Carnevale? Anche basta!
13 Febbraio 2023Mafia a Nord Est, il caso Veneto nella monografia della Rivista Esodo
16 Febbraio 2023La notizia è passata quasi inosservata, a riprova che in questo Paese la gerarchia delle informazioni lascia parecchio a desiderare, ma è una “buona notizia”, anzi ottima e vale dunque la pena richiamarvi l’attenzione.
Enel ha presentato in questi giorni il progetto (finanziato per circa un quinto dalla UE) per l’ampliamento di 3Sun, la sua fabbrica di pannelli solari già presente nei pressi di Catania (la cosiddetta Etna Valley), storico distretto della produzione di energia solare in Italia, fino a portarla a una capacità di produzione 15 volte superiore all’attuale. Si passerà dagli attuali 200 MW ai 3 GW (ovvero 3000 MW) di potenza producibile e sarà non solo la fabbrica più grande d’Europa ma sarà più grande, in termini di capacità manifatturiera, della somma di tutte le altre fabbriche simili in tutta Europa.
I pannelli prodotti saranno di ultimissima generazione, con una innovativa tecnologia per la interconnessione delle celle di silicio, una maggiore vita tecnica e un minor tasso di decadenza di prestazioni. Ma soprattutto: entro il 2027 verrà messa in produzione una nuova generazione di pannelli, e questa è davvero una svolta epocale, con un rendimento superiore al 30%. Merita soffermarsi su questo dato per spiegarne l’importanza strategica quanto a impatto sulle future politiche energetiche.
Il solare fotovoltaico soffre storicamente di due grandi difetti. Il primo, insanabile (a meno di ipotizzare clamorosi sviluppi della tecnologia delle batterie di accumulo, oggi non alle viste), è il noto fatto che producono energia solo durante il giorno e questo rende il fotovoltaico strutturalmente non sufficiente come unica leva attraverso la quale raggiungere l’obiettivo “emissioni zero”. Ed è per questo che una delle soluzioni proposte (leggasi per esempio https://www.luminosigiorni.it/2021/11/la-transizione-ecologica-non-sara-un-pranzo-di-gala/) è quella di ricorrere al nucleare da fissione per far fronte ai fabbisogni nelle ore prive di luci. L’altro grande inconveniente è l’ingombro, l’occupazione di spazio. La potenza della radiazione solare è di 1 kW al metro quadro. Questo è il dato di partenza (immodificabile). Ad oggi il rendimento dei pannelli solari è – ad andar bene – del 20% (fino a pochi anni fa si faceva classicamente riferimento al 15%). Vuol dire che nelle migliori condizioni teoriche un metro quadro di pannello è in grado di produrre il 20% – un quinto – del kW/mq che il Padreterno ci mette a disposizione. Ovvero, per ottenere un kW di potenza ci vogliono 5 mq. Per ottenere dunque un MW (MegaWatt ovvero 1000 kW) ci vorranno 5000 mq. E per ottenere un GW (GigaWatt ovvero 1000 MW), ci vorranno 5.000.000 mq. Ovvero 5 km quadrati o, se volete, 500 ettari (ha nel seguito). Questo in linea teorica. In realtà tenendo conto del fatto che la radiazione non è sempre massima, che ci vogliono spazi tra i pannelli per la circolazione d’aria per il raffreddamento e gli spazi tecnici e quant’altro, nella migliore (ma proprio migliore) delle ipotesi per impianti di grande capacità ci vuole almeno il doppio dello spazio, cioè 10 kmq ovvero 1000 ha. Come regola mnemonica facile: un ettaro per MW. Per capire se è tanto o se è poco, facciamo riferimento a un 1 GW, la tipica capacità produttiva di una media centrale termoelettrica. Prendiamo per esempio la centrale di casa nostra, quella di Fusina, la Andrea Palladio. Quando era a pieno regime la sua potenza ufficiale era proprio di 1 GW (in realtà il dato di targa era 976 MW ma arrotondiamo). Ebbene, la centrale di Fusina occupa un’area di 456.000 mq, ovvero 45 ha. Contro i 1000 che ci vorrebbero se fosse trasformata in un campo di pannelli fotovoltaici. In altre parole, la produzione di energia solare da fotovoltaico occupa più di 20 volte la superficie di una centrale termoelettrica a parità di potenza erogabile. Si capisce bene da questi numeri quanto conti il problema spazio. Ora, nel momento in cui per il kW di partenza, grazie all’aumento da 20% a oltre 30% del rendimento ci volessero non più 5 mq ma 3 (arrotondando), rifacendo tutti i calcoli di prima i 1000 ha si ridurrebbero di un rapporto 3/5 ovvero i 1000 ha diventerebbero 600.
Qui sopra una rappresentazione della stupefacente evoluzione, tutta italiana, nella tecnologia e nelle prestazioni dei pannelli solari.
Non c’è (e non ci sarà mai) comunque competizione con gli spazi del termoelettrico, tuttavia il salto è enorme e, in un Paese fortemente antropizzato come il nostro, può costituire un facilitatore formidabile della diffusione del fotovoltaico. E non solo nel nostro Paese: è evidente che un progresso così significativo su una delle maggiori controindicazioni dello sviluppo del fotovoltaico porterebbe i “pannelli italiani” (ripeto: tecnologia nostra) ad essere di fatto monopolisti del settore.
In sintesi: 1) in Italia si sta realizzando un polo di produzione di pannelli di capacità incommensurabile per tutto il nostro continente; 2) di una tecnologia made in Italy senza di fatto concorrenti; 3) ci sarà una creazione di posti di lavoro pregiati, più l’indotto che sarà dell’ordine delle migliaia; 4) al Sud!; 5) il tutto funzionale all’obiettivo strategico della transizione energetica; 6) si attua una politica di re-shoring della produzione di materiale strategico che abbiamo constatato quanto sia importante in chiave geopolitica.
Credo che siano tutte ottime ragioni per esserne soddisfatti e orgogliosi. Già in occasione, all’inizio del millennio, della realizzazione dei primi contatori elettronici nel mondo, che possono essere teleletti e telegestiti e hanno fatto da volano ad una drastica riduzione dei costi operativi per le società distributrici di energia elettrica, Enel ha rappresentato un pioniere assoluto e un benchmark mondiale; oggi si ripete. È la plastica dimostrazione di quanto importante e strategico sia per il nostro Paese fare leva su grandi aziende, dotate di capacità di investimento, di visione, di capacità di sviluppo tecnologico e di voglia di intraprendere. Capaci di fare da traino a quella che da sempre è una vocazione tutta italiana: SACE (società controllata dal MEF specializzta in export credit), sono dati recentissimi, stima il valore dell’export italiano per il 2023 in 650 miliardi. Che pongono l’Italia tra i primi dieci Paesi esportatori al mondo. Resta il mistero di come questa Italia possa convivere con l’Italietta che si balocca con finti problemi e questioni risibili.
Ma considerare che siamo anche capaci di pensare in grande è una boccata di ossigeno.