MIGRAZIONI, NON EMERGENZA MA FENOMENO STRUTTURALE
19 Febbraio 2024CONO DI LUCE Camminare per guarire, con Sylvain Tesson.
19 Febbraio 2024Il Veneto si trova in una condizione strutturale contraddittoria, per non dire schizofrenica. Da una parte socialmente ed economicamente ormai da mezzo secolo ha elevato fino ai massimi nazionali il suo tenore produttivo, e di conseguenza di reddito e di benessere, collocandosi in alcuni momenti, anche se non più ora, ai massimi europei. Dall’altra lo ha fatto con un processo anarchico, individualista a volte minimalista, che ha prodotto da una parte un consumo di suolo inimmaginabile, e spreco di risorse, dall’atra una insufficiente qualificazione delle imprese e del lavoro a tuti i livelli, e grande dispersione di opportunità. Con a cascata altre conseguenze, indotte, come la marginalità costante a livello politico nazionale ed europeo. Una provincialità politica permanente. E la ragione di fondo non manca.
Lo dicono tutti gli osservatori da anni: per competere a livello globale ed europeo è necessario avere poli urbani competitivi che abbiano un peso specifico elevato e densità di relazioni interne. Nel Veneto e nel nordest in generale mancano condizioni urbane e territoriali strutturate con questo peso. Infatti, per ripristinare una gerarchia urbana nella regione, i poli urbani singoli risultano per tante ragioni inadeguati e organizzati su sé stessi e mai e poi mai arriveranno da soli ad acquisire una scala maggiore e decisiva.
Allora è necessario che una nuova classe politica coraggiosa riprenda in considerazione il progetto di creare una vera grande città metropolitana tripolare, quella tra Venezia, Padova e Treviso, tanto declamata, ma rimasta di fatto nei cassetti. È vero: fare di un’area frammentata e dispersa una metropoli organica è un’impresa da far tremar le vene ai polsi. Ma bisogna provarci. Ci vogliono risorse e tante, ma anche una decisa e ferma volontà politica. Che fa sempre la differenza in negativo e in positivo.
La Patreve per diventare una metropoli vera di due milioni di abitanti necessita di interventi a tutti i livelli molto complessi e da integrare tra loro, e non solo a livello urbanistico e territoriale. Anche se tale livello è comunque il principale. Ed è fatto di una molteplicità di interventi. Tra questi, tuttavia, ce ne sono alcuni con una particolare priorità.
Indicherò, tra tutti, un ambito che a parer mio può giocare un ruolo guida decisivo, ben inteso insieme agli altri interventi.
Venezia e di conseguenza Mestre sono legate a Padova e Treviso da due aste di eccezionale valore paesaggistico e architettonico come la Riviera del Brenta e il Terraglio. Qualcosa di più di semplici strade, ma delle spesse fasce territoriali rispettivamente di 30 e 20 chilometri, oggi semi urbane, dove comunque, al netto dei comuni di Venezia, Padova e Treviso, risiedono, secondo la somma dei dati sui residenti ad oggi, nel primo caso quasi 100.000 abitanti (Mira, Dolo, Fiesso, Strà) e nel secondo più di 50.000 (Mogliano e Preganziol). Non sono tutta la Patreve, perchè in essa ci sono anche i popolosi assi del noalese del miranese e della castellana, ma ne possono costituire un magnete attrattivo in tutti i sensi. E per questo decisivo.
Per inserire tali fasce in un grande contesto di ricucitura territoriale, il processo, più che di ri-generazione urbana dovrebbe essere di ri-qualificazione urbana. Non c’è infatti nulla o quasi di dismesso da riusare, c’è molto da riqualificare con azioni mirate. Le Ville Venete che sorgono in entrambe le strade sono di per sé un patrimonio di grandissimo valore storico culturale, oltre che simbolico. Importante e decisivo è che posseggano tutte una funzione di fruizione pubblica, anche laddove, come frequentemente, siano private. La stessa fruizione di tipo monumentale artistico da offrire ai visitatori e al turismo colto va in questa direzione. L’importante che ognuna abbia una sua funzionalità, anche legata ai servizi, alle aggregazioni sociali, all’uso culturale. Ciò che conta è che non risultino vuote e chiuse e laddove si trovino in questa condizione l’azione politica dovrebbe spingere verso una riapertura, se necessario dopo un restauro, e ad un utilizzo pubblico, o anche pubblico.
