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2 Dicembre 2024
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2 Dicembre 2024Quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo sulle aspettative dei turisti a Venezia, la prima domanda che mi sono posta è stata: che cosa spinge ogni anno milioni di persone a venire a Venezia?
Di solito, di turismo si discute con i numeri alla mano: visitatori, addetti, ricavi, indotto.
Eppure, prima di essere un’industria, il turismo è una macchina complessa che gioca con i desideri e l’immaginario delle persone. Un immaginario che, fino a metà del secolo scorso, si nutriva di letteratura – Byron, Wagner, James, Proust, Mann – e di arte – Tiziano, Tintoretto, Tiepolo, Turner.
Si scopriva la città nei libri, a teatro, nei racconti di chi aveva avuto la fortuna di visitarla.
Venezia abitava ai confini con il mito. Le parole e le poche immagini ne evocavano la magia senza però darle una vera forma.
Dagli anni Cinquanta del secolo scorso lo sviluppo del marketing e della pubblicità ha insegnato all’industria del turismo a indurre e a guidare i desideri delle persone. Le prime riviste illustrate con foto della Laguna e i film di Hollywood hanno reso quel miraggio sempre più vicino.
Oggi, Venezia si moltiplica attraverso i media con tramonti mozzafiato, tuffi in laguna, piedi lasciati pigramente a penzoloni in un canale, finestrati esotici o aperitivi color carminio, palazzi che sembrano emergere dall’acqua e, immancabili, le gondole.
Questa immensa quantità di immagini contribuisce a formare i desideri di molti viaggiatori. Non sono più le suggestioni impalpabili che evocavano la città di cui ognuno faceva un’esperienza personale; al contrario, le foto sono precise nei dettagli e danno corpo a una bellezza che si vuole ritrovare così come viene proposta per condividere il fatto che si è stati qui. La condivisione di esperienze simili sui social è un rituale che rafforza il senso di appartenenza a una comunità.
Alle foto dei viaggiatori pubblicate sui social e nei blog si sommano le promesse dell’industria turistica dell’esperienza “unica” di solito basata su giri in gondola o in motoscafo e l’enogastronomia.
Turismo di giornata
Tutta questa bellezza, però, si consuma in fretta, anche in un giorno solo: si attraversano un paio di calli strette, si fa qualche foto a San Marco, un giro dei canali, una pausa in un “bacaro” e l’esperienza della città è completa.
Complice di questa semplificazione della ricezione di Venezia è anche il declino degli studi umanistici. È la scuola, prima ancora del marketing, a forgiare i desideri e la capacità di comprensione delle persone. Le ore passate a studiare Masaccio e Tiziano, Romanico e Rinascimento, Repubbliche marinare e Risorgimento hanno motivato generazioni di italiani (e stranieri) a visitare città d’arte e borghi suggestivi, musei e chiese, muovendo un’industria che non è solo turistica ma anche culturale.
Oggi lo studio della storia e dell’arte viene spesso percepito come inutile ed elitario. Il risultato è che lo sguardo di molti visitatori scivola via persino davanti ai marmi e ai trafori degli archi della Ca’ d’Oro.
Per poter leggere la bellezza c’è bisogno di avere gli strumenti adatti.
Bisogna accettare il fatto che la storia di Venezia non è più presente nell’immaginario collettivo (tralasciamo gli addetti ai lavori come gli storici o gli storici dell’arte).
La maggioranza dei turisti ignora persino il fatto che Venezia sia stata una capitale e la sua straordinaria produzione di beni di lusso, la cantieristica navale, l’editoria, la cartografia o la musica.
Molti visitatori fanno fatica ad assorbire l’opulenza estetica di questa città. Bisogna capire e giustificare quando li vediamo chattare in gondola, camminare con la testa bassa sui navigatori senza alzare lo sguardo nemmeno davanti ai Miracoli o mangiare piatti pronti: ci sono persone che vogliono solo godersi un momento di sospensione dalla vita quotidiana.
La memoria storica
Parallelamente, in modo forse inconsapevole, si opera una quotidiana cancellazione di simboli, nomi, aneddoti che hanno fatto la storia di Venezia e sono esempi solo apparentemente innocui: l’hotel Maria Formosa (senza il “Santa” che qualifica il campo nel quale si trova); il glorioso palazzo Da Ponte, ora un qualsiasi Palazzo dei Fiori; il Refettorio di Palladio sull’isola di San Giorgio chiamato “Cenacolo palladiano”. Da quando Sacca Sessola è stata ribattezzata Isola delle Rose, si è fatta strada una nuova abitudine, quella di rendere più vezzosi i nomi di luoghi e palazzi.
