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28 Gennaio 2025Nel mondo sono tanti i disastri che ci accompagnano: guerre, massacri, migrazioni forzate, incendi e alluvioni, devastazioni… e in tutto questo chi si preoccupa per gli animali coinvolti, o semplicemente di animali, passa facilmente per uno sprovveduto (nel migliore dei casi) o magari per uno che preferisce guardare al piccolo piuttosto che rivolgersi al grande, dove cioè ci sarebbe più bisogno di interesse e coinvolgimento.
Ma – a parte il fatto che chi si occupa di animali non è detto che non si occupi anche di qualunque altro dei problemi del nostro tempo – si rivendicherà qui il fatto che occuparsi di animali riguarda di per sé occuparsi anche di tutti i grandi temi che ci angosciano oggi.
Quando non riesco più ad ascoltare un giornale radio – perché quotidianamente ci aggiorna sul numero di morti causati dall’ennesimo bombardamento da parte dell’esercito israeliano su Gaza, e su quello dei neonati lì morti per il freddo -, o quando penso agli ostaggi israeliani segregati da quindici mesi e all’angoscia di chi li aspetta, e dopo l’annuncio della tregua “non sa se prepararsi per una festa o per un funerale”[1], e via dicendo, mi domando qual è il senso di tutto questo; ed ecco che il senso di impotenza che mi fa cadere le braccia mi causa anche una domanda: “Che cosa sto diventando, che cosa stiamo diventando, noi “umani”? Noi che assistiamo inermi, da spettatori, a un tale scempio? Con tutto che fuori le cose continuano quasi come se niente fosse, e in un sussulto di consapevolezza magari ci rendiamo conto con amarezza che tutto questo ci sta diventando “normale”.
È vero, in questi giorni sembra che ci sarà la tregua a Gaza: speriamolo, e vedremo come andrà; ma questo – temo – non toglierà che, più o meno insensibilmente, saremo nel frattempo diventati più acquiescenti, più passivi, più pronti ad accettare le prossime stragi?
Ma anche sapere (e chi non sa?) che cosa sta succedendo ora negli allevamenti intensivi e nei mattatoi nella totale impunità – perché nessun animale potrà mai denunciare come è stato trattato! -, sapere le condizioni atroci in cui sono costretti a vivere e a morire tutti questi animali – anche se non ne parla nessuno e nessuno denuncia, o quasi[2], così che anche questo soffrire e morire quotidiano ci appare normale – anche questo pensiero mi causa la stessa domanda e cioè: “Che cosa stiamo diventando, o siamo ormai diventati, noi che ci vediamo come esseri “umani”, avendo associato al termine “umano” idee di consapevolezza, ragione, compassione, solidarietà, ecc.?”.
Di solito, le immagini di come sono allevati[3] gli animali non ci vengono mostrate direttamente, ma solo “illegalmente”[4], dato che i proprietari degli allevamenti intensivi rifiutano le telecamere del servizio pubblico impedendo così ai cittadini/consumatori di esserne informati: ma chi vuole veramente esserne informato e diventarne un cittadino /consumatore consapevole?
Voglio dire, in definitiva, che assistere alle sofferenze perpetrate dai nostri simili su chi alla sofferenza non si può sottrarre, ci fa o ci dovrebbe far provare disagio, frustrazione, rabbia… farci sentire perfino complici, e farci vergognare di appartenere alla stessa “umanità”: è davvero tanto diverso, che a soffrire sia un essere umano, o un animale, anch’egli perfettamente senziente e capace di provare dolore?
Infine, la “storica intervista” a Pier Paolo Pasolini svoltasi sabato 1° novembre 1975 – il giorno prima che venisse assassinato – è riportata oggi, 15 gennaio, dal quotidiano La Stampa, dove due pagine sono dedicate all’autore di quell’intervista, Furio Colombo – giornalista, scrittore, e molto altro – morto proprio ieri.
Pasolini, stimolato dalle domande del giornalista, si concentra sulla responsabilità personale (e quindi morale e politica), di cui ciascuno di noi dovrebbe farsi carico, a fronte delle ingerenze e dei pesanti condizionamenti del “sistema”, o – come dice lui – del potere. A un certo punto, Pasolini rivolgendosi a Furio Colombo, ma io credo anche a noi, dice:
“Pretendo che tu ti guardi intorno e ti accorga della tragedia che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono una contro l’altra”.
Qual è, qui, il concetto di “essere umano” che Pasolini sottintende? Si tratta certo di un individuo consapevole della “situazione” in cui vive – istituzioni, culture e valori dominanti, condizionamenti, poteri… – , capace quindi di scegliere consapevolmente da che parte stare, quali sono i suoi valori, quali quelli da combattere, consapevole anche delle conseguenze che le sue scelte comporteranno.
Allora, su Gaza e sugli altri disastri, come sulle disastrose condizioni degli animali, si tratta di porsi le stesse domande cui rispondere da “esseri umani”, o da “strane macchine” inconsapevoli.
L’uomo giusto è colui che quando trova un verme che si è smarrito dopo un temporale e si sta seccando sull’asfalto, lo rimette nell’erba senza chiedersi di quanta intelligenza sia dotato. Lo salva perché è vivo, e la vita è sacra. Albert Schweitzer
Nota: l’articolo è stato scritto alla vigilia dell’accordo firmato tra lo Stato ebraico e Hamas, entrato in vigore il 19 gennaio di quest’anno; non tiene quindi conto degli sviluppi delle situazioni e delle vicende ad esso collegate.
[1]Dichiarazione rilasciata da un abitante di Tel Aviv a una giornalista RAI, oggi 15 gennaio.
[2]Restano fuori dal generale silenzio acquiescente, ovviamente, le associazioni animaliste, e qualche rara, coraggiosa e osteggiata trasmisssione TV come Report o Indovina chi viene a cena, e un paio di film come Dominion o Food for profit.
[3]È curioso che si usi il termine “allevare” sia per un bambino, cresciuto con tutte le cure dovute al suo benessere, sia per un animale cui nessuna cura viene dedicata al suo benessere.
[4]Per mezzo di troupe che filmano di nascosto quanto avviene.