Un Mattarellum… in testa
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29 Dicembre 2016Tempo di feste natalizie e forse la disponibilità di qualche ritaglio di tempo per letture non banali. Corro allora il rischio di essere accusato di piaggeria nei confronti del direttore di Luminosi Giorni per segnalare una sua recente fatica editoriale “La Grande Venezia nel secolo breve. Guida alla topografia di una metropoli incompiuta” che merita davvero di essere letto con attenzione.
Un lavoro titanico che ci regala un’opera interessantissima, molto originale per la chiave di lettura metropolitana delle varie porzioni di territorio urbano della Grande Venezia. Il che è, credo, un unicum. L’autore, con un pizzico di civetteria, la definisce una semplice “guida”, con credo consapevole understatement, perché sa bene lui per primo che è molto di più: un po’ un’opera di storia, un po’ di geografia, un po’ di urbanistica, un po’ di architettura.
Questa natura ibrida ne costituisce il fascino ed insieme, paradossalmente, anche un fardello perché rende la lettura impegnativa e talvolta si resta con un retrogusto di insoddisfazione per la voglia di saperne di più, per esempio sugli aspetti architettonici o storici sui quali giocoforza l’autore non può approfondire più di tanto, pena il perdere di vista il filo complessivo della narrazione.
Comunque, un grandissimo lavoro, non certo una lettura da ombrellone ma un compendio utilissimo e un grande contributo alla comprensione di questo territorio.
Gli obiettivi fondanti del lavoro di Carlo sono due: 1) analizzare e descrivere le mutazioni dell’area metropolitana nel ‘900 (vedremo in seguito perché breve) 2) darne una visione di contesto, appunto “metropolitana”, evidenziando i legami (o i non legami) e le interconnessioni tra le diverse aree del territorio veneziano.
In relazione al primo dei due obiettivi, la scelta di approfondire il ‘900 in un’area come la nostra ha costretto l’autore a uno sforzo concettuale duplice perché, a seconda che l’area oggetto di indagine sia di terra o di acqua (che peraltro Carlo volutamente alterna nel corso del suo percorso), il meccanismo di indagine è sostanzialmente antitetico. Infatti, nella città d’acqua si tratta di andare a cercare con il lanternino le incursioni novecentesche (che peraltro sono assai di più di quanto a prima vista possa pensarsi), mentre nella città di terra si effettua l’operazione complementare (e dunque contraria): rovistare il territorio in cerca delle poche preesistenze e descrivere le decisive e rilevanti modificazioni novecentesche in relazione a queste. Operazione delicata, in quanto, in Terraferma, appunto perché quasi tutta novecentesca, il lavoro è stato quello di cogliere le manifestazioni più significative dal punto di vista della geografia urbana cogliendo al contempo anche i (rari) casi di qualche pregio. Caso particolare, ovviamente, Porto Marghera (uno dei capitoli più riusciti) che è interamente un prodotto novecentesco.
Ma quello che rende quest’opera davvero peculiare è il secondo dei due obiettivi: l’evoluzione di ciascuna area è letta e interpretata in funzione dello sviluppo complessivo di tutto il territorio metropolitano. Ed allora Carlo ci accompagna via via attraverso i piani di sviluppo del conte Volpi, il famoso (purtroppo mai realizzato) Piano Rosso, le intuizioni del mitico ingegner Miozzi, testimoniando di una grande città metropolitana che era stata pensata con lucida visionarietà per poi traccheggiare a partire dal secondo dopoguerra senza una classe dirigente che la “progettasse” consapevolmente. Tanto che un altro sottotitolo possibile, fermo restando che quel metropoli incompiuta scelto dall’autore è centrato ed efficacissimo, avrebbe potuto essere “guida alle occasioni perdute di diventare davvero grandi”.
Merita un cenno a parte infine la scelta dell’autore di limitare l’analisi al 900 breve, anzi brevissimo, ovvero dal 1917 (data della prima convenzione per Porto Marghera) al 1993, prima Giunta Cacciari. Se la scelta della data di inizio è giustificata e condivisibile quella della data finale è piuttosto artificiosa. L’autore rivendica convintamente la sua impostazione perché dal 1993 la città è cambiata radicalmente (Calatrava, People Mover, il netto miglioramento urbano del centro di Mestre, la mostruosa progressione del turismo e gli impatti sulla residenza, la progressiva chiusura della chimica a Porto Marghera, il tram) entrando in un capitolo tutto nuovo della sua storia che meriterà eventualmente una trattazione specifica. Ha insomma voluto interrompere il suo viaggio in un momento in cui la città era molto meno infrastrutturata e paradossalmente molto più “in piedi” di quanto non lo sia oggi.
Scelta con una sua ratio, indubbiamente, ma resta una sensazione di innaturale interruzione, prova ne sia il fatto che Carlo è sovente costretto a dire “ma questo appartiene al 2000 lungo..” oppure “questo fenomeno è cominciato già nel 900 breve ma poi è continuato nel 2000 lungo” con esiti piuttosto fastidiosi.