
Donne senza sorriso e senza parola.
21 Settembre 2023
CONO DI LUCE Destini sospesi nel giallo multiculturale di Amara Lakhous
29 Settembre 2023Boomer, cioè uno nato negli anni Cinquanta e dintorni, quelli del boom demografico. Ebbene, come ogni boomer che
si rispetti, anch’io mi diletto alquanto a pubblicare, pardon, a postare cose che mi paiono sfiziose o spassose, su uno
dei più noti social che mi astengo dal nominare. Per chi non avesse dimestichezza con la materia, un social (detto
così per brevità) è un sito internet in cui ci s’incontra virtualmente, si diventa “amici” o si chatta, cioè si chiacchiera
anche. Più o meno.
Oddio, forse magari mi diletto un po’ troppo spesso a pubblicare cose su quel tale social, però ho
un’attenuante: io mi limito talvolta a postare qualche frase arguta e spiritosa ma soprattutto a pubblicare li miei scatti
fotografici. I quali ultimi, sia detto senza troppa presunzione, sono sovente interessanti, comunque ben ponderati e
non certo casuali. E sono tipicamente foto di paesaggi, di animali, di particolari della natura. Raramente sono foto di
persone.
In particolare, quasi mai si tratta di quel genere di foto in cui chi le mette “in vetrina”, dice, più o meno, al
suo pubblico virtuale: Ehilà, guardatemi, io sono qui, vedete? Mi trovo a Firenze, a Bratislava, a Canicattì! Oppure al
Gran Concerto dello stadio di Vattelapesca. Visto come son bravo e bello? No, questo genere d’immagini e di
contenuti io non li posto affatto. E nemmeno pubblico quel tipo di foto messe lì per informare urbi et orbi su
matrimoni, battesimi, compleanni e comunioni di figli, sorelle, nipoti ed altri congiunti. No, da questo tipo
d’immagini io mi astengo. Sbaglierò, ma penso: che gliene importa agli altri di sapere che io sono a Cuba o a
Katmandu? Che gliene cale, a chi s’imbatte nei miei post, di apprendere che mio nipote si è diplomato, che mia
cugina si è laureata, che al mio nipotino è spuntato il primo dentino? Sbaglierò, ma io mi regolo così.
Però, a onor del vero, mi regolo quasi sempre così. Talvolta indulgo anch’io. Quest’estate, per esempio, ho
postato un quadrifoglio d’istantanee di mio figlio, intento a leggere un libro sulla riva del mare. Ebbene, ci
credereste?, è stato un successone (se così si può dire): tantissimi hanno manifestato il loro gradimento per questa
immagine, hanno messo il loro like. E io ne sono rimasto alquanto stupito, perché si trattava in fondo di immagini
qualsiasi. Istantanee, appunto. Certo, molti hanno messo il loro mipiace perché conoscono mio figlio…
Un annetto fa, invece, ho pubblicato un bel primo piano della mia nipotina, senza – si badi – fare il suo
nome. L’ho chiamata, in quello scatto, “Ciglialunghe”. Ma che fosse la mia nipotina, ovvio, s’intuiva dal breve
commento di apertura, dalla mia succinta didascalia iniziale. Semplicemente mi pareva un’immagine tenera e
gradevole. Ebbene, manco a dirlo, pure in quel caso c’è stato un profluvio di cuoricini e gradimenti vari, espressi per
lo più in forma iconica: con emoticon, faccine e affini.
Un’altra volta ancora, poi, ho postato un’immagine di me stesso insieme alle mie alunne straniere che mi
festeggiavano per ringraziarmi del mio operato d’insegnante d’italiano (“grazie Ivo”, avevano scritto col cioccolato
sulla torta). E stavolta smiley, icone di applausi ed altre numerose immaginette di approvazione e gradimento.
Di questo mi sono sempre stupito, soprattutto considerando come viceversa riscuotano pochissimi e sparuti
apprezzamenti i miei scatti di paesaggi, talora alquanto belli (mi permetto di dire) che pubblico sul benemerito social
anzidetto. Mi sono chiesto spesso il perché di tale disparità di trattamento e di gradimento, aspettandomi io di
ricevere semmai consensi numerosi per le mie foto “artistiche” (mi si perdoni l’ardire) e non per quelle poche in cui
reco solo testimonianza dei miei casi personali (assai raramente) o delle persone a me care (altrettanto raramente).
Ebbene, ho finalmente capito il perché. Il perché sta nell’equivoco tra il cosiddetto contenuto e la cosiddetta
forma. Mi spiego con un esempio tratto dall’arte (si parva licet componere magnis): prendiamo, per semplificare,
l’arcinoto capolavoro leonardesco: la Gioconda. Nessuno oserà dire (mi auguro) che quel dipinto è bello perché
Monna Lisa era una bella donna. Il mondo è pieno di belle donne che non per questo sono opere d’arte. Facciamo ora
il caso inverso (citato dallo storico dell’arte Ernst Gombrich in una sua vecchia storia dell’arte): c’è un’acquaforte di
Albrecht Durer in cui l’artista tedesco ha ritratto sua madre. Ora, si dà il caso che la madre di Durer non fosse affatto
una bella donna, anzi, era brutta come una vecchia strega. Ma l’incisione, dice Gombrich, è bellissima, è un
capolavoro.
Dunque l’equivoco sta qui: nell’attribuire l’interesse e la bellezza di un’immagine al suo “contenuto” e non
viceversa alla sua “forma”. Dite forse che la forma non conta poi tanto? Che se un paesaggio è bello, resta bello di
suo, poco importa da chi e come sia stato ritratto o fotografato? Non è così. Pensate, per un momento al caso analogo
delle barzellette: una barzelletta ha una sua storia, una “storiella”, una trama, insomma, un suo contenuto. Ma se la
raccontano Gigi Proietti o Walter Chiari, ci sbellichiamo dalle risate; se invece la racconto io (poniamo) nessuno
ride. La bellezza (e l’interesse e l’emozione) dipende in realtà dal modo, dalla forma.
Ed ecco spiegato il motivo per cui le immagini belle che compaiono sui social riscuotono scarso successo, a
meno che non ritraggano, s’intende, qualcosa di straordinario, meraviglioso, eccezionale: un super tramonto, una
cascata iperbolica, una lussureggiante vegetazione, un animale esotico ecc.; ma se invece sono, sì, bellissime foto,
piene di interesse, suggestione e (diciamo la parola) piene di poesia, epperò ritraggono magari una banale strada nel
traffico cittadino, un cumulo di spazzatura o altre cose di ordinaria amministrazione, lasciano freddi quasi tutti i
riguardanti.