Questa perdita di memoria storica alimenta un turismo che non si interessa più a ciò che è stata Venezia e si accontenta di un momento estetico o esotico immediato di veloce soddisfazione.
Turismo lento
Accanto al turismo che cerca esperienze immediate, c’è una quantità minore ma significativa di viaggiatori curiosi, che leggono libri, guardano documentari, hanno qualche studio umanistico alle spalle e, come i loro predecessori di un secolo fa, vengono qui a vedere con i propri occhi l’eccezionalità di Venezia.
Non trovo giusto chiamarlo turismo “colto” perché la parola implica un pregiudizio verso chi di Venezia ha un’aspettativa diversa. Preferisco definirli dei conoscitori appassionati.
Sono quei turisti che fotografano le architetture, scelgono ristoranti locali, cercano la bottega artigiana e visitano i musei – sono oltre due milioni gli ingressi ai Musei Civici nel 2023 – e sostengono così quell’industria che sta tra il turismo e la cultura.
Anche loro li riconosciamo per strada, dai loro modi lenti e attenti nel guardare la città. Per il loro rispetto e interesse, dovremmo considerarli come parte del nostro patrimonio.
Se si volesse trattenere i visitatori qualche giorno in più, per incentivare questo tipo di turismo, bisognerebbe puntare su forme diverse di intrattenimento e di meno facile consumo, come, ad esempio, quello culturale.
Saper leggere un’opere d’arte, seguire la storia di una famiglia o di un palazzo, sono attività che richiedono tempo, che non si esauriscono in una giornata.
L’arte e la storia dovrebbero essere promosse sui media tanto quanto le foto strappa-like. Le proposte di musei, istituzioni culturali, blog di amanti di arte e storia non bastano a coinvolgere un numero consistente di turisti desiderosi di scoprire il patrimonio della città. La Fenice e La Biennale sono esempi virtuosi perché chi ha in programma un’opera o la visita della Biennale si ferma mediamente più giorni di chi viene “a vedere” Venezia.
Da sole, però, non sono sufficienti a incidere sulla tendenza generale.
Credo che, se si tornasse a parlare della storia e dell’arte di Venezia, se si promuovessero non solo luoghi iconici ma anche momenti di conoscenza più profonda, le proiezioni sulla città di una parte dei visitatori potrebbero cambiare.
Tra il turismo veloce e quello lento si possono trovare decine di sfumature diverse: studenti e appassionati d’arte che, pur venendo in giornata, visitano anche tre musei; e moltissimi che all’aspetto epidermico, fiabesco della città uniscono il desiderio di saperne di più e prenotano visite guidate attraverso i musei, le agenzie o privatamente.
Ognuno porta con sé un’idea diversa di Venezia, plasmata dalla narrazione mediatica della città e dalle conoscenze personali.
Domanda aperta sul turismo di qualità
Al momento non ci sono parametri oggettivi per definire il turismo di qualità. Si potrebbe aprire un dibattito onesto che coinvolga tutti gli operatori del turismo, anche i più umili. Le risposte dovrebbero arrivare da gestori di bar e ristoranti, proprietari di airbnb e di fondi di negozio, addetti alle pulizie, camerieri, motoscafisti e gondolieri. Sono categorie che lavorano con i grandi numeri e per loro, è possibile che qualità coincida con quantità.
Del resto, la qualità del turismo è una percezione soggettiva e viene vista e vissuta a seconda delle proprie prospettive economiche e dalla personale idea di benessere.
Un inciso: la maggioranza degli operatori del turismo non abitano nella città storica ed è poco probabile che il numero dei turisti intacchi la loro vita quotidiana. Ma questa osservazione porterebbe all’apertura di un altro, vasto discorso.
Limitandomi al tema delle aspettative di chi viene a Venezia, temo che per molti la città sia ormai incapace di offrire ai visitatori l’autenticità che, fino a pochi decenni fa, la rendeva davvero unica.
Con la progressiva perdita di residenti, negozi di vicinato, servizi, bambini che giocano nei campi e persone che chiacchierano con la disinvoltura dei locali, la vivacità del quotidiano è in declino. Venezia rischia di trasformarsi in una città monotona.
Se la promozione insisterà sul turismo esperienziale, senza rinnovare il suo approccio e valorizzare il patrimonio sociale e culturale, Venezia potrebbe perdere la sua attrattiva.
Non è un caso che, sui social, qualcuno trovi già il giro in gondola lento e noioso.
Le mode cambiano, i desideri anche.