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2 Aprile 2025Come in molte altre capitali europee, anche a Parigi l’attenzione sugli effetti geopolitici dell’elezione di Donald Trump, della guerra in Ucraina e del riarmo continentale ha raggiunto livelli senza precedenti. Tuttavia, il modo in cui il dibattito politico si articola in Francia presenta caratteristiche che lo distinguono nettamente dal caso italiano.
Vale la pena di ricordare il ruolo della presidenza francese nella ridefinizione della sicurezza europea. Emmanuel Macron, sin dall’inizio del suo mandato, ha cercato di posizionare la Francia come attore chiave nella costruzione di un’autonomia strategica dell’Europa, in parte in risposta all’imprevedibilità della politica estera statunitense negli ultimi anni.
Particolarmente utile è anche segnalare l’evoluzione del rapporto tra Parigi e Mosca. Per decenni, la Francia ha mantenuto un atteggiamento ambivalente nei confronti della Russia, frutto di un intreccio tra miti imperiali, pragmatismo economico e una visione storica che vedeva i due paesi come alleati potenziali, soprattutto in chiave anti-anglosassone. L’Institut français des relations internationales (IFRI) ha evidenziato come questa relazione abbia subito trasformazioni significative a partire dalla presidenza di Nicolas Sarkozy, accelerando poi sotto François Hollande. Macron ha cercato inizialmente di seguire la linea della “fermezza nel dialogo”, promuovendo un tentativo di reset con Mosca, in un’operazione che ricordava gli sforzi di Barack Obama nel 2009 con la Russia di Dmitrij Medvedev.
Secondo l’IFRI, questi tentativi si sono tuttavia rivelati in gran parte vani, minati tanto dalla crescente assertività della Russia quanto da un certo grado di ingenuità politica da parte dell’Eliseo. Macron ha sottovalutato sia la profondità delle divergenze strategiche tra i due paesi sia la natura del regime di Vladimir Putin, che ha sempre considerato il dialogo con l’Europa non come un fine, ma come un mezzo per guadagnare tempo e consolidare il proprio potere.
A partire quindi dal biennio 2022-2023, la politica russa di Emmanuel Macron ha subito una mutazione profonda, per varie ragioni: da un lato la radicalizzazione del Cremlino e la conseguente necessità di adottare un approccio più assertivo nei rapporti di forza; dall’altro, la fine delle illusioni su un possibile rapporto privilegiato con Vladimir Putin; e, soprattutto, infine, la consapevolezza che il suo approccio nei confronti della Russia stava compromettendo il suo più ambizioso progetto geopolitico, cioè il rilancio dell’autonomia strategica europea e la credibilità della Francia all’interno dell’Unione.
Questa revisione strategica è stata anche accelerata dalle operazioni di influenza russa sul territorio francese. In un rapporto pubblicato di recente, Viginum—l’organismo incaricato di contrastare le ingerenze digitali—ha documentato tre anni di operazioni di disinformazione orchestrate da Mosca, rivelando come la Francia sia diventata un obiettivo privilegiato per le campagne di destabilizzazione russa. Il suo status di membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, unito al sostegno militare ed economico fornito all’Ucraina, ha reso Parigi un bersaglio centrale nelle strategie di guerra informativa del Cremlino.
L’intensificazione di queste operazioni è stata evidente dopo la dichiarazione di Macron del 26 febbraio 2024, in cui evocava la possibilità di inviare truppe in Ucraina. Ma già dalla primavera del 2022, la Francia era nel mirino della macchina propagandistica russa con il programma Reliable Recent News (RRN). L’operazione ha visto la “clonazione” di siti web di testate di riferimento (come Le Monde e The Washington Post) e di istituzioni internazionali (tra cui la NATO e il ministero degli esteri francese), con l’obiettivo di diffondere false narrazioni sotto parvenza di autorevolezza. Parallelamente, sono stati creati pseudo-media dedicati alla divulgazione di contenuti anti-ucraini, amplificati da reti di account falsi sui social media.
Dal settembre 2023, un’ulteriore offensiva informativa, battezzata Matriochka, ha cercato di sabotare l’ecosistema mediatico francese attraverso una tattica di saturazione informativa: falsi reportage, screenshot manipolati, e video realizzati con intelligenza artificiale sono stati diffusi in modo massiccio per minare la credibilità del giornalismo investigativo. L’obiettivo era quello di alimentare il disorientamento dell’opinione pubblica, polarizzare il dibattito e inquinare il discorso pubblico su temi sensibili come l’immigrazione, la sicurezza e persino eventi di portata globale come le Olimpiadi di Parigi 2024.
