Quanti referendum, uno dietro l’altro!
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11 Settembre 2024Lo scorso mese questa testata ha ospitato a stretto giro tre pregevoli interventi sullo stesso tema, ovvero come dare rappresentanza politica alla quota parte di elettorato riformista e liberal-democratico dopo il naufragio della prospettiva di fusione tra Azione e Italia Viva. In ordine cronologico di pubblicazione sono: Del centro, dei liberaldemocratici, del centrosinistra (Franco Vianello Moro), Azione. Rassegnarsi al bipolarismo? (Nicolò Rocco) e Il risveglio liberale di Nicolò Compostella. Definiscono tre diverse prospettive, tutte coerenti e legittime, ognuna con punti di forza e punti di debolezza.
Vianello Moro, esponente di Italia Viva, propone la prospettiva recentemente indicata da Renzi ovvero entrare strutturalmente nel centrosinistra e all’interno di questo assumersi il ruolo di rappresentare le istanze riformiste per quanto possibile. Rocco, pure lui coerentemente con la sua appartenenza ad Azione, sostiene che la rappresentazione delle istanze riformiste è naturaliter in carico appunto a questo partito e si deve dunque insistere sul mantenimento di un polo indipendente. Compostella, come Rocco, vede la necessità di una rappresentanza autonoma ma, al contrario di questi, ritiene che il veicolo debba essere un soggetto tutto nuovo, privo delle scorie e dei protagonismi del passato. Ad essere rigorosi, queste tre opzioni non esauriscono l’intero spettro delle possibilità. Ve n’è una quarta, che potremmo definire rassegnata, che sostiene che non vi sia proprio spazio per una rappresentanza di questo tipo, che in Italia lo spazio politico per una forza riformista, semplicemente, non esista e che dunque quell’8% preso alle Politiche dalla coalizione terzopolista sia stato sostanzialmente un’illusione, un abbaglio. E dunque l’abortita nascita del partito unico, ovvero la fusione tra Azione e Italia Viva, non sia stata la causa della difficile rappresentanza di quell’area bensì ne sia stata l’effetto, in quanto appunto progetto politico privo di basi sostanziali in termini di consenso popolare. Ovvio il corollario.. non vale neppure la pena di lambiccarsi sul cosa fare ma rassegnarsi a votare per una delle due coalizioni o rifugiarsi nel non voto.
Questo è il panorama completo di tutte le possibilità. Non voglio aggiungere la mia opinione, che vale nulla, dico solo per trasparenza che tendenzialmente sono più vicino a Nicolò Rocco (pur non nascondendomi i molti “ma” sottesi a questa ipotesi). In questo articolo vorrei argomentare perché nella realtà la prima delle prospettive elencate sopra già oggi non esiste ed è impercorribile.
Innanzitutto, le modalità: il leader di IV si alza una mattina e scopre (quella mattina?..) che il Governo di centrodestra non va bene e decide che tutti gli elementi di distinzione tra IV e la maggior parte delle forze del “campo largo” in termini di programmi, principi, politica estera, politica economica, giustizia e quant’altro.. contano nulla. Convertito sulla via di Damasco alla strategia testardamente unitaria di Schlein. Il tutto dicendo che, a posteriori, si terrà l’Assemblea Nazionale in cui si metterà ai voti la decisione. Direi che le rimostranze di Marattin (che proprio in questi giorni ha lasciato IV) e di molti dirigenti territoriali di IV sono più che giustificate. Non è, si badi bene, solo una mera questione di forma ma impatta direttamente sulla credibilità della posizione presa. Italia Viva, pur essendo un partito decisamente leaderistico (male che affligge da tempo la nostra politica), è o era comunque una comunità di persone che hanno creduto davvero in una politica diversa, in un vero riformismo (che peraltro Renzi, con la proposta di Riforma costituzionale, aveva incarnato in prima persona). Erano (e sono) cittadini che non si rassegnano all’inefficienza, al collasso del funzionamento della macchina dello Stato e non ne possono più di una politica senza prospettiva e senza un “orizzonte lungo”, di partiti che suscitano paure largamente ingiustificate, si baloccano in questioni del tutto secondarie e risibili o coltivano improbabili soluzioni semplicistiche a problemi complessi. Donne e uomini che auspicavano una politica “per” qualcosa e non “contro”, non il voto perché se no vincono gli altri come l’attuale soffocante bipolarismo di fatto impone.. E per cercare di perseguire questa buona politica, la credibilità e la coerenza sono patrimonio essenziale e distintivo.
Quindi, in primis un gigantesco tema di credibilità. E in secondo luogo, una questione di forza. È un po’ straniante sentire Renzi insistere sulla presunta influenza decisiva (per vincere nei collegi) del suo 2%. Perché nella maggior parte dei casi il 2% non sarebbe affatto decisivo, né è detto che quel 2% sia tale perché per quanto sopra è difficile che tutta la comunità di IV lo segua e infine perché è tutto da dimostrare che l’operazione non sia in realtà a somma algebrica negativa (per la banale considerazione che gli eventuali voti in più al campo largo potrebbero essere più che compensati in negativo dai voti persi da sinistra). E insisto: non sembra nemmeno che l’afflato riformista stia tanto a cuore a Renzi stesso, che appare sempre di più attento alla tattica che non alla strategia e ai programmi. L’insistenza sui “voti contro i veti” ma anche i distinguo sul riconoscimento della leadership, Schlein sì – Conte no – (come se la Schlein fosse una riformista..) sa tanto di quella politique politicienne che un vero partito riformista dovrebbe rifuggire.
Con tutta la benevolenza possibile, l’impressione è di una mossa puramente tattica per assicurare un seggio sicuro a sé e pochi fedelissimi alla prossima tornata elettorale. E colpisce la sensazione di chiedere quasi col cappello in mano, dovendo subire l’imposizione di uscire dalla giunta di Genova, di rinunciare al simbolo in Liguria e le richieste più o meno esplicite da parte dei molti nel PD che l’hanno avversato da sempre di un’abiura del passato. Ripeto, con tutta la benevolenza possibile, la sensazione netta è che il protagonista di un tempo non abbia più carte da giocare.
Per tutto quanto sopra, temo che la prospettiva che giustamente Franco Vianello Moro auspica: portare al tavolo della discussione comune, per costruire un programma elettorale che faccia i conti con le esigenze del Paese, con gli equilibri geopolitici, con una visione di futuro, anche tutte le istanze di quel “Centro” riformista e liberal-democratico che viceversa non avrebbe uno spazio autonomo per agire e rappresentarsi non sia nelle cose. Perché, semplicemente, Renzi non ne ha né la forza né la credibilità e forse nemmeno la voglia. È già tanto se, dopo la sopra ricordata via crucis, il Figliol Prodigo verrà riaccolto, figurarsi se può pretendere di dettare l’agenda o anche solo influenzarla. Insomma, la malinconica constatazione è che Renzi ormai non ha più nulla da dire e soprattutto da offrire.
Veramente una fine triste per un politico di razza, che avrebbe meritato maggior fortuna, cui riconosco molti meriti in passato, cito il generoso tentativo riformista naufragato col referendum del 2016, l’aver sbarrato la corsa a premier di Salvini, l’aver fatto cadere il Conte 2 a favore di Draghi. Forse ha peccato di hybris, forse è stato sfortunato. Certamente l’infausto esito del referendum del 2016 è stata la sliding door decisiva. In ogni caso, il tramonto di una parabola politica folgorante che lascia un retrogusto amaro.
Immagine di copertina: © C.V.D.