ANIMALS La gatta di Montaigne
28 Luglio 2024Una, nessuna, centomila idee della nuova Commissione UE
28 Luglio 2024Prima di tutto stabiliamo alcune fondamentali regole d’ingaggio: se si desiderano esprimere opinioni di merito (peraltro legittime se informate) sulle singole soluzioni progettuali adottate, dall’ utilizzo dell’angolo retto sino alla scelta degli stilemi architettonici, ci troviamo al bar quando volete. Quattro chiacchiere tra amici si fanno sempre volentieri e, soprattutto, ne usciremo sempre tutti vincitori.
Qui, a me pare molto più interessante valutare alcuni aspetti del dibattito che la recente presentazione del progetto ha generato.
Dopo più di 15 anni di attesa, quindi, pare sia la volta buona: l’ anonima e polverosa spianata dell’ ex-ospedale Umberto I dovrebbe finalmente riacquistare la sua nuova forma e centralità nel contesto urbano della città.
Per chi volesse avere alcuni cenni storici di quello che è stato per oltre un secolo il punto di riferimento sanitario di tutta la terraferma veneziana e non solo, rimando all’ articolo di Discovery Mestre basato sul libro di Sergio Barizza – “Storia di Mestre. La prima età della città contemporanea” (Il Poligrafo).
Certo è che, mentre di quell’ ospedale rimarrà certamente traccia fisica nei suoi padiglioni storici, che rimarranno tra l’altro di proprietà pubblica, del Castelvecchio quale struttura militare se ne potrà solo raccontare la lontanissima storia. Una storia iniziata con la sua costruzione nell’ XI secolo da parte dei vescovi di Treviso, che lo vide per secoli oggetto di contesa sino alla sua definitiva conquista da parte della Serenissima nel 1337. (Fonte Veneto Storia)
In ogni caso, “Castelvecchio” ha anche una sua contemporanea valenza di marketing…
Dovesse essere realizzato, il progetto sanerebbe finalmente un vuoto fisico-architettonico e urbanistico che pesa da troppi anni sulla riorganizzazione e sviluppo della città di terraferma.
Un vuoto sul quale, per adesso, sventola ancora il vessillo dell’ennesima incompiuta, al pari di quelle già celeberrime, come la Posta di Piazza Barche (ex-Zanessi), l’ex-Emeroteca, l’ edificio ex-Poste della stazione, del Centro Leonardo in via dell’ Elettricità o gli edifici di via Sansovino. Incompiute che spesso hanno pesato sulla qualità di vita di intere generazioni.
Decenni di artificiose “riflessioni” sul da farsi, o disfarsi, utilizzate cinicamente a seconda della geografia politica di riferimento.
Ora…che il “portato architettonico del progetto” – come direbbe il mio caro professore di Storia dell’Architettura, Amerigo Restucci – sia chiaro e leggibile è fuori discussione.
Piaccia o non piaccia, quegli stilemi esistono e sono già noti. Sappiamo perfettamente che quelle piante in terrazza ammiccano alla magica parola à la page del nostro tempo: “sostenibilità”.
(Eh beh…vorrai mica che rinunciamo ad avere un pezzetto di architettura “alla moda” anche qui no?!).
Tuttavia, la mediocrità di contenuti innovativi, nulla a che fare col singolo committente o progettista: questo approccio è una questione culturale che affligge tutto il Paese. Della sua classe dirigente, di quella politica, di quella imprenditoriale e dei corpi intermedi.
Solo per dare un dato di contesto, nel Global Innosystem Index 2024 elaborato dallo Studio Ambrosetti, l’Italia “giace” al 24° posto. Francamente disarmante.
Se poi si considera che proprio la Repubblica della Serenissima è stata nella storia esempio di innovazione a tutto tondo e che Porto Marghera è stato, fin dalla sua nascita, una fucina di idee e tecnologie innovative, l’arretramento culturale verificatosi nella nostra comunità è incontestabile.
Per quale motivo, allora, un committente dovrebbe andarsi a cacciare in un’ avventura imprenditoriale che presenta rischi e investimenti prevedibilmente crescenti, quando una classe dirigente locale e la cittadinanza tutta non premono in tal senso?
Paradossalmente, l’iconico parallelepipedo grigio costruito da Coin agli inizi degli anni ’60 era di gran lunga più temerario nella sua diversità.
E invece niente, da un lato per uno dei padiglioni recuperati si butta lì un’ idea tipo “Museo del giocattolo” di novecentesca memoria…, mentre nella stucchevole liturgia dell’“opposizione” si rivendica l’esigenza di un ulteriore periodo di riflessione (dopo 15 anni di attesa!), la mancanza di visione della città che, peraltro, si è amministrata per decenni e, UDITE-UDITE, si contesta la scelta dell’ imprenditore che avrebbe in animo di voler costruire una “cittadella per ricchi”, dimostrando la totale insipienza sulle dinamiche del mercato immobiliare e sul fatto che ci sono più di 2000 alloggi in mano pubblica che giacciono inutilizzati e molti non manutenuti.
Ma l’aspetto che fa rabbrividire ancor di più è vedere una politica che si azzuffa ideologicamente su aspetti marginali del progetto, ma rimane incurante dei trend in atto, per esempio nel commercio, che nel solo 2023 segna un +13% di vendite B2C sulle piattaforme di e-commerce (Fonte Osservatori.net). Trend che porterà ad un cambiamento epocale delle destinazioni d’uso dei piani terra.
Così come la crescente digitilazzazione dei servizi ridurrà drasticamente il cosiddetto “direzionale”.
Senza dimenticare che una città smart prevede una progettazione sempre più verticalmente, entro e fuori terra, per favorire la riduzione delle superfici pavimentate e l’ efficienza energetica.
E , in una città disorganizzata, ormai anziana e fatiscente, il problema della rigenerazione urbana in una prospettiva di costante calo demografico: la popolazione residente calare fino a 54,8 milioni nel 2050 e 46,1 milioni nel 2080, con un’età media che si si aggirerà attorno ai 51 anni. (Fonte ISTAT)
Ed è questo che dal progetto Castelvecchio emerge: la rilevante irrilevanza della politica, di questa politica.