
Scontro di civiltà, lettura forzata e semplicistica delle guerre in corso (e trascorse)
6 Dicembre 2023
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6 Dicembre 2023“Il senso della cosa in fondo sta tutta lì, nell’aspetto ancora passabile che ha.
Nell’andarsene così, prima dell’orrore. Nessuno parla, nessuno sa cosa dire.
Marco fa un cenno d’intesa. Ha pensato e ripensato a come comportarsi in
questi ultimi momenti a cosa fare e a cosa dire. Niente musica, niente discorso
di commiato, per carità, niente solennità, niente commozione, niente
autocommiserazione. Solo un abbraccio con chi avrà voglia proprio come
quando si parte. Vorrei però dirvi due parole da medico perché vi rendiate
conto che ciò che sto per fare lo faccio io e io solo in tutta autonomia e in piena
lucidità mentale. Quando gli anestetici avranno fatto effetto Rodrigo mi userà
la cortesia di attivare quest’altro rubinetto quello blu che farà entrare nella mia
vena il potassio concentrato e nel giro di pochi minuti sarà tutto finito. In
pratica mi vedrete addormentarmi. Voglio provare la dolcezza che mi farà
scivolare via.. Ecco è tempo, non resta che procedere. Tutto si allontana. Tutto
sempre più lontano. Tutto lontanissimo. Una pace fluttuante, subacquea. Ecco
Marco è addormentato. La sua testa si rovescia di lato, Miraijin la sostiene con
la mano, la protegge.”
Ecco è il protagonista del romanzo Il colibrì di Veronese, che, stremato da una
malattia considerata incurabile, sceglie di porre fine alla sua vita prima di
affrontare il peso delle sofferenze, convoca tutte le persone significative della
sua vita e si congeda attraverso un gesto “estremo” qual è l’eutanasia.
Tutta la questione legata al fine vita, lungo e doloroso dibattito sul piano etico,
giuridico, politico su cui si dibatte da decenni, è tornato d’attualità a proposito
della questione della bambina inglese Indi a cui lo stato italiano aveva
concesso la cittadinanza per sottoporla a cure che invece lo stato inglese per
mano dei suoi giudici voleva negarle. Certamente difficile immaginare che in
Italia una patologia del genere, irreversibile, potesse essere curata meglio di
quanto si riuscisse a fare in Inghilterra. Le condizioni della bambina erano tali
da non lasciare spazio a speranza, non consentivano di prefigurare possibilità
di recupero e mantenerla in vita si configurava come un accanimento
terapeutico nonostante la diagnosi e la prognosi fossero chiare.
Pur tuttavia la questione che mi ha sconcertato è stata la decisione dei giudici
di staccare la spina violando e scavalcando la volontà dei genitori, imponendo
l’eutanasia per porre fine alle sofferenze ed emettendo sentenza di morte della
bambina contro la decisione dei genitori. Forse la loro posizione era egoistica,
forse era dettata dal bisogno di restare legati ad un simulacro di figlia ma
ritengo che quest’imposizione dall’alto sulla base di una sentenza di morte da
parte dei giudici, prescindendo dalle scelte individuali mi sa di omicidio di
stato e ritengo quindi che porre fine ad una vita debba essere frutto di una
scelta consapevole, di una decisione dell’individuo o di chi per lui nel caso fosse
minore o che si trovasse in una condizione incapace di intendere e volere, tipo
in coma irreversibile.
Il punto di partenza del mio discorso, l’assunto di fondo è che lo stato
dovrebbe essere preposto alla tutela del diritto fondamentale quello della vita,
la sua funzione è la tutela della vita dei suoi cittadini. E così come abbiamo
eliminato la pena di morte non possiamo considerare l’imposizione, l’obbligo
dell’eutanasia di stato che rievoca scenari inquietanti. L’omicidio di stato
imposto dall’alto, credo sia inaccettabile. Che uno stato decida e scelga per me
se continuare a vivere o impormi la morte a prescindere dalla mia volontà
magari solo perché le mie condizioni comportano costi per lo stato fa orrore
perché potrebbe avere anche usi e fruizioni non sempre lecite e legittime..
L’eutanasia come tutte la altre forme legate al fine vita deve essere una libera
scelta del singolo, una consapevole decisione dell’individuo che sceglie di
sottrarsi ad una non-vita o un simulacro di vita o ad una vita non dignitosa
perché segnata dal dolore, dalla sofferenza o dalla dipendenza da macchinari e
si prefigura come frutto di una sorta di accanimento terapeutico.
Certo in Italia succede spesso il contrario, cioè che lo stato nega a chi ne fa la
richiesta la possibilità di porvi fine. Lo stato si appropria della vita e del corpo
del malato, negando la possibilità di porvi fine e imponendo la sofferenza E’
negata la libertà di scelta anche dinanzi all’evidenza di vite allo stato
vegetativo di cui abbiamo avuto noti esempi. Inoltre costringe il malato che
sceglie di chiudere con l’esistenza perché ritenuta insopportabile ad andare
fuori dall’Italia dove ciò è consentito. Un po’ come è stato a lungo per l’aborto.
Le scelte di fine vita sono decisioni importanti e personali e, in quanto tali,
devono essere portate avanti dalla persona, in autonomia e per se stessa, con
la massima libertà.
Il termine eutanasia deriva dal greco eu thanathos e significa letteralmente
buona morte. E’ l’atto di provocare intenzionalmente e nell’interesse della
persona, la morte di un individuo che ne faccia espressa richiesta.
Ma proviamo a districarci nei meandri della legislazione legata al fine vita.
