Extra omnes ?
3 Luglio 2016COSTUME E MALCOSTUME. Un ospedale nel Profondo Sud: amarezza d’un paziente impaziente
15 Luglio 2016Ho seguito su CNN il question time di Cameron alla Camera dei Comuni dopo la recente Brexit. Impressionante la greve preoccupazione che aleggiava nell’aula. Tutti i parlamentari apparivano terrorizzati dalle prospettive della Brexit ed era tutto un florilegio di “negotiate the best conditions”, di “till we apply for art. 50 we are a full member of EU”, “UK is not turning its back on Europe”… e così via.
Mi sono chiesto quale potrebbe essere la reazione a questo spettacolo da parte di un appassionato della cosiddetta democrazia diretta o partecipata (consultazioni popolari ad ogni occasione, senza quorum, sul modello svizzero) e di uno della democrazia rappresentativa. Paradossalmente entrambi, pur avendo punti di vista opposti, avrebbero trovato conferma delle loro convinzioni. Il primo avrebbe osservato che è la dimostrazione della distanza dei governanti dal sentire del popolo (o meglio: dall’opinione prevalente di questo) e ne avrebbe dedotto la necessità di una frequente consultazione popolare. Il secondo avrebbe avuto conferma dei guai che si possono combinare affidando al popolo decisioni su argomenti con implicazioni troppo complesse. Insomma, vexata quaestio, già peraltro affrontata molto tempo fa http://www.luminosigiorni.it/2012/02/democrazia-diretta/. Cerchiamo di approfondire.
Partiamo da alcune premesse direi incontestabili: 1) la realtà che ci circonda è complessa; 2) la maggior parte degli individui non ha il tempo e/o la voglia e/o la capacità intellettuale e/o la tecnicalità per fare i conti con tale complessità; 3) la democrazia è come noto un pessimo sistema ma non ne abbiamo inventati di migliori…
La democrazia rappresentativa si fonda sulla delega a certe persone, ai politici, della responsabilità di prendere decisioni avendone il mandato morale a farlo al meglio delle loro capacità, con tempo e mezzi per rivolgersi ad tecnici ed esperti per avere una visione completa di ciascuna questione e poter decidere al meglio. Poiché siamo in democrazia, questi politici sono scelti dal popolo (e mediamente auspicano di rimanere in questa situazione) e per essere scelti sono tenuti a spiegare le motivazioni ed a convincere della bontà delle loro decisioni, se al governo, o quello che farebbero se aspirano ad arrivarvi. Fin qui tutto bene. I politici di professione fanno un programma e lo sottopongono agli elettori e sono valutati sulla base di quello che promettono (e di quanto lo mantengono). In un sistema sano, si può dunque pensare che i politici siano una specie di élite (un po’ come i filosofi nella città ideale di Platone) che indica la strada, che ha una visione di lungo periodo, che ha una prospettiva privilegiata da cui prendere decisioni.
Il problema, e la fortuna insieme, è però che sempre di più la gente (termine abusato ma non me ne vengono altri), vuoi perché il momento è difficile per tutti, vuoi per la facilità di proselitismo e comunicazione garantita dai social e la maggiore capacità di informarsi data dalle Rete, vuoi infine perché di questi politici illuminati non se ne vedono molti giro, tende sempre più a voler dire la sua in merito un po’ a tutto. Fenomeno di per sé positivo senonché il cittadino medio tende a pretendere soluzioni semplici. Ma semplificare problemi complessi oltre un certo limite sconfina nell’inganno. E, inganno per inganno, una volta infranto il tabù di una ragionevole aderenza alla realtà, il passo è breve per passare a propinare scientemente balle a profusione. Si pensi solo a quanti elettori britannici hanno votato si alla Brexit credendo alla clamorosa panzana dei 350 milioni di sterline che ogni settimana il Regno Unito versava alla UE. Il problema è dunque che purtroppo le risposte semplici, proprio perché più comprensibili, sono sovente sì quelle più gradite ma non sono quelle giuste.
Dal conflitto tra la voglia di partecipazione e quindi di semplificazione e la sempre maggiore complessità delle questioni in ballo ha origine la crescente tendenza della classe politica di delegare al “popolo” le decisioni scottanti. E questo fenomeno si attua da un lato con la proliferazione dei referendum (non sappiamo che fare? Oppure lo sappiamo ma sarebbe impopolare? Lasciamo che siano “loro” a decidere e che poi non si lamentino), dall’altro con il crescente successo di movimenti e partiti correttamente definiti populisti che cavalcano l’onda dal basso, che raccolgono pulsioni sovente irrazionali e di pancia ma di facile comprensione proprio perché indicano soluzioni semplici a problemi complessi. In un modo o nell’altro, si attua in qualche modo un’inversione nella ratio alla base della democrazia partecipativa: non più il politico che indica la strada al popolo ma quest’ultimo che la indica ai politici. Insomma, siamo al vox populi vox dei. Altro che repubblica platonica, le anime concupiscibile e quella irascibile hanno il sopravvento su quella razionale e l’auriga vaga in balia dei due cavalli imbizzarriti.
Da dove nasce questa mancanza di presa della politica tradizionale (chiamiamola così per brevità)? Carlo Rubini nel suo ultimo acuto editoriale la individua nella inefficienza delle moderne democrazie, ingessate da regole spesso astruse. Nel Gazzettino del 6 luglio Sebastiano Maffettone (“Brexit e la crisi dell’autorevolezza in Occidente”) propone una suggestiva teoria per la quale siamo di fronte ad un momento storico di “frattura dell’episteme” ovvero un radicale mutamento del nostro atteggiamento nell’affidarsi (e fidarsi) a terzi. Complice il web, che da l’illusione di poter essere esperti di tutto, complici le pessime prove che certi esperti hanno dato in passato, il parere non solo del politico ma anche dello studioso, del giornalista competente, del professore, è sempre meno autorevole e incontra sempre più diffidenza. È, attenzione, una mutazione di costume, quindi non limitata alla politica. Basti pensare allo spazio dato in TV a guitti megalomani e aggressivi, abili però nella spettacolarizzazione delle loro strampalate opinioni.
Io continuo a sperare che l’auriga riprenda in mano le briglie…