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11 Aprile 2025Si vede che io di scuola non ne capisco più granché. Ma da semplice uomo della strada che si affida al mero buon senso, mi pongo alcuni quesiti. E la prendo un po’ alla larga.
Quando, diversi decenni fa, entrai nella scuola pubblica, non fu per me troppo difficile l’ingresso. C’era posto per tutti. Dopo la laurea, un concorso a cattedra (anzi due, medie e superiori) fu sufficiente, e in men che non si dica, ebbi l’agognato “posto”, scelsi la mia destinazione definitiva, prima alle inferiori e, di lì a non molto, alle medie superiori.
Erano tempi, quelli, in cui la scuola reggeva ancora, cioè assorbiva gli aspiranti docenti: il calo demografico era più modesto di ora. Insomma, le classi c’erano, gli studenti non mancavano, né ancora erano tantissimi gli insegnanti, nonostante quelli che tentavano qui al Nord la loro sorte, provenendo dal profondo Sud.
Anzi, era tale la domanda di docenti, che bastava appostarsi sulle scale del Provveditorato agli Studi di Milano, all’inizio dell’anno scolastico, per ottenere al volo una supplenza. Io ne feci di lunghe (anche di qualche mese) quando ero ancora studente universitario (e come tale, per inciso, niente affatto abile all’insegnamento).
Comunque, una cosa è certa: superato il concorso a cattedra si era automaticamente abili e arruolati, virtualmente in condizioni d’insegnare e con tutte le carte in regola. Poi, magari, per avere la benedetta cattedra, per qualcuno c’era da stare in coda per un po’, bisognava aspettare il proprio turno, che si liberassero posti, che qualche insegnante andasse in pensione… ma intanto si era ufficialmente docenti.
Aggiungo altresì che questi concorsi vertevano (impropriamente) sul merito della tua preparazione specifica, e non sul metodo, per così dire; ossia andavano a verificare se il candidato conoscesse la letteratura o la geologia (per dire), cioè se fosse preparato su ciò che aveva studiato nel suo cursus studiorum. Vale a dire su qualcosa di cui lo Stato avrebbe dovuto già essersi sincerato, nel momento in cui aveva ufficialmente proclamato qualcuno “dottore” in lettere o in geologia o in qualunque altra cosa.
Un concorso per l’insegnamento, viceversa, avrebbe dovuto (e dovrebbe tuttora, come non è ancora del tutto) vertere su altro: dovrebbe appurare se il candidato conosce la legislazione scolastica, se ne sa di didattica, se ha studiato pedagogia. Perché è questo lo specifico dell’insegnare. In altre parole: una cosa è conoscere a menadito la grammatica italiana o la Divina Commedia (per restringerci al caso dell’italiano), altra cosa è saperle insegnare. Sono, per così dire, due “mestieri” diversi. Chiuso l’inciso.
E veniamo d’un balzo all’oggi. Cosa sta succedendo oggi? Ebbene, vengono banditi oggi concorsi a cattedra. E c’è chi li supera con voti anche assai buoni e che pertanto, come tale, dovrebbe essere un insegnante certificato in piena regola. Senonché, che cos’altro succede? Succede che, ad onta della buona valutazione conseguita, i posti disponibili non sono abbastanza per tutti. C’è chi, per vari motivi, ha più punti di te. (È tutto un gioco a punti, un calcolo difficilissimo…).
E allora, che altro succede? Forse succede che ci si debba mettere in fila ed aspettare il proprio turno finché non si liberi un posto? Macché. Sei passato al concorso? Ebbene sì! Hai per caso ricevuto conseguentemente la nomina per una cattedra? Manco per niente. E allora stop: dovrai ricominciare tutto da capo di lì a poco, con un nuovo concorso. Ma come – obietta il candidato – se ho superato il concorso solo pochi mesi fa! Non importa: non hai avuto il posto e quindi devi ora ritentare il concorso. Ma, mi domando io, se un disgraziato ha superato con onore e merito il primo concorso (e dunque è già virtualmente abile ad insegnare – ci siamo?) e poi però non passa il concorso successivo, che succede? È bocciato senza appello? Ridiventa inabile? Non c’è in questo una palese contraddizione? È forse costui ritornato ignorante all’improvviso? Analfabetismo di ritorno nell’arco di pochi mesi? Oppure succede che lo stesso Stato che ora ti boccia e prima però ti aveva promosso, ha sbagliato, cioè boccia se stesso. È una questione di logica, mi pare.
Be’(si consola il candidato), meno male che la prima volta ho superato il concorso, almeno ho ottenuto la benedetta “abilitazione”, no? No, sbagliato. Se ho superato il concorso – si dice il povero aspirante – sarò pur abile ad insegnare! Sembra sensato, no?… E invece no, niente affatto. La famigerata abilitazione non ce l’hai nemmeno se hai superato il concorso e perfino – addirittura! – se hai ottenuto anche l’attribuzione di una cattedra. Cioè insegni senza essere abilitato a farlo, anche se è lo Stato stesso che, avendo sancito il superamento da parte tua del concorso, ha implicitamente stabilito che sei abile ad insegnare. Se il buon senso non è un’opinione… E questa è la seconda aberrazione.
Adesso, mio caro, per conseguire l’abilitazione dovrai seguire un corso apposito (a pagamento congruo, guarda il caso) e alla fine dovrai sostenere un esame, scritto e orale. Potrai perfino non essere promosso, anche se hai già superato un concorso è già stai insegnando. Vorrà dire che insegnerai, sì, ma con un punteggio inferiore. Perché l’abilitazione dà punti, si capisce. È tutto un gioco a punti, come dicevamo…
C’è del marcio in Danimarca.
P.S. Corre voce ultimamente (ma saranno dicerie, I suppose) che, dal momento che nello scritto dell’ultimo concorso c’era una domanda sbagliata o per lo meno ambigua, la prova sarebbe stata invalidata, annullata. Sicché si è pensato bene di sottoporre tutti i candidati ad una nuova prova. La quale ultima – udite udite – consisterebbe in una sola ed unica domanda. Chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori. Il classico terno al lotto. Bel modo di vagliare la preparazione degli aspiranti insegnanti!
Immagine di copertina © Laleggepertutti