Oggi in Italia esiste la Dat, acronimo per le disposizioni anticipate di
trattamento, biotestamento o testamento biologico che consente ad ogni
persona maggiorenne, mentalmente capace e in grado di intendere e volere, di
esprimere il proprio consenso o rifiuto riguardo ad accertamenti diagnostici,
scelte terapeutiche e trattamenti sanitari specifici, in previsione di un possibile
futuro in cui non sarà in grado di comunicare la propria volontà o incapacità di
autodeterminarsi e di esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia
di trattamenti sanitari. Inoltre un paziente a cui è stato diagnosticato un esito
infausto deve essere correttamente informato e può concordare con il proprio
medico le cure a cui sottoporsi e attuare una pianificazione condivisa delle cure
In Italia manca, però, ancora una legge che preveda la possibilità di aiuto
medico alla morte volontaria per le persone che non dipendono da  trattamenti
di sostegno vitale .
L’eutanasia è illegale in Italia. Per eutanasia attiva si intende la
“somministrazione di una sostanza al paziente da parte di personale sanitario
competente” con l’obiettivo di accelerare la morte del paziente. Invece
l’eutanasia passiva, a differenza di quella attiva, prevede solo la sospensione
delle cure o lo spegnimento dei macchinari che tengono in vita la persona. Il
suicidio assistito, quindi costituisce un diritto inviolabile in base alla sentenza
242/2019 della Corte costituzionale e alla legge 219/2017. Il suicidio
medicalmente assistito è “la prescrizione o la dotazione da parte di personale
sanitario di una sostanza al paziente, in modo che questo possa
somministrarsela in autonomia, per causare la propria morte”.
Autosomministrandosi dosi letali di farmaci il soggetto viene assistito da un
medico, in luoghi protetti, dove terze persone si occupano di assistere il
soggetto in tutti gli aspetti correlati all’evento della morte, come il ricovero, la
preparazione delle sostanze e le procedure tecniche e legali post mortem.
Infatti in Italia, la Costituzione riconosce che nessuno può essere obbligato ad
alcun trattamento sanitario contro la propria volontà e prevede altresì che la
libertà personale è inviolabile. Il diritto al suicidio assistito, però, può
essere esercitato soltanto quando il paziente si trovi in una situazione di
sofferenza che il medesimo percepisce come inaccettabile e che non possa
quindi essere mitigata in altro modo e, inoltre, solo se si trova in alcune
condizioni: deve essere nella piena capacità di autodeterminarsi, deve avere
una patologia irreversibile che produce una sofferenza che egli reputa
insopportabile ed essere dipendente da trattamenti di sostegno vitale. Tutte
queste condizioni devono essere verificate dal Servizio Sanitario Nazionale. 
Al diritto di rifiutare o interrompere le cure corrisponde poi l’obbligo da parte
dell’amministrazione sanitaria di attivarsi e di attrezzarsi affinché tale diritto
possa essere esercitato.
Altra opzione è la sedazione palliativa, l’atto intenzionale di ridurre la
vigilanza mediante l’uso di farmaci, fino a provocare la perdita di coscienza, al
fine di diminuire o eliminare la percezione di un sintomo che risulta
insopportabile per il paziente.
I medici, ovviamente, devono conciliare due etiche quella professionale che
impone di tutelare la vita e quella della pietas umana di garantire la morte
laddove in condizioni di sofferenza questa venga richiesta. Per la Corte
Costituzionale non è punibile chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio,
autonomamente e liberamente deciso di un paziente tenuto in vita da
trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di
sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili.
Comunque sia, credo che una legge che tuteli il diritto di scelta su come e
quando porre fine alla propria esistenza quando questa la si sente
insopportabile, sia sempre più urgente perché come si ha il diritto di vivere una
vita degna, si debba avere il diritto di morire in maniera degna.
Non possiamo, quindi, che attendere con ansia una legge che regolamenti
l’eutanasia come libera scelta di chi sceglie di morire perchè non ha altra
scelta se non di perpetuare sofferenze ben più atroci!
Tante, quindi, sono le questioni etiche. A chi spettano le decisioni sulle cure? E
soprattutto a chi spetta la decisione di cessare le cure e di avviare le procedure
per porvi fine? Quando e chi decide? Il limite credo che sia dato dal rispetto
della volontà del paziente: la persona che si trova al termine della sua vita
deve essere soggetto attivo relativamente alle scelte che riguardano la sua vita
e la sua morte, può rifiutare cure o sostegni tecnologici alla vita che spesso
sono forme di mortificazione incompatibili con la dignità del vivere. Pertanto si
impone il rispetto dell’autodeterminazione degli individui a cui si deve attribuire
un ruolo decisivo nella decisione. Parlare della “buona morte” significa che essa
sia conforme alla vita vissuta e alla volontà ineludibile del soggetto e
riconoscere la centralità del soggetto nella decisione ultima è fondamentale,
assegnando al malato un ruolo di “protagonista delle cure” poiché va
considerato l’unico legittimo giudice della sua sofferenza e della qualità della
sua vita. E’ quindi necessario ricevere il trattamento o la fine dei trattamenti in
modo conforme alla sua volontà a tutela del suo «diritto alla vita, alla salute,
alla dignità e all’autodeterminazione della persona».
Solo io posso essere artefice della mia vita e quindi devo esserlo anche della
mia morte.
Quindi che venga emanata una sentenza di morte da un tribunale e che
l’eutanasia venga imposta dall’alto, dai giudici, cioè dallo stato, prescindendo
dalla volontà delle parti in causa, i genitori nel caso della neonata, direi che è
decisamente inquietante per le conseguenze e implicazioni che potrebbe avere.
Allo stato, pertanto, non spetta certo nè di imporre la morte e l’eutanasia se non voluta, nè tanto meno di impedirla, se viene richiesta.



 
							