
Questioni di merito
10 Febbraio 2023
Quando l’Italia pensa in grande. Un caso di successo
13 Febbraio 2023A leggere i resoconti giornalistici gli operatori del turismo stanno stappando bottiglie di champagne, quelli più vicini a Zaia bottiglie di prosecco.
AVA (l’Associazione Veneziana Albergatori) che non li rappresenta tutti ma è di sicuro la più presente nelle prese di posizione pubbliche parla di un sold out carnevalesco.

Gli operatori che a diverso titolo gestiscono le locazioni turistiche (LT) invece tacciono, per carità di patria o per vergogna – loro sostengono che sono i benefattori della città e che senza di loro più di 8Mila alloggi resterebbero vuoti e inoccupati da un’utenza residenziale – ma per la legge dei grandi numeri, che difficilmente trova smentita se applicata con un minimo di granu salis si deve pensare che anche i più di 40Mila posti letto delle “strutture supplementari” (così sono definite nell’Annuario del Turismo edito a cura del Comune di Venezia) siano “al bollo”.
Dei rimanenti più di 20Mila posti letto (tra alberghi e LT) presenti nel resto del Comune facciamo una generosa tara e l’occupazione la stimiamo al 70%.
Che significa che in Città Storica in questi giorni, segnatamente nei fine settimana, e non siamo ancora arrivati al clou festaiolo, si possono stimare tra le 80 e le 85Mila presenze pernottanti.
Ci mettiamo altre 15/20Mila persone pendolari dal Triveneto e dintorni?
Siamo ben oltre qualsiasi “capacità di carico”, come viene definita dagli studiosi dei fenomeni turistici la quantità di persone che realisticamente possono essere accolte in una località/città e che per Venezia si è via-via incrementata dai 37Mila degli anni ’90 (stima del mai troppo compianto COSES) fino a raggiungere il considerevole picco di 80Mila di oggi (secondo gli studi di qualche professore del Dipartimento dell’Economia del Turismo di Cà Foscari).

C’è stato il Covid, ampiamente ristorato, ampiamente derogato negli spazi di occupazione del suolo pubblico, ma già nella seconda parte del 2021 sono arrivati importanti segnali di ripresa dei flussi turistici, poi c’è stato un 2022 in gran spolvero tanto da lasciar passare il messaggio che il 2019 (anno dei record) era stato eguagliato.
E Venezia non ha mai smesso di essere un attrattore turistico a tutto tondo nell’immaginario collettivo mondiale anche se non è fra le più visitate secondo Euromonitor che tiene conto del “flusso di arrivi”, ovvero il numero di persone che hanno visitato una città in un altro paese per almeno 24 ore, per un periodo non superiore a 12 mesi, e che hanno soggiornato in un alloggio pagato o non pagato, collettivo o privato.

Ma è al top nella classifica mondiale delle capitali del turismo di massa ed è per questo sotto l’arcigno monitoraggio dell’Unesco.
Che non è il massimo per una città con problemi di residenzialità, di capacità di attrazione di attività economiche innovative, di ricambio generazionale.
Eppure siamo qui ancora a celebrare i fasti di un Carnevale posticcio e squisitamente turistico.
Il direttore generale di Vela sui giornali di qualche giorno fa raccontava della quantità dell’investimento prodotto dalla sua società partecipata dal Comune (soldi sempre pubblici sono) per finanziare le iniziative del Carnevale veneziano, spalmato in tre weekend, che si aggira sui 2Mln€ (incluse le iniziative del territorio di terraferma) e che, secondo i suoi calcoli, genera un indotto di 50Mln€.
Un moltiplicatore niente male da fare concorrenza agli investimenti in bitcoin! ?
50 Mln€ sono meno dell’1% del prodotto annuale del Turismo veneziano che si aggira attorno ai 6Mld€.
Ne vale la pena?
Non si potrebbero spendere diversamente quei 2Mln€ in iniziative di promozione culturale rivolte ai residenti di tutto il Comune e concentrare lo sforzo di promozione e di produzione carnevalesca solo alla Terraferma così da operare una scelta “rivoluzionaria” rispetto allo sfruttamento della Città Storica?
Decretare ufficialmente la morte del Carnevale di Venezia e celebrarne i fasti in quel di Mestre, Campalto, Marghera ottenendo il doppio scopo di liberare la Città Storica da una pressione insulsa, inopportuna, per certi versi incivile e rianimare le piazze delle Municipalità di terraferma che risentono di uno sbandamento della loro qualità della vita, soprattutto quella legata alla socialità.
Venezia non ha più bisogno di Carnevali vissuti in sofferenza dai suoi residenti, frequentati da cacciatori di selfie o animati da turisti in costumi improbabili e rutilanti o in veste di comparse in bauta e bolso abbigliamento settecentesco. Neanche fossero state ingaggiate da Federico Fellini per il suo Casanova o per quello di Luigi Comencini.
Sono passati e ormai dimenticati i primi gloriosi carnevali di Scaparro degli anni ’80 (più di una generazione fa) che avevano una spinta e un’anima di spontaneità e di qualità culturale che non si è più ripetuta e non è mai stata nemmeno più cercata.
Da Scaparro siamo passati al “volo della Colombina” – quest’anno sospeso per motivi di disponibilità di spazi in Piazza, causa lavori – al “corteo delle Marie”, ai mangiafuoco nei campi, a qualche spettacolo dignitoso da guardare nella veste di spettatori (ce n’erano qualche decina, non di più, ad assistere ad un paio di questi). A un po’ di animazione per i bambini, l’unica cosa da salvare.
Ecco siamo più o meno solo a questo.
Le feste private non fanno testo, sono private. Punto.
Il turismo veneziano ha bisogno di darsi una regolata e una strategia di lungo respiro che punti alla qualità e alla selezione quantitativa delle presenze.
Tutti (o quasi) lo chiedono, la politica locale (regionale e comunale) fa la gnorri.
Un turismo che non vada “contro” i suoi abitanti che di turismo non vivono, che si ridimensioni a componente non esclusiva della economia della Città.
Fare in modo che si moltiplichino le iniziative e le sedi di produzione culturale, che la Biennale ampli i suoi spazi e continui nella straordinaria operazione di allargamento delle sedi espositive e dei suoi tempi di esposizione. Che la Città ospiti imprese dell’innovazione che possano lavorare su produzioni sostenibili e compatibili con l’ambiente storico, magari anche in smart working.
Il Carnevale non risponde a nessuno di questi criteri.
Lasciamo che la gente, se decide di venire venga lo stesso, come fa in moltissime altre occasioni dell’anno, anche quando non ci sono particolari motivi, ma non siamo noi a chiamarla: venghino signori, venghino il Carnevale col suo bel cartellone vi aspetta, accorrete numerosi che la macchina del turismo veneziano è qui pronta a spremervi.
La Città deve essere attrattiva per un turismo di qualità che, secondo tutti i più attenti studiosi del fenomeno, deve permettere che sia prima di tutto vissuta serenamente dai suoi abitanti perché il turista si possa riconoscere con essa, la possa vivere per davvero, la possa amare e possibilmente si senta attratto a ritornare e non percepisca invece di essere inglobato in un meccanismo di puro sfruttamento di massa in cui sia solo un numero, uno degli ennemila contati “dall’efficientissima” (sic!) struttura della Control room.
Ma rassegniamoci, tanto saremo sempre lì anche il prossimo Carnevale: in attesa del varo del “contributo d’accesso”, uno degli ultimi scherzi di Arlecchino.