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2 Aprile 2025Consiglio vivamente la visione del film “Le assaggiatrici” di Silvio Soldini. Racconta la vicenda, tratta da un romanzo di Rosella Pastorino che, a sua volta, ha raccolto la testimonianza di Margot Wölk, che poco prima di morire, aveva rivelato l’esistenza di un gruppo di donne che, nel periodo in cui Hitler aveva stabilito il suo quartiere generale lontano da Berlino (nella famosa “tana del lupo”), erano costrette a condividere col Führer i pasti (prima che questi li consumasse) per verificare che non fossero avvelenati.
Un film perfetto nei tempi e nel ritmo narrativo che riesce, pur in una vicenda in cui non succede quasi nulla (a parte il drammatico crescendo finale), a inchiodare l’attenzione dello spettatore per le due ore esatte di durata. La trama è, appunto, elementare. Nel piccolo e tranquillo villaggio della Slesia nelle vicinanze della Tana del lupo, 7 donne sono forzatamente assoldate per fare le assaggiatrici, consumare cioè i pasti prima di Hitler, stare in osservazione per un’ora e solo dopo questa attesa, poter tornare alle proprie abitazioni. Un “lavoro” vero e proprio (sono infatti remunerate 200 marchi al mese, che si intuisce essere una somma significativa) per il quale sono state “assunte” obbligatoriamente, con criteri che non sono specificati, unico requisito essere giovani, ariane e in buona forma fisica, certificata da esami medici fatti espressamente (come gustosamente dettagliato nella pellicola).
La narrazione si concentra su una delle assaggiatrici, Rosa Sauer, l’unica berlinese, rifugiata nel paesino dei suoceri per sfuggire alle devastazioni della capitale e in attesa febbrile di notizie del marito che se n’è andato in guerra appena dopo il matrimonio. Attraverso la protagonista (davvero bravissima l’interprete) ci fa conoscere con affettuosa partecipazione il microcosmo di donne che condividono quello strano destino, le loro storie personali, gli episodi di solidarietà, le amicizie e gli attriti che nascono inevitabili per la forzata coesistenza e gli uomini che di fatto sono i loro carcerieri e soprattutto il comandante di questi con il quale Rosa instaura una contraddittoria e rovente relazione.

Due delle magnifiche protagoniste
Non svelo altro della trama per non spoilerare e cerco di sottolineare gli elementi di fascino del film. In primis, lo sguardo dall’interno della provincia tedesca durante la guerra, anche nella parte finale della stessa. Abbastanza sorprendentemente, la vita al villaggio è quasi normale, scorre tranquilla, non ci sono problemi nell’approvvigionamento di cibo, c’è la corrente elettrica, le donne addirittura si possono permettere di consumare vino in un’improvvisata festicciola a casa di una di loro. La guerra, insomma, nei suoi effetti devastanti che siamo abituati a considerare, è lontana e si percepisce solo per l’assenza degli uomini al fronte e nella spasmodica attesa di Gregor, marito di Rosa (fino alla lettera che lo dichiara disperso in Russia).
Non è dunque un film sulla guerra o pacifista in senso classico. Non è nemmeno, a mio parere, un film di denuncia della condizione femminile. Lettura, questa, che pur ho ritrovato nei commenti nei siti specializzati (mediamente e, secondo me, ingenerosamente piuttosto tiepidi) basata sul fatto che fossero solo donne quelle costrette al ruolo di cavia sacrificabile. Mi sembra invero ragionevole pensare che fossero donne per la banale circostanza che gli uomini erano al fronte e per quel compito fossero necessari individui giovani e in salute. Semmai è intrigante che non fossero state scelte categorie (ebrei, zingari, minorati, ecc.) che nella dissennata dottrina nazista sarebbero state spensieratamente sacrificabili.. evidentemente solo delle ariane a tutto tondo erano degne di consumare le stesse pietanze di Hitler.
Cosa è che allora rende il film (a parte la perizia e la qualità cinematografiche) così coinvolgente? Il fatto che rappresenta quella che, parafrasando la Arendt, chiamerei la banalità della dittatura. Tutti i personaggi paiono accettare come scontato e necessitato il fatto di essere in una società in cui è normale vivere con soggezione e terrore le visite dei militari in casa, dove essere reclutati come strumenti sacrificabili per la sicurezza del Führer è un dato di fatto, neppure da discutere. Ci immerge in un mondo in cui domina l’onnipotenza del Potere, assoluto e incontestabile. Eppure, gli abitanti del villaggio sono brave persone, hanno sogni e aspettative assolutamente comprensibili, Rosa è sinceramente stupefatta quando apprende dall’amante degli orrori dei campi di concentramento. A parte l’unica assaggiatrice fanatica nazista, perfino i soldati della guarnigione, sotto la scorza brutale e violenta, si intuiscono umani (come quando tollerano che le assaggiatrici fumino, pur essendo proibito). Persino l’ufficiale di comando è attraversato da devastanti contraddizioni così come contraddittorie sono le sue azioni.
È utile, dunque, leggere il film con lo sguardo all’oggi, allo scenario in cui sempre più minacciose e arroganti si moltiplicano le democrature e le autocrazie, in cui le poche democrazie liberali sono attraversate da tensioni laceranti e ammorbate dal di dentro da figuri torbidi, da atteggiamenti opachi e perfino da maîtres à penser che giustificano o comunque lisciano il pelo a regimi illiberali e assolutisti. E a trarne allarme e consapevolezza di un rischio che esiste, qui e ora, anche tra noi, nella nostra società. Un sondaggio commissionato dal partito Azione a SWG chiedeva agli intervistati se fossero d’accordo, allo scopo di rendere l’Italia più efficiente, giusta e sicura, di affidare il governo a una persona autorevole, in grado di operare in autonomia, senza il controllo del Parlamento, e senza necessità di una maggioranza parlamentare, con un mandato fisso di cinque anni. Le risposte sono preoccupanti, a dir poco: tra i 18 e i 24 anni, la percentuale degli italiani che vede con favore questa soluzione è intorno al 42%. Nella classe tra i 25 e i 34 anni sale addirittura al 52%.
Ebbene, a questi giovani va rappresentato che passare dall’uomo forte al dittatore assoluto è un attimo. Che la democrazia realmente attuata e completa è un fiore delicato che va coltivato con cura e consapevolezza della sua fragilità. Non si tratta di lanciare anatemi contro il rischio di rinascita del fascismo o del comunismo, sono anzi allarmi infondati e in quanto tali controproducenti. Non giova guardarsi indietro: la possibile mutazione è qualcosa di nuovo e insieme eterno, che data sin dalla mutazione Comuni – Signorie, una democrazia che lentamente si restringe, perde le sue connotazioni essenziali, che si consuma dall’interno e si spegne nell’indifferenza. Appunto, la banalità della dittatura di cui dicevo.
Certo, poi sarebbe necessario che la Politica facesse la sua parte per conquistare autorevolezza ma vaste programme.. il desolante spettacolo offerto dalla politique politicienne del Paese (con pochissime lodevoli eccezioni) certo non aiuta. Potrebbe aiutare vedere il film sotto quest’ottica precisa. E l’immagine delle mani di Rosa lorde di sangue innocente che chiudono il film restino per tutti un ammonimento.



