L’unanimistallo
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29 Ottobre 2024Un urlo, una donna vittima di una rapina, lui che “non si volta dall’altra parte” e interviene, l’altro, il rapinatore che reagisce a quest’atto di coraggio e con una sola coltellata lo ferisce a morte. Ecco, la morte di Giacomo Gobbato, forse perché vicino a noi, forse perché impegnato socialmente e conosciuto da tutti, ci ha colpito profondamente perché davvero inconcepibile ma soprattutto perché ci spinge a riflettere sulla gratuità del male, sulla inutilità delle sofferenze, sull’assurdità del dolore! E la domanda sorge spontanea: Perché? Il male è parte della condizione umana? Certo che la risposta è affermativa, che ci piaccia o no. Nessuno si può chiamare fuori, nessuno è immune! E’ un problema ontologico. Che sia male fisico o male psicologico o male sociale o naturale! Ma quello che sconcerta ad ogni notizia di cronaca nera è la gratuità oltre che l’imperscrutabilità del male. L’elenco di morti assurde è quotidianamente aggiornato dai femminicidi, dal ragazzo che premedita l’uccisione della sua fidanzata e pianifica il suicidio, al diciassettenne che uccide la donna conosciuta in chat, all’uomo che uccide la sua compagna incinta di 7 mesi o quello che butta la tredicenne dal balcone o, l’ultimo, il diciannovenne che uccide la vicina di casa senza poi saper dare spiegazioni di ciò che ha fatto. O ancora la ragazza runner che viene uccisa perché qualcuno aveva una pulsione di morte incontrollabile e sceso in strada ha ucciso la prima creatura che ha incontrato. E ancora la donna che schiaccia ripetutamente e uccide con la sua auto il ragazzo che le aveva rubato la borsa o la ragazza che partorisce, uccide e seppellisce i suoi bambini. L’elenco è infinito. Sono eventi terribili che scuotono le coscienze e pongono domande eterne. Il rancore, l’odio, la violenza sono biologicamente costitutivi della condizione umana o l’uomo può fare qualcosa per salvarsi da se stesso?
Lo sconcerto, l’incredulità è quello che ci prende. Nello stato di natura, “l’uomo è lupo per l’uomo” (homo homini lupus) ma nella civiltà avrebbe dovuto liberarsi da questa condizione di male endemico e reciproco. E invece ne siamo sempre più attanagliati e ci sgomenta.
L’enigma del male è uno dei temi più complessi e profondi della riflessione umana, un quesito filosofico, teologico e morale che interroga da millenni pensatori, religiosi e uomini comuni. E forse nessuna chiave di lettura, che sia teologica, filosofica, sociologica, psicoanalitica o psichiatrica riesce a dare risposte esaustive o che possano dare conto di questo problema che affligge l’uomo nella sua condizione esistenziale. Cos’è il male? Da dove proviene? Esiste il male naturale che incombe sempre sugli uomini, quale la malattia, le epidemie, i disastri naturali come terremoti o tsunami ma esiste un male morale causato dalle azioni degli uomini. Se esiste un Dio onnipotente e benevolo, come può permettere che il male esista? L’esistenza del male contraddice la concezione tradizionale di un Dio buono e contemporaneamente onnipotente, onnisciente. Hans Jonas mette a nudo questa contraddizione. Se Dio è onnipotente dovrebbe essere in grado di eliminare il male. Se è buono, dovrebbe volerlo eliminare. Quindi delle due l’una: o è buono ma non è onnipotente e quindi non riesce ad eliminarlo, o è onnipotente ma non è buono e quindi consente il male! E quindi il male esiste, portando alla domanda: come può un Dio con queste caratteristiche permettere che esista il male? Il male morale, quello che gli uomini si infliggono reciprocamente, è una conseguenza della libertà umana. Dio ha creato l’uomo libero e tale libertà implica la possibilità di scegliere anche il male. Ed in Elie Wiesel il personaggio dice: “Dov’era Dio?” davanti ad un bambino appeso ad una forca! Laddove il male dei bambini è paradigmatico della condizione umana.
Ma la questione sfugge a qualsiasi spiegazione definitiva. Come se il male fosse un’entità autonoma, che opera indipendentemente dalla volontà umana o divina.
Phil Zimbardo ci sottolinea che la malvagità non sia appannaggio di individui abbietti o devianti ma che chiunque e in qualunque momento, purchè se ne creino le condizioni interiori o le situazioni esterne, possa infierire contro un altro essere umano. Il male è situazionale. Nessuno è totalmente virtuoso o altruista e neppure interamente disonesto o egoista. Siamo tutti un mix di caratteri discordanti ma che l’io collettivo, il super-io tiene a bada. Ribadisce Zimbardo che il più delle volte il male e la violenza estrema sono perpetrati da individui comuni considerati normali dai conoscenti ma che in circostanze straordinarie danno sfogo al loro dark side. Credo che ognuno di noi si ritenga normale, incapace di fare del male ad alcuno e compiere azioni crudeli, comprese le persone che hanno compiuto crimini orrendi e odiosi, almeno fino a che l’orrore si compie. Ma il sonno della ragione genera mostri, dice Goya. Condotte impulsive o irrazionali in momenti di offuscamento della ragione e della capacità di discernere nelle gerarchie di valori possono scatenare la parte più oscura di noi. Irrazionalità, abbassamento del controllo sulla ragione. Santi che si trasformano in demoni in pochi istanti, increduli, dopo, dinanzi a ciò che hanno commesso, incapaci di comprendere le ragioni del loro gesto. O spesso tentano di attribuire le colpe dell’accaduto alla loro vittima, come reazione immediata ad un torto presunto e come naturale colpevolizzazione e punizione.