Tutto ciò però è solo la base minima, necessaria ma non sufficiente. L’azione più importante è la riqualificazione delle due strade stesse, senza la quale il solo patrimonio di ville risulta molto meno fruibile. L’utilizzo di queste due antiche vie è stato fin dall’inizio della motorizzazione quello di accogliere sul loro sedime due tra le più trafficate strade Statali del secolo scorso, la “Padana Superiore” n.11″ e la “Pontebbana” n.13. E ricordiamoci che tali strade statali nelle epoche pre-autostradali svolgevano la funzione delle autostrade attuali, pur con carichi ben diversi. Non per caso addosso a queste strade sono sorte una miriade di funzioni microproduttive e di servizi che hanno dato loro quella sgradevole e caotica immagine suburbana che ancora posseggono.
Ancor oggi, per questa ragione, tali strade mantengono una invivibile condizione di attraversamento automobilistico e camionale che le rendono assolutamente infruibili da qualsiasi punto di vista. Anche nei centri cittadini dei singoli comuni. Se si vuole veramente farne pezzi centrali della Patreve devono assolutamente essere riclassificate come strade a traffico limitato e interno per diventare delle elegantissime vie di passeggio e di mobilità lenta. Soprattutto la Riviera del Brenta che, in più rispetto al Terraglio, ha una via d’acqua parallela, il Naviglio Brenta, di enorme valore paesaggistico, oggi poco o niente valorizzata proprio perché a fianco, sulle rive e sulle vecchie alzaie, è devastata dalla presenza della strada statale con moltissimi mezzi pesanti in transito.
Mi rendo conto che le autostrade per Padova e per Treviso sono troppo distanti per costituire un’alternativa al traffico di attraversamento anche locale. Allora si studino soluzioni con strade parallele più vicine già esistenti, meno impattanti. E se proprio ciò non è possibile le arterie parallele e sufficientemente vicine bisogna crearle. Una volta tanto un consumo di suolo, qual è indubitabilmente una strada nuova, sarà il prezzo per una restituzione ambientale con gli interessi.
Lungo questi assi stradali un gioco decisivo lo potrà svolgere inoltre un rinnovato trasporto metropolitano con due velocità. Quello diretto e veloce tra i centri storici di riferimento Venezia/Mestre, Padova e Treviso, se si vuole veramente che i tre centri siano integrati nella quotidianità della mobilità, per tutte le ragioni, lavorative, sociali e ricreative culturali. E quello a raggio più corto del rapporto tra i numerosi centri delle due strade. In entrambi i casi la rete ferroviaria esistente, potenziata da più binari, è ancora in grado di sostenere un progetto di trasportistica pubblica anche del tipo “a tappe intermedie”, affiancata da una rete diffusa per la mobilità leggera e pedonale in grado di riorganizzare la città a “quindici minuti” (il che vuol dire un mosaico di poli servizi di base aventi ognuno un raggio massimo di un chilometro e mezzo circa, il che nella città diffusa della Patreve è uno dei pochi punti di forza già esistenti proprio per la policentricità). E anche nel caso del servizio pubblico metropolitano si tratta di volontà politica. Quella che è fino ad ora mancata alla classe politica regionale al governo da decenni. Che proprio sul terreno del trasporto metropolitano, sbandierato più volte e mai attuato, ha palesato il più clamoroso flop della sua gestione. Da non perseverare, se si crede realmente ad un rilancio in grande stile della regione e della, per ora solo potenziale, sua capitale d’area vasta.
Resta infine da ripensare la cucitura urbana tra i centri dei comuni interni delle due strade, laddove si manifestano tra di loro discontinuità nell’edificato e negli insediamenti, che costituiscono un oggettivo impedimento alla percezione unitaria di una città. Per definizione una città unica non ha soluzioni di continuità urbana al suo interno. Lotti agricoli invasivi che si frammezzano ai volumi edificati annullano lo sforzo di una costituzione unitaria. Ora non è pensabile, né opportuno che i vuoti costituiti dall’agricoltura vengano riempiti da edificazione, del resto non necessaria, almeno a livello residenziale, in tempi di contrazione demografica e in considerazione dei molti edifici vuoti. I numeri di abitanti che ho ricordato all’inizio per le due strade rimarranno tali a lungo. Si offre invece un’opportunità unica di riempire i vuoti agricoli restituendo alle superfici di suolo una vegetazione arborea. L’effetto città, la continuità urbana e una nuova densità urbana vanno costituiti, si, mettendo mano ai vasti lotti agricoli interclusi, ma sostituendoli progressivamente con presenze naturali vegetative negli stessi suoli. L’agricoltura, dove ciò è possibile, andrebbe perciò sostituita semplicemente ricreando le condizioni per lo sviluppo e la crescita di quelle presenze arboree sacrificate da secoli agli spazi agricoli, ripristinando quella loro integrale naturalità in pianura che nel passato esisteva sotto forma di foresta planiziale. E’ ciò che già sono i parchi delle Ville, tuttavia lembi e lacerti troopo ristretti, da integrare con una piantumazione assai più vasta.