Secondo Viginum, la strategia russa non si limita a diffondere disinformazione, ma mira a un obiettivo più insidioso: saturare lo spazio mediatico e costringere i giornalisti a rincorrere falsi scoop, svuotando così di significato il ruolo della stampa come filtro critico e fonte di autorevolezza. Senza tener conto che negli ultimi anni la Francia ha affrontato sospetti di interferenze russe nei suoi processi elettorali, in particolare durante le elezioni presidenziali del 2017.
In questo quadro il cambio di posizione di Macron rispetto alla Russia di Putin ha portato il presidente francese a dichiarare al giornale francese Le Figaro di voler portare la spesa per la difesa al 3,5% del PIL del Paese (oggi al 2%), un aumento che richiederebbe 30 miliardi di euro aggiuntivi all’anno. Un intervento così radicale rappresenterebbe una sfida enorme, considerando lo stato delle finanze pubbliche della Francia, che sono già sotto pressione. Un’ambizione che è in contrasto con l’obiettivo attuale del governo di ridurre il deficit di bilancio della Francia al 5,4% del PIL entro la fine del 2025. Con un governo traballante, che si appoggia sulla benevolo impegno dei socialisti e di Marine Le Pen a non sostenere mozioni di censura nei confronti del governo, il primo ministro François Bayrou e il ministro dell’economia Éric Lombard (di area socialista) hanno proposto l’idea di creare un conto specifico per la difesa, simile al Livret A (un conto di risparmio personale regolamentato e esente da imposte, il cui tasso d’interesse è fissato dallo Stato). Lombard ha anche suggerito di cercare investimenti presso banche, compagnie di assicurazione e investitori istituzionali.
Veniamo al quadro generale dei partiti. Anche se vi sono posizioni diverse, esiste un blocco centrale consistente a sostegno dell’Ucraina e all’idea di un aumento della spesa per la difesa. Quando ad inizio marzo si è tenuto il dibattito sull’Ucraina all’Assemblée nationale i parlamentari hanno dibattuto sulla posizione della Francia riguardo all’Ucraina e sulla possibilità di inviare truppe di mantenimento della pace sul terreno. Al sostegno pieno venuto dalle forze politiche dell’area macroniana va aggiunto anche quello della destra repubblicana post-gollista, Les Républicains (LR), che sostiene il governo di Bayrou. Per LR il rafforzamento della difesa europea è fondamentale, anche se il partito ha dovuto far fronte a qualche imbarazzo visto che l’ex primo ministro della destra François Fillon aveva affermato qualche giorno prima che “Zelensky non è l’eroe impeccabile celebrato dagli europei” e che “ha una parte di responsabilità nell’inizio della guerra”.
Il Partito Socialista e i Verdi si sono allineati con il governo guidato da Bayrou, ritenendo che l’Europa dovesse rafforzare la sua sovranità militare. Per uscire da questa crisi senza precedenti e « finanziare il sostegno militare all’Ucraina », il Partito Socialista ha proposto di prendere « i 210 miliardi di euro di attivi russi congelati nelle nostre banche » e di smettere di lasciare che « il gas naturale liquefatto transiti attraverso i nostri porti, con la complicità delle nostre aziende », mirando senza nominarla a Total Energies. Il PS ha chiesto anche un « grande prestito comune di 500 miliardi », l’unico modo per « salvare la pace e la sicurezza in Europa ». Tali proposte corrispondono a quelle già avanzate dall’eurodeputato Raphaël Glucksmann, che aveva portato al primo posto a sinistra la lista dei socialisti alle elezioni europee.
Durante la discussione parlamentare, invece, LFI, il partito di Jean-Luc Melenchon, attraverso le parole di Alma Dufour, ha espresso preoccupazione per il fatto che l’aumento delle spese militari avrebbe finito per favorire l’industria della difesa americana. “Non siamo contrari al fatto che la Francia e l’Europa si riarmino”, ha dichiarato in un’intervista a Franceinfo. “La domanda è: se spendiamo 40 miliardi di euro quest’anno in equipaggiamenti militari, dove finiranno? Negli Stati Uniti”. Dufour ha proposto di aumentare le tasse sui miliardari, affermando che una tassa del 2% sulle 500 persone più ricche di Francia potrebbe generare 25 miliardi di euro, mettendo la Francia sulla buona strada per realizzare le ambizioni di Macron in materia di spese militari.