Come è possibile che nella mente di una persona possa prorompere uno squilibrio tale da sovvertire le gerarchie di valori? La pulsione distruttiva, la destrudo freudiana, ci fa provare una attrazione nei confronti del male, una potenziale volontà di morte rivolta verso se stessi o verso gli altri che il più delle volte viene inibita e contenuta dall’etica pubblica, dai divieti e dagli obblighi interiorizzati lungo il percorso di crescita e che, costruendo il super-io, riescono ad impedire condotte disumane. L’improvviso abbassamento di tale strumento di contenimento delle pulsioni apre le porte a comportamenti lesivi e aggressivi verso l’altro.
Una filosofa come Hannah Arendt ha esplorato il concetto di “Banalità del male“, suggerendo che il male può, spesso, emergere non tanto dalla malvagità conclamata ma dalla mancanza di riflessione, dalla cieca obbedienza alle regole o dalla mancanza di empatia. Questo è evidente nei casi di genocidi e delle atrocità del XX secolo, dove il male è stato perpetrato non solo da individui eccezionalmente malvagi, ma anche da persone comuni che hanno eseguito ordini senza interrogarsi sulle loro implicazioni. Certo il male nella Shoah è davvero un unicum ma proprio questo ha indotto la Arendt ad elaborare il concetto di banalità del male. Ovviamente gli orrori di cui si sono macchiati indurrebbero a pensare che fossero dei veri mostri. Ma questa tesi fu confutata dalla Arendt che ha affermato che erano persone assolutamente normali, “terribilmente normali” che obbedivano all’autorità, abdicando al loro vecchio sé per accogliere il loro nuovo sé nazista con idee e valori che ribaltavano quelli normali e che imponeva conformismo e obbedienza cieca al capo, ossequio e dedizione totale al compito da eseguire. Assenza totale di pensiero autonomo, quindi, meri esecutori della volontà altrui. Il male diventa banale perché può essere compiuto da chiunque sia inserito all’interno di un sistema che lo spinge a spegnere il cervello in un momento e spinto da sentimenti che gli impediscono di accorgersi e di avere coscienza di ciò che stanno compiendo.
E cercare di spiegare non significa giustificare. Cercare di comprendere le ragioni di un gesto e il suo contesto non significa legittimarlo come logica conseguenza e reazione ad azioni che comunque restano riprovevoli, condannabili e abominevoli.
Un’altra delle risposte più comuni è quella del libero arbitrio affiancata all’idea della fragilità dell’essere umano dinanzi al peccato. Nella tradizione cristiana, Sant’Agostino sosteneva che il male non esiste di per sé ma è un’assenza o una privazione del bene (“privatio boni”). Dio ha creato tutto buono, ma il male emerge come una mancanza di perfezione nel creato, legato alla libertà umana. Il male, in questo senso, può essere intesa come una punizione o una conseguenza del peccato ma può anche avere una funzione redentiva.
Fëdor Dostoevskij esplora il male in tutte le sue sfaccettature: il male morale e il male che scaturisce dalla libertà umana. La libertà per Dostoevskij non è solo la capacità di scegliere il bene, ma anche quella di scegliere il male. È una delle condizioni essenziali dell’essere umano, ma anche una condanna. In “Delitto e castigo”, Raskol’nikov sceglie di commettere un omicidio ma, solo accettando la sofferenza e riconoscendo la propria colpa, può iniziare il processo di guarigione spirituale e redenzione. E ancora Nikolaj Stavrogin, diviso tra impulsi distruttivi e aspirazioni nobili, compie atti terribili. Indifferenza e vuoto morale incarnano la forma più estrema di male per Dostoevskij: un male che nasce dall’assenza di senso e dalla perdita di fede, mostrando come il nichilismo e l’ateismo portino alla disgregazione morale, alla violenza e al caos di valori. Ma Dostoevskij non lascia mai i suoi personaggi in uno stato di disperazione definitiva. In molti dei suoi romanzi, la possibilità di redenzione passa attraverso la sofferenza, l’accettazione del dolore, l’espiazione della colpa e la redenzione.
I suoi personaggi sono metafora dell’umanità intera, impastata di male e di bene, demoniaca e angelica insieme.
E, per tornare a Zimbardo, la banalità del male ha molto in comune con la banalità del bene, dell’eroismo.
Anche il bene è situazionale e ha un suo volto ordinario che può affiorare in certi istanti della vita in cui persone comuni in situazioni estreme e di emergenza esibiscono comportamenti estremi! “Anche l’eroismo non è solo dentro l’uomo ma nasce dall’occasione!” Deaglio scrisse La banalità del bene per descrivere quei Giusti che rischiarono la loro vita per salvare ebrei da deportazione e morte. “Entrambe le condizioni emergono in determinate situazioni svolgendo un ruolo che fa loro varcare la frontiera decisionale fra inerzia e azione.”
Ma allora, nella nostra normalità siamo tutti demoni potenziali o potenziali eroi? E’ ovviamente la libertà di scelta che può spingerci a trasformarci in un demone o in un angelo, in un mostro o in un eroe.
La strada per la salvezza è lunga e difficile. La via per marginalizzare il male è faticosa e dovrebbe passare per un cambiamento interiore di ognuno di noi ma soprattutto per un cambiamento di paradigma della cultura dominante.
Le soluzioni? Dostoevskij ci ha provato pur partendo da una visione nichilista: “Per rifare a nuovo il mondo bisogna che gli uomini stessi si immettano su una nuova strada. Finchè non sarai fratello di tutti la fratellanza non sorgerà”….Forza andiamo! Andiamo tenendoci per mano! Così sarà in eterno, tutta la vita per mano.” (I fratelli Karamazov).