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22 Settembre 2024Cinema come dibattito di pirandelliana memoria in cui si dibatte intorno ad un tema ma le risposte restano aperte, un impianto teatrale con lunghi piani sequenze e primi piani, o docufilm, documento storico o reportage documentaristico messo in scena, film-saggio. Un’ibridazione tra generi e approcci diversi. Alterna il ballo, il canto a teatro-danza, a performance, alla recitazione teatrale. Amos Gitai, regista israeliano, già nel titolo del suo film si pone una domanda eterna: perché la guerra? Ed è una domanda che ci lascia nel silenzio, a pensare, ci spinge a risalire alle radici della natura umana, alle sue contraddizioni profonde. Ci annichilisce, obnubila, ma soprattutto ci anestetizza. Cinema fatto di parole e di argomentazione più che di immagini o di narrazione di storie.
Difficile e azzardata scelta mettere in scena il carteggio tra Einstein e Freud del 1932, in cui Einstein pone a Freud la domanda a cui lui risponde con una lunga ed articolata epistola. Oggetto del film è lo scambio epistolare tra i due più eminenti intellettuali del tempo, il fisico e lo psicanalista che provano ad andare alle motivazioni profonde della spinta distruttiva e autodistruttiva dell’uomo e provano ad intravedere possibili tentativi per eliminare la guerra dalla storia. E’ un carteggio che non ha limiti di tempo, non ha scadenza, ancora oggi, più che mai, ha il suo valore e la sua drammatica attualità. Anzi prima si dava per scontato la guerra come ineludibile e parte integrante della storia umana perché espressione dell’aggressività umana. Ispirato a questa corrispondenza, che Amos Gitai fa propria girando il film Why War, ripercorrendo le radici della guerra, provando a rispondere anch’egli alla fatidica questione, cerca spiegazioni alla ferocia dei conflitti che popolano da sempre il pianeta. La razza, la religione, la nazionalità, l’etnia, l’individuazione del nemico sono tutte ragioni che innescano le guerre ma, riprendendo le lettere dei 2 intellettuali, cerca di prescindere dalle ragioni esterne che portano alle singole guerre e prova ad andare alle radici dell’essere e agli istinti più profondi che scatenano la violenza tra gli esseri umani.
Evita di riproporci scene di guerra forse perché troppo inflazionate dai media, trasformate in show quotidiano a cui ormai ci siamo assuefatti come fossero la normalità. Le uniche scene di guerra sono quelle iniziali della “guerra giudaica” a voler intendere l’eternità della guerra come ineludibile, come ancestrale strumento per risolvere conflitti tra gli stati o di assoggettamento dell’altro, di appropriazione spesso indebita di territori altrui, o per la competizione per le risorse, per affermare la propria identità, per un istinto predatorio nei confronti del nemico e di volontà di potenza e affermazione della propria superiorità rispetto a chi è sentito più debole.
“La guerra c’è sempre stata, è una costante della storia umana e in passato abbiamo anche cantato le gesta dei guerrieri. Perché adesso nella nostra epoca ci poniamo l’obiettivo di far uscire la guerra dalla storia?” Chiede Einstein. Ed è un grido che risuona oggi sempre più forte e prepotente dinanzi agli orrori a cui assistiamo quotidianamente, ancora dopo quasi un secolo dalla riflessione tra i due pensatori.
Ma proviamo a seguire il percorso del carteggio. E’ Einstein che su proposta della Società delle nazioni nel ‘32 sceglie di porre a Freud questa questione: “C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”
E parte da un dato incontrovertibile, la dialettica tra diritto e forza laddove spesso è la forza, la violenza ad infrangere il diritto e se si vuole imporre il diritto sulla forza, “la ricerca della sicurezza internazionale implica che ogni stato rinunci incondizionatamente a una parte della sua libertà d’azione, vale a dire alla sua sovranità. Ma spesso la sete di potere della classe dominante è contraria a qualsiasi limitazione della sovranità nazionale e vede nella guerra solo un’occasione per promuovere i propri interessi e ampliare la propria autorità e potere.”(Einstein) E l’altra domanda è “come sia possibile che una minoranza possa asservire alle proprie cupidigie la massa del popolo che da una guerra ha solo da soffrire e da perdere.” A queste domande dà risposte tutta la psicologia delle masse a cui Freud ha dato il suo contributo. Ma poi continua sollecitando Freud nel suo campo: perchè l’uomo ha dentro di sé il piacere di odiare e di distruggere?