Marine Le Pen, leader del RN, ha dichiarato che, pur essendo favorevole all’aiuto all’Ucraina, riteneva che la Francia dovesse dare priorità ai propri interessi nazionali. Ha anche respinto una strategia di difesa europea unificata e si è opposta a qualsiasi proposta di inviare truppe francesi in Ucraina.
Per quanto riguarda il “riarmo” nazionale – più che la difesa europea -, l’idea di rafforzare le capacità militari del paese è ampiamente condivisa, trasversalmente agli schieramenti politici. Anche a sinistra, sebbene non manchino critiche alla NATO e al suo ruolo nel conflitto, non si riscontrano posizioni pacifiste paragonabili a quelle presenti nel dibattito italiano.
L’eccezione più rilevante è Jean-Luc Mélenchon, leader de La France Insoumise, il cui approccio si avvicina tuttavia a una visione neutralista piuttosto che pacifista. La sua retorica, spesso critica nei confronti dell’Alleanza Atlantica, si concentra più sulla ridefinizione della posizione geopolitica della Francia che su un’opposizione completa al riarmo. Il fatto è che la politica di difesa in Francia è percepita come una componente essenziale dell’identità strategica del paese, fortemente radicata in una lunga tradizione di autonomia militare e di proiezione di potenza “globale”.
La questione centrale del dibattito politico interno non è tanto se investire nella difesa, quanto come farlo senza compromettere il benessere dei cittadini. Il rischio di tagli alla spesa sociale per finanziare il riarmo è un tema particolarmente sensibile. È qui che emergono le principali frizioni tra governo e opposizione, con il presidente Macron che cerca di bilanciare la volontà di riaffermare la leadership francese in Europa con le esigenze economiche e sociali interne.
A livello di media la differenza con l’Italia sembra più evidente. La copertura mediatica in Francia tende a concentrarsi soprattutto sugli aspetti strategici e geopolitici del conflitto, spesso analizzati attraverso il prisma della politica estera della “Francia globale”, dell’Unione Europea e della Nato. I numerosi programmi radiofonici e televisivi dedicano ampio spazio al riarmo europeo e alla guerra in Ucraina. Tuttavia, questi dibattiti sono generalmente focalizzati sulla necessità di rafforzare le capacità difensive europee, con un’attenzione particolare al ruolo della Francia, alla condivisione della force de frappe e all’armamento destinato all’Ucraina.
Il giornalismo politico in Francia segue poi generalmente un approccio molto formale. Basta guardare qualche trasmissione giornalistica che parli dell’attualità e si nota immediatamente che c’è una distinzione netta tra i dibattiti che coinvolgono gli esperti, spesso docenti universitari dei prestigiosi centri di ricerca francesi o ex militari, e quelli che coinvolgono i politici, dibattiti questi ultimi che assumono anche toni più forti, tra esponenti dei partiti, con giornalisti politici, spesso editorialisti, che pongono domande ai politici. Sembra un modello diverso dal giornalismo politico italiano che tende a intrecciare l’informazione con l’intrattenimento che nasce dalla polemica e dalla rissa televisiva, con posizioni radicali che servono appunto a fare spettacolo, ma con pochi tentativi di comprendere quel che accade.
Ma questo consenso abbastanza generale in Francia riguarda anche l’opinione pubblica. Recenti sondaggi hanno offerto uno spaccato interessante delle opinioni pubbliche in Francia riguardo al conflitto in Ucraina, la sicurezza nazionale, la difesa europea e le implicazioni economiche di queste politiche. Secondo i dati Ipsos, il 75% dei francesi considera la guerra in Ucraina un rischio significativo per la Francia. Questa preoccupazione è particolarmente forte tra la sinistra (81%) e tra gli elettori della coalizione di Macron (75%), ma anche tra la destra repubblicana (67%) e tra i sostenitori del Rassemblement National (65%). Il 64% teme che il conflitto possa espandersi fino a coinvolgere direttamente la Francia, una paura che resta stabile dal 2024.
