La tragedia di un uomo ridicolo
29 Aprile 2018O famo strano?
6 Maggio 2018Se questi sono gli anni dell’America first, dello stile tronfio, dell’arroganza tradotta in primo luogo nei comportamenti politici (peraltro non solo negli Usa) forse non sorprende che una delle Università più importanti degli Usa abbia deciso di inaugurare un nuovo corso di studi dedicato alla felicità.
La cosa, pur non sorprendendo, del resto questo tema negli Stati Uniti è declinato persino nella dichiarazione di indipendenza, desta tuttavia non poca curiosità alla luce delle modalità con cui il corso viene avviato e dell’epoca stessa in cui si inserisce un simile insegnamento.
Venendo al corso, il titolo preciso è Psychology and good life, ad oggi gli iscritti al corso sono già più di 1500. L’obiettivo del corso è quello di mescolare la psicologia con una serie di indicazioni volte ad aiutare gli studenti a vivere meglio e soprattutto più felicemente.
Sullo sfondo del corso, tenuto dalla professoressa Laurie Santos che tra le altre cose è una psicologa nonché dirigente di un college residenziale della celebre università, si intravedono sia le auree e salvifiche ricette per la realizzazione del classico sogno americano, ma anche qualcosa di più profondo e a parere di chi scrive anche più preoccupante.
In altre parole da un centro di studi che ha sempre fatto del merito è del sacrificio per essere ammessi una delle sue caratteristiche più note, inizia a soffiare un vento opposto, teso a spingere l’idea che non è possibile attendere troppo per ottenere gratificazioni e che anzi, è meglio investire il più possibile nelle relazioni e nel benessere immediato più che attendere i frutti che l’etica del lavoro in chiave protestante possono generare.
Un simile messaggio, potrebbe avere una portata dirompente e, se dovesse consolidarsi, metterebbe in luce quella crisi di ideali che, sarà anche banale dire, la vittoria di Trump negli Usa e, si parva licet, anche il successo del movimento cinque stelle in Italia denotano.
In pratica, in misure diverse e con le dovute proporzioni e con tutte le cautele del caso, si sta dicendo con questo corso e con altri messaggi politici, gli ascensori sociali non funzionano più come un tempo, nemmeno certe università sono più in grado di garantirli, il lavoro e l’impegno non contano, molto meglio allora insegnare sotto varie e non definite accezioni la gioia di vivere anche a coloro che da Pechino giungono a Yale per apprendere i segreti del successo americano per poi applicarlo in patria e che forse rimarranno scettici su questi insegnamenti.
Se questo è il nuovo, e se questo vento dovesse arrivare anche in Europa, in Italia purtroppo già qualcuno alle recenti elezioni ha provato a farsi spingere dai refoli di questa crisi di ideali, allora ben venga l’eventuale introduzione di dazi da imporre a questo insensato vento della felicità a costo zero.
Semmai, se il successo materiale quando è fine a se stesso genera oltre che vacuità anche veri e propri mostri come talune diseguaglianze simboleggiano (l’1% più ricco della popolazione mondiale detiene più ricchezza del restante 99%) non è con il mero richiamo alla felicità che si fronteggiano queste derive ma piuttosto con programmi e con impegno concreto.
Ad esempio i numeri sui clochard in Europa sono da allarme rosso.
Secondo la federazione europea che raggruppa più di 130 organizzazioni nazionali che lavorano con i senzatetto, sebbene non sia semplice paragonare tutti i dati, in una notte nella sola Unione Europea secondo la stima potrebbero esserci più di 400mila persone senza un tetto e senza una casa.
La tendenza continua ad essere negativa e la crisi del 2008 ha contribuito non poco a questa situazione anche in virtù dell’aumento degli sfratti.
Nel solo centro Caritas di Roma Termini, tanto per stare all’Italia, ad esempio, vengono offerti 500 pasti al giorno e 300 posti letto.
Non è quindi un caso che l’Unione Europea nella strategia c.d. 2020 si sia impegnata per il raggiungimento dell’obiettivo di togliere 20 milioni di persone dalla povertà e lo stesso Presidente della Commissione Juncker, abbia promesso fin dall’inizio del suo mandato maggior equità sociale.
Esempi come il COPE, il progetto co-finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del settimo Programma Quadro, si collocano nel campo dei progetti che tendono a favorire la co-produzione di misure di contrasto all’esclusione sociale e organizzino a livello sistemico la lotta alla povertà.
Da molti studi e dalle analisi condotte a livello europeo emerge proprio che la disoccupazione sia una delle cause principali della povertà.
Il raggiungimento entro il 2020 dell’obiettivo del tasso di occupazione del 75% di occupazione per uomini e donne rappresenterebbe il più grande contributo all’obiettivo di riduzione più generale della povertà tenuto poi conto che senza stimoli economici non ci sono stimoli sociali e, forse, anche un modo più concreto ed europeo di riempire quei vuoti ideali che altri pretendono di riempire con le sirene della vana felicità o di una utopistica decrescita felice in assenza di lavoro.
La creazione di lavoro e l’attenzione alla solidarietà sono le uniche vie maestre per tentare rimettere in sesto il complicato assetto economico e sociale; insegnare astrattamente la felicità e inseguire disegni politici che disincentivano il lavoro e la sua ricerca, rappresentano solo scorciatoie e cattivi insegnamenti.
Fortunatamente l’Europa sta faticosamente cercando di imboccare le prime vie.