
ALESSANDRO SANTI: la mia città dei prossimi 5 anni
15 Agosto 2020
GIUSEPPE SACCÀ: la mia città nei prossimi 5 anni
17 Agosto 2020Luminosi Giorni, con spirito di servizio al fine di accrescere la consapevolezza per il prossimo voto alla Amministrative del Comune di Venezia, ospita una serie di interventi di personalità che riteniamo offrano spunti di riflessione per un voto ponderato e consapevole. Gli amici che hanno cortesemente offerto il loro contributo provengono da aree culturali, politiche e ideali le più diverse e offrono visioni talvolta molto confliggenti tra loro. Ma mai banali. Come Redazione ci piace pensare di poter contribuire a un confronto sereno e non fazioso sui temi che riguardano il futuro della nostra città. Alcuni degli autori scenderanno personalmente nell’agone elettorale. A loro, indistintamente, va il nostro in bocca al lupo e a tutti, candidati e no, un sentito grazie per la collaborazione.
Come immagino la mia città dei prossimi 5 anni?
Da architetto, mi verrebbe naturale rispondere a questa domanda prendendo in mano la penna per tracciare schemi, disegnare prospettive e fare sintesi dei ragionamenti attraverso dei diagrammi.
Dovendo invece delineare un’idea di città possibile utilizzando come unico strumento la parola, non posso che farlo comunque attraverso il racconto di un progetto, i cui elaborati ed immagini descrivono le trasformazioni che vorrei vedere a Venezia nei prossimi anni.
Vista prospettica di una città creativa
La prima immagine prova ad inquadrare il tema della cultura da un’angolatura che lascia in secondo piano quello del turismo. Porre l’accento sull’aspetto della produzione culturale permette di immaginare le alternative economiche su cui costruire il progetto di città per i prossimi anni, non soltanto per rispondere alla crisi post Covid del comparto turistico, ma anche per evitare di ricreare le insostenibili condizioni che hanno reso Venezia paradigma mondiale del soffocamento da overtourism. Il contributo del settore culturale e creativo dell’economia non si limita, infatti, al solo impatto diretto, ma genera invece ricadute positive per vari altri settori, anche non culturali.
Allargando l’inquadratura, si può tracciare una linea che collega la produzione artistica al più ampio tema delle professioni creative (del design, dell’architettura, dell’artigianato, della comunicazione, etc..), e arriva ad includere l’economia della conoscenza e della ricerca. Immagino quindi una città capace di offrire opportunità di investimento in questi settori, anche ripartendo dalle tante realtà culturali già presenti nel territorio, come ci ricorda, con intelligenza ed ironia, il progetto Money must be made (https://www.moneymustbemade.eu/). Una città, cioè, in cui si investe sulla digitalizzazione e sull’innovazione, anche attraverso un utilizzo strategico e mirato di sgravi e incentivi (a partire dalla ZES, Zona Economica Speciale, e ZLS, Zona Logistica Speciale) creando, perché no, vere e proprie Zone Franche Urbane per la cultura, e quartieri per imprese creative ed artisti, anche attraverso la riconversione di immobili pubblici inutilizzati, come proposto nella bozza di febbraio 2020 del DDL Turismo e Cultura.
Da questa prospettiva, si intravede una città capace, non soltanto di attrarre nuovi lavoratori e nuovi abitanti, ma anche di trattenere gli studenti che la popolano, ossia circa 6.000 studenti fuorisede dimoranti: il doppio degli abitanti residenti nella stessa fascia di età (19-25 anni), e un decimo degli abitanti complessivi. Una città che capisce il potenziale sociale, economico e abitativo degli studenti fuorisede è infatti una città che investe sul proprio futuro, come abbiamo provato a dimostrare alcuni anni fa con il progetto Fuorisede Dentro Venezia, promosso dall’associazione Metricubi.
Senza scomodare il modello della Silicon Valley, ma partendo da esempi molto più vicini e alla nostra portata, non si può non pensare ad una Venezia come città creativa, secondo la definizione di Richard Florida e la sua teoria delle 3T, talent, technology, tolerance, che mette in luce il ruolo del capitale umano nei processi di sviluppo economico e sociale.
Spaccato assonometrico di uno spazio interno
Una città creativa è tale grazie alle persone che la abitano. La seconda immagine entra quindi nello spazio privato, perché, come ci ricorda Andrea Branzi, “un tempo la progettazione degli spazi interni, il design degli interni, era arredamento, era mettere ordine e fare scenario; oggi invece è diventata l’attività fondamentale del funzionamento della città contemporanea, perché crea il lubrificante che permette la mutazione dinamica delle cose.” Negli ultimi anni a Venezia questo è reso particolarmente evidente dal fenomeno degli appartamenti trasformati in locazioni turistiche – si stimano ad oggi 21.570 posti letto – caso emblematico di come un uso differente dello spazio domestico genera una ricaduta negativa leggibile alla scala urbana.
Proprio negli ultimi mesi, invece, la permanenza forzata nelle nostre abitazioni ci ha reso più facile immaginare una diversa dimensione domestica, con spazi più fluidi e flessibili che possano permetterci di vivere la casa, all’occorrenza, anche come luogo di lavoro.
