REPRESSIONE VS WELFARE SOCIALE, IL FALSO DILEMMA
29 Settembre 2024CONO DI LUCE Un angelo in garage con David Almond.
30 Settembre 2024Oggi succede molto meno, però succede, che a chi non prende piatti di carne venga chiesto: “Ma come mai non mangi la carne?!”. Le risposte a questa domanda di solito spaziano da motivi etici (“Sono contro la sofferenza degli animali”), a quelli ecologici (“L’impatto degli allevamenti intensivi su larga scala e l’industria della carne inquinano, emettono troppa CO2, tolgono spazi enormi alle foreste e alle coltivazioni per il consumo umano, contribuiscono al riscaldamento globale”), o a quelli per la salvaguardia della salute (“Molti tipi di carne, tra cui le carni rosse, i derivati e gli insaccati sono considerati dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità, se mangiati spesso, come possibili cause di diverse patologie, anche cancerogene; per cui un’alimentazione vegetariana o vegana risulta più salutare”).
Ma a volte verrebbe voglia di rispondere con un’altra domanda: “E tu perché la mangi, la carne?!” Quando ci ho provato, io ho avuto risposte piuttosto elusive e, come vedremo, in linea con la dissonanza cognitiva che fa capo al cosiddetto “paradosso della carne”, che consiste nel mangiare la carne e nel contempo amare gli animali da cui quella carne proviene.
In questa direzione va il denso articolo pubblicato su “il POST” esattamente un anno fa, ma sempre attuale[1].
Nell’articolo si citano studi tesi a sondare una annosa questione: se amiamo gli animali, perché li mangiamo? L’espressione “paradosso della carne” – apparsa nel 2010 sulla rivista Appetite[2] – indica, come scrissero gli psicologi australiani Steve Loughnan, Nick Haslam e Brock Bastian – “un conflitto psicologico tra il gusto alimentare delle persone per la carne e la loro risposta morale alla sofferenza degli animali”. In altre parole, “da un lato proviamo empatia verso gli animali, ma dall’altro (…)” siamo strutturati per “dare priorità ai cibi ad alto contenuto calorico (…)”. “E per molta parte della storia umana questo ha significato mangiare carne”.
Ma oggi, dato che sono numerosi i cibi ad alto contenuto calorico e proteico che sostituiscono egregiamente la carne, ed essendo di molto aumentata la sensibilità verso le sofferenze degli animali, perché il consumo di carne non solo continua, ma sta aumentando?
Peter Singer è stato autore nel 1975 del fondamentale saggio Liberazione animale (ora in libreria come Nuova liberazione animale, Il Saggiatore). Commentando l’aumento della macellazione di animali non solo nei Paesi una volta “poveri” che stanno crescendo sia in popolazione che in ricchezza, ma anche in Paesi ad alto reddito come gli Stati Uniti, Singer conferma il suo disorientamento: “Non avrei mai potuto prevedere che lo stile vegano e quello carnivoro potessero crescere di pari passo nella stessa società”.[3]
Per cui torniamo al “paradosso della carne”. Uno studio del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Oslo, 2016, appurò che effettivamente molte persone amano gli animali, si dimostrano consapevoli delle sofferenze cui la moderna industria li sottopone, ma allo stesso tempo amano mangiare carne. Lo studio definisce questo atteggiamento “dissonanza cognitiva”, provocata dall’insieme di processi psicologici inconsci e pratiche culturali e alimentari tradizionali[4].
Su tale dissociazione agiscono diversi fattori: uno è il modo in cui la carne viene presentata (se conserva o meno la testa o le sembianze dell’animale), un altro è costituito dalle parole con cui si definisce: “manzo” invece di “mucca”, “produzione” invece di “macellazione”, e via dicendo[5].
Altri argomenti favoriscono l’indebolimento – fino all’annullamento – della relazione tra la carne che mangiamo e l’animale che la produce: il senso comune, che attribuisce alla carne proprietà nutritive esclusive che non ha (più), la sensazione (tipica di chi è più avanti con l’età) di poter disporre di un “bene” fino a qualche decennio fa riservato ai più abbienti, ed altri che sarebbe lungo elencare, tra cui la pubblicità, che idealizza la vita all’aria aperta di un animale che probabilmente vedrà l’aria aperta solo il giorno in cui sarà condotto al macello. A tal proposito, non sarà un caso che i mattatoi sorgano generalmente fuori citttà, i cui muri spessi attutiscono le urla degli animali macellati.[6]
Lo studio dell’Università di Oslo ha testato anche un altro modo, il più comodo, di “risolvere” il conflitto psicologico di cui stiamo parlando: negare che gli animali abbiano dei diritti, o addirittura che possano provare sofferenze. In questo soccorre la buona compagnia di René Descartes, italianizzato Cartesio, (1596-1650), che sostenne con argomenti razionali che gli animali semplicemente non soffrono, dato che sono praticamente dei corpi meccanici, e questo perché non sono dotati di pensiero.
Ho lasciato per ultimo un risultato abbastanza sorprendente, ricavato dai lavori degli psicologi australiani S. Loughnan, N. Haslam e B. Bastian: in base agli esperimenti da loro condotti l’evidenza dimostrò che non è vero che una maggiore preoccupazione morale per gli animali porterebbe a ridurre il mangiare carne, come si credeva; al contrario, mangiare carne di animali porta a una minore preoccupazione morale.
Su quest’ultima considerazione mi fermo qui.
L’argomento è vastissimo e non ho alcuna pretesa di averlo trattato in maniera esauriente: per questo, in un prossimo articolo, mi riservo di parlare delle tante proposte oggi in campo per cercare di superare la dissonanza cognitiva che riporta al grande “paradosso della carne”.
Nel frattempo, mi sarebbe molto gradito avere dei riscontri sul problema da parte di chi è arrivato a leggere fin qui, aprendo a una discussione che credo si rivelerebbe interessante e stimolante. Grazie.
[1] https://www.ilpost.it/2023/09/22/paradosso-carne
[2]Appetite, agosto 2010. Tutti i rimandi citati in nota hanno il rispettivo link nell’art. qui sopra de il POST.
[3]Sulla rivista The Atlantic, 24 maggio 2023.
[4] Appetite, ottobre 2016. Sono in questo senso interessanti i casi di bambini che si mettono a piangere quando, pur con le dovute cautele, viene loro fatto notare che la fetta di prosciutto presente nel loro piatto proviene dal roseo maialino che i cartoni animati mostrano scorazzare felice nei campi in fiore, ridere, interagire con altri animali, cantare allegre canzoni.
[5] Da notare, a proposito che l’italiano conserva l’ambiguità del termine: “carne” indica sia la nostra, sia quella dell’animale che mangiamo; altre lingue distinguono nettamente: in francese la nostra è chair, quella che si mangia viande; in inglese la nostra è flesh, quella che si mangia meat, ecc.
[6] Paul Mc Carthy ebbe a dichiarare una volta che se i mattatoi avessero le pareti di vetro, nessuno più mangerebbe carne. Dichiarazione forse ottimista, ma non sarà un caso se – nonostante numerose firme e richieste – ancora non si è arrivati a una normativa che sottoponga queste fabbriche di morte all’uso di telecamere, il cui scopo sarebbe quello di controllare che le norme di macellazione atte a ridurre le sofferenze degli animali siano effettivamente applicate; purtroppo, le incursioni notturne di attivisti per i diritti degli animali nei vari mattatoi dimostrano il contrario.