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8 Marzo 2025Grazie al sempre meritorio Circolo Veneto, nell’ambito della Scuola di Formazione Politica, che quest’anno è dedicata a “Venezia 2.0: trasformare la periferia in opportunità”, il 14 febbraio u.s. è andato in scena l’incontro “Marghera, il Porto e l’alto Adriatico” introdotto e moderato dal nostro direttore Carlo Rubini. Un incontro denso, ricchissimo di spunti e molto concreto, ed è un merito che va riconosciuto agli organizzatori e ai relatori, che una volta tanto pone il focus sul cosa fare per costruire il futuro, più che fornire analisi e discussioni sul passato, spesso limitate a una esposizione di sterili rimpianti. Sono intervenuti, dopo un inquadramento del contesto geopolitico di Carlo, l’ing. Alessandro Santi che ha rappresentato le problematiche e le sfide del Porto e l’avv. Alessio Vianello che ha illustrato la sua visione di sviluppo di Porto Marghera.
Il messaggio di fondo della serata è stato che, in questa città, la prima ricetta per conservarne la vitalità socioeconomica è necessario puntare con decisione su attività produttive alternative al Leviatano dell’industria turistica. È un argomentazione che, anche nella nostra testata, abbiamo sostenuto in mille occasioni ma repetita iuvant perché troppo spesso si dibatte su questioni puntuali, certo importanti (il degrado, la criminalità, il calo demografico, il turismo soffocante) ma si tende a trascurare il problema di fondo, che in qualche modo sottende tutte le altre problematiche: lo sviluppo economico della città, che si traduce in attrattività della stessa, in nuovi abitanti, in maggiori risorse, in possibilità di rigenerazione urbana, in voglia di crederci, in questa martoriata città. Proprio quella dimostrata da Alessio Vianello, che ha in pratica illustrato il progetto di ridefinizione dell’area di Marghera contenuto nel libro “I Futuri di Venezia”, opera del think tank omonimo. che lo stesso Vianello ha concepito e presiede (di cui abbiamo più volte parlato) e contenute nella pubblicazione omonima. Ha ripreso la suggestione dell’antitesi tra città alfa e periferie (che costituisce peraltro il fil rouge della corrente stagione della Scuola di Politica) ricordando che le città alfa sono caratterizzate dalla presenza di:
1. multinazionali
2. università di eccellenza
3. un ecosistema di start up e di finanza che le sostiene
Parte di queste condizioni sono verificate (le università e le start up) altre no (il sistema finanziario) ma comunque il nostro territorio ha degli assets vincenti come una posizione geografica invidiabile, collegamenti portuali e aeroportuali primari, spazi enormi a disposizione (e il tema delle bonifiche è molto meno ostativo di quanto comunemente si ritiene). E soprattutto non siamo all’anno zero: già oggi, circa un terzo della forza lavoro impiegata (circa 11k persone) è impiegata in attività che possiamo definire di terziario innovativo (questo smentisce una narrazione falsa ma purtroppo largamente diffusa della Marghera industriale come una landa desolata e deserta). Ma è necessario avere una visione del futuro che si vuole costruire e imporre una precisa direzione di marcia. Alessio ha precisamente rappresentato la ricchissima gamma di suggestioni (ma suggestioni concrete, se mi si permette l’ossimoro) in tal senso, già peraltro raccontate nei molti incontri pubblici di presentazione de I Futuri di Venezia e sulle quali non mi soffermo.
L’ing. Santi, operatore portuale dalle molteplici attività e collaboratore saltuario, ma prezioso, di Luminosi Giorni, ha rappresentato le prospettive, i problemi di accesso, la coesistenza col MOSE (e con le sue prevedibili sempre più frequenti chiusure), le potenzialità, insomma ha offerto un’esauriente fotografia del presente del Porto. Non entro nel dettaglio di quanto esposto perché già più volte trattato (e pure questo peraltro esaustivamente trattato nel più volte citato I Futuri di Venezia) ma mi limito a distillare alcune preziose indicazioni e importanti precisazioni che spesso nel dibattito sfuggono o restano in qualche modo “sospese”.