Queste potenzialità possono portare importanti ricadute positive per il tessuto abitativo di Venezia, offrendo la possibilità di tornare a viverci, lavorando da remoto, ai molti veneziani che hanno lasciato la città. Ma il ragionamento vale anche per i nuovi potenziali abitanti, lavoratori italiani e stranieri che decidono di trasferirsi a Venezia stabilmente o per lunghi periodi dell’anno, attratti dalla possibilità di continuare a fare il loro lavoro a distanza, vivendo l’unicità delle esperienze quotidiane che Venezia garantisce ai propri abitanti.
Questa trasformazione richiede però un intervento pubblico sul tema dell’abitare, che favorisca l’immissione nuovo patrimonio a canoni di locazione o prezzi di acquisto calmierati, anche secondo la formula del social housing, rivolto a fasce sociali più ampie rispetto all’attuale edilizia residenziale pubblica. Per assicurare l’efficacia dell’intervento, guardando all’esempio del Barcelona Right to Housing Plan 2016-2025, si può progettare un percorso partecipato che sappia rilevare i problemi delle comunità, in modo da attuare iniziative mirate. A questo intervento si aggiunge infine l’urgenza di rinnovamento del patrimonio edilizio pubblico, sia in termini di efficientamento energetico, che punti all’nZEB (Near-Zero Energy Building), sia in termini di riorganizzazione della gestione.
Planimetria generale dello spazio pubblico
L’ultima immagine ci mostra la città dall’alto per permetterci di visualizzare l’intervento sul piano ambientale, con l’obiettivo di sviluppare strategie urbane finalizzate a gestire e affrontare in modo innovativo le emergenze climatiche, magari attraverso l’istituzione di un Dipartimento dedicato, su modello del Dipartimento delle Città resilienti attivato a Milano.
Sullo sfondo si vede un ampio progetto di forestazione che coinvolge la città d’acqua e quella di terra e che prevede un forte incremento di piantumazione di alberi, l’aumento di superfici permeabili, la conversione, laddove possibile, dei tetti in superfici verdi e orti urbani comunitari, l’utilizzo degli alberi per la fitodepurazione di terreni inquinati.
L’utilizzo del verde inteso quindi, non come operazione di semplice maquillage urbano, ma come tentativo di risposta al tema dei mutamenti climatici, come ha fatto ad esempio l’architetto Alejandro Aravena a Constitucion, in Cile, nella ricostruzione post tsunami del water-front urbano, creando una fascia boschiva che protegge la città dall’estuario del fiume.
Inquadrando poi la città di terra, emerge la necessità di recuperare il tessuto urbano, anche attraverso il rilancio del commercio di vicinato, messo a dura prova dalla concorrenza dei grandi centri commerciali delle aree peri-urbane. Ecco quindi un altro esempio positivo che arriva da Milano, ovvero il piano Strade aperte per la mobilità sostenibile, che favorisce la mobilità ciclopedonale, riducendo lo spazio carrabile e aumentando lo spazio pubblico, su esempio delle superilles di Barcellona, isolati pedonali che diventano occasione di rilancio di zone strategiche della città.
Inizio lavori
Ogni progetto parte dalle fondamenta, per cui anche in questo caso è necessario iniziare dal livello più prossimo, ovvero le Municipalità a cui devono essere restituite competenze e deleghe, affinché tornino ad essere luogo di dialogo e progettualità tra amministrazione e cittadinanza.
Numerosi spunti possono poi derivare dal Regolamento dei Beni Comuni, adottato dal Comune di Venezia nel 2019 ma al momento sottoutilizzato, che promuove l’attivazione di iniziative dal basso che possono tradursi in occasioni di rigenerazione urbana diffusa attraverso il riuso e la valorizzazione di spazi o beni pubblici.
Perché quindi un racconto della città attraverso i paradigmi di un progetto architettonico? Perché immaginare il futuro di una comunità significa anche immaginarne gli spazi e perché il linguaggio dell’architettura, in fondo, si presta molto a raccontare visioni future. Prendendo a prestito le parole di Luca Molinari, “l’architettura ha la forza di leggere le complessità e di legarle tra di loro, di renderle comprensibili trasformandole in progetto comune; l’architettura produce speranza perché lavora sull’idea di futuro nella realtà”.
Chi è Enrico Vianello: nato nel 1981 a Venezia, città in cui ha scelto di rimanere a vivere.
Architetto, laureato all’Università IUAV di Venezia in Architettura e Città, è associato presso lo studio veneziano TAMassociati. Attualmente è impegnato nella ricerca e nelle pratiche in materia di politiche urbane nei paesi in via di sviluppo e lavora come esperto in progetti collegati a ONG e fondazioni che gestiscono progetti nel settore sanitario. Per quasi 10 anni ha fatto parte dell’associazione Metricubi, uno spazio nel centro storico di Venezia attivo nell’organizzazione e promozione di eventi culturali.
Si candida come consigliere della Municipalità di Venezia-Murano-Burano per il Partito Democratico.