L’esempio concreto di ciò che s’intende si ha con ciò che già è stato fatto nel Comune di Venezia a partire dagli anni ’90 del secolo scorso con la costituzione del Bosco di Mestre, attraverso un rimboschimento di suoli precedentemente agricoli nell’area di nordest del Comune, un’azione che ha perseguito e realizzato in pieno la naturalità degli antichi boschi. Lo stesso modello può essere applicato sostituendo con riforestazione una buona parte dei suoli agricoli interni agli assi Riviera e Terraglio. Pensando all’obiettivo della continuità urbana da cui si era partiti, si potrebbe obiettare che una foresta o un bosco aumentano e non diminuiscono il senso della discontinuità urbana all’interno dell’area rispetto alle aree agricole. A ben vedere tuttavia è vero esattamente il contrario. In questo contesto il bosco/foresta, oltre a manifestare indubbie qualità migliorative sul piano salutistico, svolge, potenziata, quella funzione di area ricreativa e del tempo libero che le aree metropolitane più avanzate e mature posseggono da tempo. Da questo punto di vista creano continuità in quanto luogo di confluenza di persone e di connessione tra luoghi urbani. Qualcosa di un po’ diverso dal parco urbano, che in alcune condizioni si può pure attuare. Il bosco/foresta tuttavia sul lungo periodo diventa un moltiplicatore di effetti positivi. Diventa un elemento urbano a tutti gli effetti con alcune evidenti ricadute positive per la già citata vita ricreativa, ma anche del tempo libero e in definitiva per la stessa identità civica. L’area forestata è permeabile da parte della cittadinanza residente perché, a differenza di un lotto agricolo, spesso totalmente occluso agli accessi per chilometri e chilometri, è una superficie aperta e transitabile, con evidenti benefici nella connessione urbana, altro elemento importante nell’ ‘effetto città’.
Inoltre, il bosco/foresta sta diventando fondamentale all’interno di una strategia di riqualificazione ambientale a 360° soprattutto nelle aree a forte presenza antropica. Costituisce infatti un habitat rifugio per la flora e la fauna, è fondamentale nella conservazione della biodiversità e del suolo, nella protezione dalle inondazioni, nell’assorbimento di carbonio, nel miglioramento della qualità dell’aria, nella qualità e nella disponibilità di acqua di falda e superficiale. Infine, e all’interno della strategia questo è l’elemento prioritario, è decisivo nel contrasto al riscaldamento climatico. I boschi/foresta costituiscono infatti, soprattutto se estesi, un elemento di riduzione dell’isola di calore in aree già fortemente riscaldanti come gli insediamenti urbani e industriali, una riduzione molto probabilmente maggiore di una pari superficie destinata all’agricoltura intensiva di seminativi. Senza contare poi gli effetti indiretti. Come la riduzione dei costi di energia per il rinfrescamento dell’aria, ottenuto per effetto dell’assorbimento della radiazione solare e della produzione di ombra da parte degli alberi, persino l’incremento del valore di acquisto delle proprietà immobiliari, le migliori condizioni di salute per i cittadini, che si traducono in una diminuzione della spesa sanitaria e sociale. Va da sè che l’idea del rimboschimento virtuoso nei vuoti urbani va estesa all’intera area patrevina, anche se i due assi da cui ha preso avvio il discorso costituiscono quelli di maggior pregio e peso specifico, per la loro storia e cultura, per la coscienza identitaria, per il rilievo demografico, e per l’essere diretti nella relazione tra i tre poli urbani generativi.
La direzione dovrebbe essere questa e la continuità urbana tra Padova e Venezia/Mestre e tra questa e Treviso sarebbe garantita definitivamente attraverso il completamento verde.
Il patrimonio architettonico, le due strade e le vie d’acqua da riqualificare, il rilancio dei trasporti metropolitani, le nuove aree boscate costituiscono così un mosaico. Per ora solo sulla carta, ma con le strutture già presenti. Si tratta di rendere vivo e attuale il mosaico.