L’impatto economico del Porto di Venezia. Va in parte rivista la narrazione diffusa che il Porto di Venezia è sovrastato dal vicino Porto di Trieste (che ha clamorosamente aumentato i traffici negli ultimi anni). Non è affatto così: vero che il Porto movimenta “solo” 24 milioni di tonnellate e il Porto di Trieste supera le 50 ma questo non è il parametro più significativo. Trieste infatti “fa volume” ma un’enorme percentuale delle merci sono petrolio, che viene pompato in oleodotto e morta lì, senza lasciare alcun valore aggiunto al territorio. Venezia, al contrario, per metà volume serve l’industria, alimentare e siderurgica soprattutto, e per metà il traffico commerciale. Questo si traduce in valore aggiunto (stimato in 6,6 miliardi) e posti di lavoro (21k occupati). Non l’ha esplicitato Santi ma lo aggiungo io: attenzione che la questione non è una banale questione di campanilismo e di sterile contrapposizione con Trieste. Ha un forte sottinteso di indirizzo politico perché il corollario implicito della presunta irrilevanza del Porto di Venezia è che la partita è persa e pertanto puntare sul Porto è una specie di accanimento terapeutico. Quindi (lettura molto cara a tutto un certo mondo ambientalista) si “lasci in pace” la Laguna e per il Porto una prece.
Gli impatti del MOSE sulle diverse tipologie di traffico. Le chiusure del MOSE sono un oggettivo impedimento, su questo non ci sono dubbi. Però NON è uguale per tutti. Ci sono traffici di lunga percorrenza, che durano molte settimane, in cui l’attesa in rada è relativamente accettabile. Non è così per i traffici commerciali (le crociere, i traghetti Ro-Ro. Per questi la puntualità dell’arrivo e della partenza è vincolante. Ed è dunque soprattutto per questi che va pensato uno scalo esterno al MOSE (l’ormai famoso porto offshore).
Porto offshore o porto d’altura? Santi ha molto insistito su questo aspetto. Perché porto di altura significa semplicemente un porto esterno alla barriera del MOSE, che quindi può essere collegato alla terraferma da un’infrastruttura ferroviaria o stradale, mentre il porto offshore è un’isola in mezzo al mare (che dovrebbe parimenti essere collegata a terra con una struttura fissa, ponte o tunnel, pena la perdita di competitività). Santi dimostra una netta preferenza per questa seconda opzione, per evidenti motivi di fattibilità e costi (fermo restando che resta il significativo problema di dove posizionarlo).
Fattibilità finanziaria. Qualsiasi sia la soluzione adottata, è evidente che si parla di un investimento colossale. Il cui finanziamento difficilmente sarà garantito dal pubblico. Si pone dunque il problema di una realizzazione, almeno in parte, in project financing. Sulla sostenibilità di una tale ipotesi, l’ing. Santi è stato piuttosto ottimista purché il mix di attività da localizzare nel porto d’altura sia adeguato: appunto crociere, Ro-Ro e traffico container. Un elemento di chiarezza molto importante.
Il processo decisionale. La previsione di un concorso di idee, indetto dal DL 45/2021, attualmente in corso, è assolutamente inidonea. Perché è uno strumento adatto per un parco pubblico o il restyling di una piazza ma non per un’infrastruttura industriale. Ma soprattutto: si limita a identificare il progetto sulla carta ma non affronta poi il tema della loro realizzazione, che realisticamente richiederà anni. In contesti di questo tipo, lo strumento corretto è quello adottato, per esempio, per la diga foranea di Genova (che ha la stessa ratio del porto di altura per Venezia) – peraltro lo stesso adottato per il ponte Morandi – dove si è fatto un bando, rispettando le regole di pubblicità e apertura alla concorrenza, si sono assegnati e finanziati i lavori. Dando così agli armatori certezze sulle prospettive concrete utili per valutazioni di investimento sul porto di Venezia. Venezia ha lo stesso diritto di Genova di ottenere un processo certo, rapido e finanziato almeno in parte.
Una serata preziosa, dunque, da cui è emerso una volta di più che lo sviluppo economico che può essere garantito dal Porto e dalla rigenerazione urbana e industriale di Marghera ha la potenzialità per ospitare attività di pregio, che creano posti di lavoro di alta specializzazione (e quindi ben remunerati), attirano giovani e inseriscono la nostra città in network virtuoso di scambi, ricerca, coinvolgendo imprese innovative e multinazionali. È dunque economicamente molto più pregiato dell’economia turistica, che produce sì posti di lavoro, ma per lo più poveri, in larga parte di manovalanza, certo non attrattivi per giovani e soprattutto incompatibili con il vivere in una città comunque costosa come Venezia (segnatamente il centro storico).