Nella sua risposta Freud chiarisce la sua teoria delle pulsioni secondo la quale convivono in ogni individuo la pulsione all’odio e alla distruzione, la pulsione di morte da un lato e dall’altro la pulsione alla conservazione, alla vita, Eros e Thanathos, le pulsioni erotiche e quelle che tendono a distruggere e a uccidere, l’istinto aggressivo e distruttivo che è quindi alla base della violenza non solo del singolo ma di tutte le collettività che scelgono di proteggere la propria vita distruggendo quella del presunto nemico. Spesso sono la deumanizzazione dell’avversario e la retorica del nemico che contribuiscono a rendere la guerra più accettabile e giustificabile agli occhi di chi la combatte.
Entrambe le pulsioni sono indispensabili perché i fenomeni della vita dipendono dal loro concorso e dal loro contrasto. Innumerevoli crudeltà della storia confermano la loro dinamica e la pulsione di morte diventa distruttiva quando si rivolge verso l’esterno. E se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione distruttiva, contro di essa è ovvio ricorrere all’antagonista di questa pulsione: l’Eros, antidoto alla guerra. Tutto ciò che consente il sorgere di legami emotivi tra gli uomini agisce contro la guerra.
La domanda successiva è se c’è speranza di poter sopprimere le tendenze distruttive e aggressive degli uomini? Certo, ricorda Freud, il comunismo e i bolscevichi speravano di estirpare l’odio garantendo il soddisfacimento dei bisogni materiali e stabilendo uguaglianza e giustizia sociale tra gli individui. Prospettiva che lui considera un’illusione. Ma possiamo affermare che la guerra è una delle calamità della vita da accettare fatalisticamente? Conforme alla natura, giustificata biologicamente, connaturata nell’essenza dell’uomo e quindi inevitabile? E se è così, la tecnologia e il perfezionamento dei mezzi di distruzione porterebbero allo sterminio di uno o forse di entrambi i contendenti? O forse c’è qualche strada che si potrebbe perseguire per espungere la guerra dalla storia?
E’ decisamente una questione complessa e per problemi complessi non esistono mai risposte semplici. Ma è una questione che ci dobbiamo porre perché l’Occidente e l’Europa dopo gli orrori della seconda guerra mondiale si è posta la domanda e si è data una risposta grandiosa con la creazione dell’Unione europea che ci sta garantendo decenni di pace come mai nella storia. Allora l’eliminazione della guerra è possibile? Anche Freud lo ritiene possibile. Ma anche Gitai!
Per Freud è la civiltà che nasce dalla ragione che sola può tenere a bada le pulsioni distruttive, “il rafforzamento dell’intelletto che comincia a dominare la vita pulsionale e l’interiorizzazione dell’aggressività impedendone la distruttività volta verso l’esterno.” Una prevenzione sicura delle guerre è possibile se gli uomini si accordano per costituire un’autorità centrale sovranazionale a cui viene ceduta la sovranità dei singoli stati. E’ solo il processo di incivilimento o civilizzazione, quindi, che potrà controllare le spinte istintive e distruttive; solo la razionalità, la creazione di un Super-io individuale e collettivo può soffocare le pulsioni di morte. Ed è solo la prevalenza del diritto sulla violenza, della civiltà sulla forza bruta che potranno estirpare la guerra, rendendocela insopportabile, spingendoci a provare intolleranza e idiosincrasia verso qualunque forma di conflitto. “Tutto ciò che funziona per lo sviluppo della cultura funziona anche contro la guerra”. Le società umane sono capaci di cooperazione e pacifica convivenza, la diplomazia, il dialogo e la comprensione reciproca sono strategie che possono prevenire la guerra e costruire un mondo più pacifico.
Freud allora non poteva saperlo ma da allora e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale si è cercato di trovare sistemi, strutture, organismi e organizzazioni sottoscritte, controfirmate da quasi tutte le nazioni ma spesso sono inoperanti ed inefficaci. Interessi nazionali divergenti, burocrazia e inefficienza interna, mancanza di potere vincolante, il meccanismo dei veti, i cambiamenti nelle dinamiche geopolitiche impongono oggi la riforma di tali organismi senza i quali nessuna forza del diritto sarà in grado di impedire il prevalere della forza sul diritto.
E se per Freud è la ragione, la cultura e la civiltà a restituirci qualche speranza, per Gitai la poetica, la musica e l’arte sono l’unica via per far riflettere sulla guerra e porre le basi per un pacifismo che possa promuovere l’evoluzione dell’uomo e lavorare contro la guerra.