
COSTUME & MALCOSTUME – Disavventure concorsuali scolastiche
9 Aprile 2025
Pacifismo e realismo
13 Aprile 2025Per una curiosa combinazione di recente mi sono imbattuta quasi di seguito nella lettura di due romanzi scritti da due scrittrici di origine triestina che, in modi, stile, costruzione del plot diversissimi, hanno entrambe toccato il tema della Storia del confine oltre Trieste, e delle vicende storiche recenti e meno recenti che hanno cambiato la vita e i luoghi e la percezione del mondo in un numero altissimo di persone. Il libro di Cristina Gregorin, scritto per primo, nel 2020, l’ho letto più di recente, e devo confessare che a tratti mi sono sentita sopraffatta dai rimandi storici dettagliati e sempre in divenire, all’interno della sua storia, con una donna, Francesca, che ritorna da Milano a Trieste, per qualche giorno, per partecipare ad una sorta di indagine postuma sulla morte per suicidio di un ex partigiano , e da questa indagine, voluta da un vecchio amico del morto appena prima di morire, trova la forza di uscire dai demoni del suo passato. “L’ultima testimone” è il titolo di questo libro, e la forza del ricordo attraverso le voci di alcuni vecchissimi sopravvissuti ai tempi della guerra, della tragedia delle foibe, del 1953 e i moti per l’annessione all’Italia, del 1980 con la morte di Tito, del 1991 con il distacco della Slovenia , diventa in queste pagine una angosciosa indagine nel dolore del passato. Le figure dei tre amici ex partigiani che decidono una loro forma privatissima ed etica insieme di vendetta personale nei confronti dei responsabili delle atrocità del periodo bellico e postbellico nella zona di confine, emergono gradatamente con le loro luci ed ombre, in una costruzione narrativa dove conversazioni , materiali d’archivio, ricordi dolorosi e vividissimi, si intrecciano con una serie di righe in corsivo corrispondenti ai pensieri intimi di Francesca.
E in uno di questi pensieri privati c’è il primo ricordo di Liliana, una dei tre amici, sempre in cerca di documenti accusatori dei responsabili delle violenze “…Era bella e giovane, ma il suo amore era per qualcosa con cui nessun uomo poteva competere. Solo a quell’amore si diede anima e corpo, perdendo prima l’una e poi, quando capì che da sola non poteva salvare la Causa, anche l’altro”.
In questa storia fatta soprattutto dagli uomini, nel libro ci sono invece figure forti ed implacabili come Liliana, l’insospettabile personalità della vecchia nonna di Francesca con le sue confessioni, e c’è Francesca, con il suo segreto, che ci portiamo sulle spalle con lei fino a scoprirlo a poche pagine dalla fine del libro, che la rende distante, muta, reticente di fronte alle richieste di raccontare i suoi ricordi, che scopriamo intrecciati indissolubilmente con quelli di Bruno, Vasco, Liliana.
Una affinità che emerge dalla lettura parallela di questo libro e di “Alma” di Federica Manzon risiede, prima di tutto, nel tema del ritorno di entrambe le protagoniste nella loro città d’origine, per pochi giorni e per motivi che le riportano entrambe al loro passato; e la loro professione, in un’altra città, che nel caso di Francesca , medico ostetrico a Milano, diventa, nella bellezza di veder nascere i bambini, un antidoto al buio del suo ricordo da nascondere prima di tutto a sé stessa, nel caso di Alma, giornalista a Roma, è un mezzo per capire il presente scrivendo con un occhio sempre alla zona di confine da cui essa stessa si è allontanata da adulta.
Scappano entrambe, in un certo modo, e il loro ritorno a Trieste diventa simbolo di un desiderio inespresso di pacificazione con il loro passato, che alla fine troveranno, pur in modi del tutto diversi.
Gregorin ci parla molto di questa sua Trieste ritrovata ( nella realtà l’autrice vive e lavora a Venezia da tempo) attraverso gli occhi di Francesca. E, come è usa fare in genere nel gettarsi nelle cose che narra, la sua Trieste è fatta di dettagliatissime descrizioni di luoghi che attraversa nei brevi giorni del suo soggiorno, ossessive descrizioni di luoghi come ossessivi sono i silenzi della sua protagonista.
Anche Federica Manzon , attraverso gli occhi di Alma, ci racconta la sua città, ma i suoi sono pochi luoghi simbolici di un’età della vita della protagonista, come il Porto Vecchio, di cui c’è anche una vecchia foto di gruppo di bambini in bianco e nero che lo rappresenta. Questo luogo diventa anche il rifugio segreto di Alma e Vili da ragazzi, nei loro primi incontri alla ricerca di una identità comune di giovani adulti.
Quella di Alma è la Trieste della casa condivisa con i genitori, la madre disordinata e umorale, il padre che va e viene in continuazione da “di là”, in una collaborazione strettissima con il maresciallo Tito, in un ruolo spesso vago ma che gli dà per anni in famiglia un’aura di combattente avventuroso e pieno di coraggio.
E’ questo un libro pieno di inquietudini, di assenze evocate e riempite dall’immaginazione di Alma, dalle attese della madre, dalle visite col padre nell’isola del maresciallo, altro luogo-simbolo che verrà ritrovato alla fine del libro nel segno della pacificazione ancora una volta col suo passato.
C’è poi sullo sfondo la “casa dei matti”, l’ospedale psichiatrico degli anni della Riforma Basaglia, attraverso le visite dei pazienti nella casa di Alma ( la madre faceva l’ l’infermiera , costruendo magnifici rapporti umani cogli ospiti della casa di cura) , e con un incontro casuale ma molto intenso proprio con Franco Basaglia, che racconta ad Alma il ruolo importantissimo della madre nella rivoluzione da lui operata nel passato.
Ed ancora la casa dei nonni , villa con giardino in cui Alma passava spesso l’estate da bambina, godendo di cure e piccoli vizi retaggio di una educazione asburgica di cui i nonni e la casa profumavano in modo affascinante.
In entrambi i libri si rincorrono tutte le lingue parlate dai protagonisti delle storie, forse il retaggio più forte della Babele di popoli e di tradizioni che si sono incrociati nei secoli in un territorio che copriva poche centinaia di chilometri quadrati.
Nel libro della Manzon la figura di Vili, che viene in qualche modo adottato dalla famiglia di Alma per salvarlo dalla persecuzione politica nei confronti della famiglia d’origine, diventa il simbolo vivente di quel “di là”, dove alla fine ritornerà per assistere alla nuova identità politica del Paese che considera suo da sempre, e di cui testimonierà con le sue foto i momenti più duri della guerra, con un occhio “interno” al conflitto.
Anche Alma lo raggiungerà per qualche mese, e, nell’emergenza quotidiana, lei con le parole lui con le immagini segneranno un’altra pagina della Storia dei confini.
I margini di questo libro sono quindi divisi tra quelli della Storia e quelli delle storie dei protagonisti, in un lungo legame tra questi due “fratelli” che scopriranno alla fine, emergendo dal passato del padre di lei e dalla scatola di ricordi della sua vita, che c’è ancora vita per loro, assieme, sul confine.
Due donne, una città, una vita di viaggi e di ritorni, nel segno di un omaggio intenso e profondo in entrambe le autrici per Trieste e le sue Storie.
Cristina Gregorin, L’ultima testimone, Garzanti 2020
Federica Manzon, Alma, Feltrinelli 2024