In questo contesto, i francesi si sono detti favorevoli al continuo sostegno all’Ucraina. Più della metà dei cittadini approva l’aumento degli aiuti militari, con un 58% favorevole al rafforzamento della fornitura di aiuti. Tuttavia, la questione si complica quando si parla di sostenere l’Ucraina a qualsiasi costo. Il 75% dei francesi rifiuta un aumento delle tasse per aiutare Kiev, con un 43% fermamente contrario e solo il 24% disposto a pagare di più, soprattutto tra gli elettori di sinistra e della coalizione di Macron.
Un altro tema centrale del dibattito è l’aumento del budget per la difesa. Ipsos rileva che il 68% dei francesi sostiene un incremento della spesa militare, con una forte approvazione tra gli elettori del Nouveau front Popolare (91%), schieramento che raggruppa i partiti da Melenchon ai socialisti, e tra quelli di centro (75%). Tuttavia, si registra una divisione sulla fonte di finanziamento. Un sondaggio Elabe mostra che solo il 29% dei francesi è disposto ad aumentare le proprie ore di lavoro, mentre solo il 21% accetta di pagare più tasse per finanziare la difesa.
Nonostante le resistenze, il 75% dei francesi considera necessario un investimento significativo nella difesa, con un 56% favorevole a un “piano europeo di indebitamento comune per la difesa”. Di fronte alla crescente minaccia russa, la proposta di Emmanuel Macron di estendere l’ombrello nucleare francese ad altri Paesi europei trova il favore della maggioranza (56%), ma l’opposizione è forte tra gli elettori del Rassemblement National (60%).
L’ingresso dell’Ucraina nella NATO e nell’Unione Europea continua a essere un argomento caldo. Il 70% dei francesi approva l’adesione dell’Ucraina alla NATO, ma la maggioranza preferisce che avvenga dopo la fine del conflitto (40%), mentre il 30% sarebbe favorevole anche ora. La stessa percentuale si ritrova nella posizione pro-UE, con il 66% che sostiene l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, preferibilmente dopo la guerra (35%) o anche prima (31%).
Gli elettori di sinistra e quelli della coalizione di Macron sono ampiamente favorevoli a queste adesioni (92% e 83% rispettivamente), mentre gli elettori del RN sono più divisi, con il 53% favorevoli alla NATO e il 49% favorevoli all’UE. La posizione della destra moderata è più equilibrata: il 66% supporta la NATO e il 60% l’UE, sebbene anche tra loro ci siano divergenze sulla tempistica.
Non stupisce quindi che non vi siano state reazioni simili a quelle italiane alla proposta della presidente della Commissione von der Leyen sul “riarmo” europeo. Non per un approccio acritico ma perché progetto in fase di definizione e i cui contorni non erano chiari.
Perché queste differenze tra Francia e Italia? Ovviamente ci sono ragioni storico-politiche. La Francia ha costruito nel tempo una politica estera fondata su un forte centralismo decisionale e su una visione della grandeur che la porta a giocare un ruolo di primo piano nelle crisi internazionali. In quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e potenza nucleare, Parigi ha sempre concepito la difesa nazionale come un pilastro della sua strategia di potere.
C’è quindi per la Francia una diversa percezione della sicurezza nazionale che è inscindibile dalla capacità di proiettare forza e di mantenere un’autonomia strategica, anche attraverso la deterrenza nucleare. Di base, per la Francia la pace va garantita attraverso la forza e la capacità di dissuasione. La cultura politica francese è poi permeata da un forte senso dello stato che si riflette anche nella sua popolazione. Ci sono aree politiche pacifiste e anti-interventiste ma il consenso verso una politica di difesa attiva rimane ampio, sia a destra che a sinistra. L’idea poi che la Francia debba giocare un ruolo di leadership globale è parte del DNA politico e strategico.
Nell’opinione pubblica italiana, la spesa militare è una priorità secondaria rispetto ad altre questioni sociali ed economiche. Un’idea che nasce da una diversa percezione della minaccia russa, talvolta dal rifiuto stesso. Un recente studio pubblicato da Le Grand Continent evidenzia che il 62% degli italiani si dice favorevole alla firma di un trattato di pace con concessioni territoriali a favore della Russia (la media dei paesi sondati è il 47%) e che solo il 37% è favorevole a un impegno militare accresciuto a favore dell’Ucraina (la media è 54%, in Francia il sondaggio indica il sostegno al 49%), un dato che pone il paese all’ultimo posto tra i paesi europei oggetti del sondaggio.