata viva da un’orda di fanatici ad Alessandria. In nome di Cristo. Templi pagani e sinagoghe ebraiche vennero arsi, rasi al suolo, trasformati in chiese a dispetto degli sforzi delle autorità civili di porre un freno alle violenze ingiustificate e incomprensibili.
Riflettiamo: violenze ingiustificate e incomprensibili. Quando i martiri di Allah si fanno esplodere o sparano all’impazzata, fanno saltare in aria monumenti e chiese, persino le moschee di osservanza diversa dalla propria, in tutti questi casi non fanno altro che ripetere, aggiornate appena le modalità, la via che ha portato al successo il cristianesimo contro la civiltà pagana classica.
Non dovremo, dunque, meravigliarci. Neppure ci dovrebbe stupire la relativa facilità con cui si reclutano aspiranti suicidi: la nostra sorpresa è la stessa di Porfirio, Giuliano imperatore, Giamblico, Proclo e di tanti con loro di fronte al fanatismo contro il quale, inutilmente, combattevano. In fondo, pensiamoci bene, sono convinti di guadagnarsi l’eternità. Follia?
“A chi gli chiedeva come allontanare la moglie dal Cristianesimo, Apollo rispose con questo oracolo: ti sarebbe forse più facile scrivere sull’acqua tracciandovi delle lettere oppure volare per l’aria come un uccello, spiegando ali leggere, che riportare alla ragione tua moglie corrotta dall’empietà. Lasciala perseverare come vuole nei suoi folli errori e celebrare con i suoi lamenti un Dio morto che giudici equi hanno condannato e che la peggiore delle morti, quella legata al ferro, ha ucciso nel fiore degli anni.” (Agostino, Città di Dio, XIX, 23, p. 393, 11-7 II)
Se il Jiahd trionferà, domani avremo feste dedicate alle imprese dei martiri-suicidi, così come è già accaduto in passato. Poiché la Storia insegna, però, vediamo di mettere da parte la nostra meraviglia, accettiamo il fatto che il fanatismo religioso riesce sempre a trovare soggetti adatti al martirio e… stavolta vediamo di non farli vincere. Abbiamo già dato.